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messina-denaro-matteo-bigdi Giuseppe Casarrubea - 14 maggio 2012
Le ragioni delle modificazioni strategiche di Cosa nostra dopo l’arresto di Binnu Provenzano, alias “u tratturi”, non risiedono solo negli acciacchi dai quali è stato preso l’erede putativo di Totò Riina. Anzi, i malanni del boss c’entrano assai poco con Cosa Nostra anche se hanno provocato al suo capo ‘militare’ problemi personali e altri non meno gravi di gestione del suo entourage, con gli effetti del caso. Come dimostra la vicenda di Attilio Manca.

E’ un dato di fatto che la mafia, dopo il ’92 e il mutamento della geografia politica dell’Est europeo e del mondo, ha allargato i suoi orizzonti, sprofondando, dopo l’epicentro sismico del 1993, in una condizione di ripensamento profondo. Sia dei suoi legami con la politica, sia delle sue strategie concrete di azione sociale, in una Europa mutata. Si è, da un lato, internazionalizzata e, dall’altro, capillarizzata socialmente. Ha modificato, rivedendolo dalle fondamenta, il suo rapporto con il potere istituzionale e si è adeguata alla nuova carta europea conseguente allo straripamento dovuto al crollo del muro di Berlino, e alla fine dell’Unione sovietica. Ha assimilato nuovi modelli.
In Afghanistan, ad esempio, il fratello di Karzai, capo del governo fantoccio della Nato, è il maggiore trafficante di oppio dell’Asia centrale. Nello stesso tempo il capitalismo ha stravolto la faccia dei Paesi dell’Europa orientale, sperimentando forme di borghesia mafiosa in Ungheria, Albania, Croazia e in altri Paesi dell’ex Jugoslavia. E nella stessa Russia. I caratteri di questa mafia sono le sue connessioni con gli Stati.
Un fenomeno analogo è avvenuto in Italia, dove però la saldatura degli interessi tra Stato e Mafia è avvenuta in un percorso abbastanza lungo, risalente alle stesse origini della Repubblica. Il ‘papello’ di Totò Riina del Natale ’92  e le bombe del 1993 che seguono il suo arresto, avvenuto nel gennaio di quell’anno, sono un modo, assai fragoroso, di chiudere la partita di un rapporto ormai disorganico. La trattativa aveva allora il sapore della riapertura di un nuovo capitolo, del quale il personaggio principale era Bernardo Provenzano, l’ing. Lo Verde degli incontri romani, che non solo aveva agganciato nuovi referenti politici ma era riuscito a gestire anche il suo futuro personale per almeno un quindicennio.
L’altra punta del triangolo è la costante presenza storica dei Servizi di intelligence, come dimostrano le stragi di Capaci e via D’Amelio.
A proposito della prima il procuratore Grasso ebbe a parlare di “entità esterna” dietro le stragi. Non specificò. Ma una delle ipotesi è quella del terrorismo internazionale (metodi dei narcotrafficanti neocolombiani, insorti iraqueni, dietro i quali c’è la Cia).
Per capire che cosa è la mafia oggi dobbiamo pensare a Matteo Messina Denaro e al granitico blocco sociale che ha saputo costruire, elevando a dismisura la potenza criminale di Cosa Nostra e migliorando il suo già forte dominio degli apparati istituzionali e delle imprese economiche. Una sintesi di vecchio e nuovo. Basti pensare alla realtà di Castelvetrano dove coesistono boss come i Marotta e personaggi come Giovanni Risalvato. I primi implicati nel falso conflitto a fuoco tra i carabinieri e il bandito Giuliano, il secondo un insospettabile, indotto non a fare da dama di compagnia al boss trapanese, ma a vivere tra la gente, perché da questo versante, stando al parere di Matteo Messina Denaro, sarebbe venuto il miglior aiuto a Cosa Nostra.
Questo ci ha spiegato l’indagine Golem 2 (2011), che ci ha dimostrato il passaggio dalla violenza non ragionata alla costruzione forzata del consenso, mediante la simbologia dell’intimidazione. Contro un sistema produttivo non asservito e nella cornice di una estensione del potere economico e finanziario di Cosa Nostra.
Non stupisce quindi che lo stesso sindaco Vaccarino abbia ammesso di essere stato in corrispondenza con Messina Denaro. E per incarico dei Servizi, all’insaputa della DDA e degli investigatori. Una storia vecchia, ma adeguata ai tempi.
Gli ultimi episodi che riguardano don Binnu sono il segnale dei tempi, denotano un livello forse solo personale di un vecchio criminale, messo all’angolo dal tempo e dagli acciacchi. Costretto alla messinscena infantile di volersi dare la morte infilando maldestramente la testa in un sacchetto di plastica avuto chissà come e perchè.

Tratto da: casarrubea.wordpress.com

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