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ingroia-antonio-web14L'intervista
di Liana Milella - 10 ottobre 2012
Il pm di Palermo si dice amareggiato dalle critiche rivoltegli dalla corrente di sinistra della magistratura: “Contagiati dal berlusconismo”.
Roma. È in Guatemala Antonio Ingroia. Una breve permanenza prima della sua partenza definitiva. Ma con sé, dall’Italia, ha portato la “ferita” di Magistratura democratica. I dubbi sulla separazione, quasi fosse un matrimonio. Ne parla con Repubblica e la voce tradisce, a tratti, una forte emozione.

Il “processo” di Md contro di lei prosegue. Lascerà la corrente cui è iscritto da più di vent’anni?
«Ci sto seriamente pensando. Quel comunicato dell’esecutivo, che prendeva le distanze da me e conteneva accuse che ritengo ingenerose e pure qualche espressione offensiva, ha lasciato il segno e determinato in me una grande amarezza al contempo personale, professionale e direi politica».

Perché è così turbato?
«Sul piano personale mi fa male e mi ferisce l’incomunicabilità che temo si sia stabilita tra me e i vertici di Md. In particolare, chi ha vissuto per 20 anni a Palermo la stagione delle stragi e poi ha ha continuato a lavorare lì, è normale che avverta in un modo più forte l’esigenza di una piena verità e giustizia per i fatti di quella stagione. E mi offende che l’aver sollecitato la politica e la società a fare di più per contribuire a far emergere tutta la verità venga equivocato da Md, come fossi un Gasparri qualsiasi, per esibizionismo mediatico. Magari alludendo implicitamente al sospetto che io voglia costruirmi una carriera politica o peggio che voglia condizionare il giudice per le indagini preliminari ala vigilia della decisione su Stato-mafia».

Però molti sono convinti che lei approderà in Parlamento...
«In questo momento è l’ultima cosa che mi passa per la mente, ma — ripeto — ritengo offensivo nei confronti della mia storia immiserire in questo modo la finalità dei miei interventi pubblici sul tema delle “verità difficili” nel nostro Paese».

Non è forse vero che, con le frequenti uscite pubbliche, lei cerca nella gente il consenso che non trova più tra i colleghi?
«Non cerco il consenso alle mie indagini, però non posso dimenticare le parole di Falcone quando diceva che in Sicilia sulla lotta alla mafia si muore quando non si dispone delle necessarie alleanze o si è privi di sostegno. Non parlo di me, non voglio fare vittimismo, ma Falcone sapeva di cosa stava parlando».

Questo citare Falcone non è eccessivo?
Pure la sorella Maria dice che Giovanni «non ha mai partecipato a convegni politici».
«Considero Falcone e Borsellino maestri che andrebbero citati e seguiti nei loro insegnamenti da tutti e quindi non è mai troppo richiamarsi a loro. Quanto ai cosiddetti convegni politici Falcone e Borsellino hanno partecipato a dibattiti organizzati da partiti politici così come ho fatto io».

Come spiega il mutamento genetico di Md, che passa dal sostegno a figure come la sua alla freddezza pure sull’inchiesta Stato-mafia?
«Proprio a questo mi riferivo quando parlavo di amarezza professionale e politica. Professionale perché ho avuto modo di registrare che molte critiche all’indagine sono fondate su una sorta di pregiudiziale diffidenza di chi conosce veramente poco il contenuto delle risultanze probatorie. Ancor di più amarezza politica perché percepisco un conformismo dilagante che contagia perfino un’area culturale come quella di Md, da sempre in prima linea nella tutela del diritto del magistrato a partecipare al dibattito politico e all’analisi critica dei legami tra pezzi della classe dirigente e poteri criminali. Analisi che oggi Md mi rimprovera come in questi anni hanno fatto settori politici e dell’informazione conservatori. E allora mi chiedo: sono io che sono cambiato, oppure il grave arretramento culturale che il berlusconismo ha determinato sta contagiando perfino Md?».

Non è strano che Md si occupi tanto di lei e non della legge anti- corruzione?
«È un sintomo preoccupante e dei tempi. Per riconquistare un po’ di fiducia dei cittadini nelle istituzioni, invece di dilaniarsi in polemiche interne, oggi bisognerebbe proiettarsi verso una più efficace lotta contro corruzioni e mafie di ogni tipo. Invitare il Parlamento a fare di più sul ddl anti-corruzione sarebbe davvero un modo per riconquistare fiducia e credibilità nei cittadini ».

Non sarà che i magistrati riscoprono un basso profilo pur di difendere le proprie inchieste?
«M’illudevo che il processo di omologazione culturale in corso da anni trovasse in Md un punto di resistenza. Forse era un’illusione, anche se mi dà speranza quella parte, seppur minoritaria di Md, che ci crede ancora come me».

Sbattere la porta non asseconderà la deriva di destra?
«Per questo non mi sono ancora dimesso e sto riflettendo. E la distanza di migliaia e migliaia di chilometri aiuta».

Tratto da: La Repubblica

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