di AMDuemila – 18 luglio 2012
Palermo. “A vent’anni dalle stragi del ’92 è tempo di bilanci e di analisi e se possibile, anzi se necessario, queste analisi devono essere anche coraggiose e per certi versi dolorose. Il bilancio di questi vent'anni è positivo solo per quanto concerne l’ala militare di Cosa nostra.
Non è poco, ma non è tutto. Permane, a mio avviso, un deficit clamoroso per quella che dovrebbe essere la svolta: il salto di qualità, la recisione, una volta per tutte, dei legami tra mafia e imprenditoria, politica, istituzioni”. Ad affermarlo è stato il pubblico ministero della Dda di Palermo Antonino Di Matteo nel corso della conferenza “Trattative e depistaggi”.
“E invece – ha aggiunto poi - si tenta di rendere l’ordine giudiziario, di fatto, asservito al potere politico. Il comune denominatore che colgo è quello del tentativo di trasformare il magistrato in un pavido burocrate più attento a non esporre se stesso a rischi di varia natura che non a trattare tutti i cittadini in maniera uguale davanti alla legge. Ma dall’altro lato, ed è quello che mi amareggia di più, temo che anche nella magistratura - perfino in quella palermitana, siciliana, più direttamente sconvolta dalle emozioni delle stragi, attenuatosi con il tempo l’onda della sacrosanta indignazione morale - si stia insinuando pian piano il germe di un ritorno al triste passato. Quello della palude nella quale affondarono Falcone e Borsellino, fatta di sentenze ammantate da finto garantismo, ma in realtà ispirate da una normalizzazione, una voglia di normalità.”
Ha concluso poi Di Matteo “Anche la magistratura deve fare autocritica e trovare in se stessa gli anticorpi per isolare il germe della contiguità con agli altri poteri, spesso cercata per fini di carriera e per bieco vantaggio personale.”