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c-camilla-alighieri-20-anni-pa-bigdi Monica Centofante - 22 luglio 2012
A guardarla così via D'Amelio non lo diresti mai che da quel dannato 1992 sono trascorsi 20 anni. La folla accalcata sotto il palco allestito davanti al portone che salto' in aria quel lontano 19 luglio, le lacrime silenziose che di tanto in tanto fanno capolino da sotto gli occhiali da sole, la fierezza delle agende rosse alzate verso il cielo a chiedere verità e giustizia e gli occhi puntati, attenti, su quei magistrati che hanno promesso di difendere perché la storia che si respira troppo forte nella Palermo bellissima e disgraziata di Paolo Borsellino non possa mai più ripetersi.

E' un'estate calda a Palermo, come lo era 20 anni fa, ma le mani e le menti raffinate di chi pianificò ed eseguì la strage di via D'Amelio non avrebbero immaginato di dover fare i conti, 20 anni dopo, con quella folla. Allora, in un Paese che dimentica sempre troppo in fretta, dovettero sentirsi al sicuro: calati junco ca passa la china. Eppure questa volta la piena non è passata. Duemila, tremila voci hanno attraversato la città gli scorsi 18 e 19 luglio. Al grido di "Fuori la mafia dallo Stato" hanno raggiunto il palazzo di Giustizia, il castello Utveggio, poi l'atrio della Facolta' di Giurisprudenza e infine via D'Amelio un tempo teatro di morte, oggi occasione di vita e speranza, come si è augurata Rita Borsellino, la sorella di Paolo. "In un momento di confusione, quale è quello attuale - ha detto nel corso dell'incontro organizzato dall'Anm di Palermo - dobbiamo pretendere che si faccia chiarezza. Paolo non ha iniziato a morire dopo l'assassin  io di Giovanni Falcone, ma quando si è reso conto che quello Stato in cui credeva gli si stava rivoltando contro". Gia', lo Stato. Ma quale Stato? si domanda in via D'Amelio il procuratore aggiunto Vittorio Teresi, che distingue tra lo Stato-Stato e lo Stato-mafia. "Lo Stato-Stato siete voi" grida la folla, lì dove per lo Stato-mafia non c'è spazio. I politici e la loro ipocrisia in via D'Amelio non possono più entrare. E quando ci prova il presidente della Camera Gianfranco Fini, nel pomeriggio del 19 luglio, quella folla si gira, agende rosse in mano, e gli da' le spalle. Un profondo silenzio accompagna il gesto di disapprovazione e Fini è costretto ad andare via, così come dovranno fare, poche ore dopo, Ignazio La Russa e Angelino Alfano: i loro tentativi di provocare cadranno nel vuoto, neutralizzati dallo spirito pacifico della manifestazione. Da quelle magliette rosse sulle quali spicca una scritta bianca: "No corone di Stato per stragi di Stato". No   a quella politica e a quelle istituzioni che sono in diversi modi responsabili delle bombe del '92 e del '93, dei successivi depistaggi, dei vergognosi e vili attacchi ai magistrati che oggi continuano, tra mille ostacoli, a cercare la verità.
“Noi saremo il vostro scudo” grida la folla in quei due giorni di strade, di piazze e dibattiti perché il potere uccide quando si è lasciati soli e “con noi soli non sarete mai”. E soprattutto ora che dall'anticamera della stanza della verità "siamo entrati dentro la stanza della verità". Lo sottolinea il procuratore aggiunto Antonio Ingroia, una stanza buia perché “qualcuno ha sbarrato le finestre e le luci artificiali non funzionano, ma noi rimaniamo lì, con le candele”. E' una promessa e una sfida gridata nell'atrio della Facoltà di Giurisprudenza durante il convengo organizzato da Antimafia Duemila e rilanciata dai giudici Domenico Gozzo, Antonino Di Matteo e Roberto Scarpinato. “Noi continueremo a fare il nostro dovere, a cercare le verità senza paure, anche quelle troppo scomode, senza cedere allo scoramento e alla tentazione della polemica e della rassegnazione. A chiedercelo, oltre a tutti i nostri morti, come Falcone   e Borsellino, sono l'amore per il nostro Paese e la sete di verità e giustizia della sua parte migliore”. Quella che è riuscita a farsi strada nonostante il potere, le ombre, i depistaggi. “Il potere è forte", ha sottolineato il procuratore generale di Caltanissetta Roberto Scarpinato, ma ha iniziato a traballare. "Credo che da un po' di tempo questi potenti comincino ad avere paura. Credo che le loro certezze si stiano incrinando, che si stiano arrampicando sugli specchi, hanno notti angosciose e insonni perché hanno capito che prima o poi riusciremo a trascinarli sul banco degli imputati”. L'applauso è fragoroso e tornano alla mente le parole di Giovanni Falcone, la sua felicita' mentre all'amico Paolo diceva: “La gente fa il tifo per noi”. Un tifo che era sinonimo di appoggio e di presa di coscienza. “C'è bisogno di voi – ha ricordato più volte Antonio Ingroia – della responsabilità della società civile. Non può essere   scaricato tutto sulle gracili spalle della magistratura”. E dopo troppi anni di colpevoli silenzi e di indifferenza oggi, quella via D'Amelio strapiena è una nuova occasione di riscatto e di giustizia.
Il potere lo sa e ha paura. Lui, che si legittima nel consenso, in via D'Amelio ha già perduto e anche per questo scalpita, è nervoso e scalpitando mette a nudo la sua vera natura.
“La trattativa?”, risponde il senatore Marcello Dell'Utri, uno degli indagati di quell'inchiesta, già condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, ai microfoni degli speaker de La Zanzara di Radio24 proprio mentre è in corso la manifestazione: “Se si è trattato per evitare guai peggiori è stata la cosa giusta”. Giusto scendere a patti con il potere criminale e sanguinario di Cosa Nostra. Poi l'inevitabile attacco a Ingroia (“un persecutore”, “come Khomeini”) e a tutta la folla di via D'Amelio: “Andare alla commemorazione mi sembra una stronzata. Io non sono mafioso, non c’è bisogno di andare lì. Tutto questo teatrino che ruota intorno a queste cose è fatto da approfittatori inutili che si fanno grandi davanti a queste cose. E poi mi attaccherebbero appena mi faccio vedere”. Ogni commento a dichiarazioni così stucchevoli è perfino superfluo, ma su una cosa il senatore ha ragione: se provasse ad entrar  e in via D'Amelio la folla lo respingerebbe, non lo lascerebbe passare. Lì “entra solo il vero Stato”. Quello che prima o poi, ripete su quel palco Roberto Scarpinato, “busserà alla porta dei lussuosi Palazzi del potere, che quel giorno saranno nudi davanti alla verità”. Ma “se non ci fosse stata la gente a stringersi intorno ai magistrati non so dove saremmo oggi”, “la vostra forza – ringrazia – è la nostra forza”.
Ed è una delle schegge impazzite che di certo il potere non aveva previsto. 20 anni dopo quelle stragi la folla che ha riempito le strade di Palermo non ha dimenticato. E se sarò costante e saprà mettersi di traverso a chi "non si farà scrupoli nel cercare in tutti i modi di eliminare i magistrati che indagano su quegli anni bui - grida Giorgio Bongiovanni, direttore di Antimafia Duemila - allora potremo finalmente raggiungere la verità anche se questa può far molto male".
Non è impresa facile, ma oggi abbiamo una nuova opportunità che non possiamo perdere.

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