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terremoto-laquila-web0Tre anni dopo il terremoto gli sfollati sono ancora più di 30 mila. Nonostante i 3,5 miliardi di euro spesi. Ecco errori e colpevoli dei ritardi nella ricostruzione
di Primo Di Nicola - 6 aprile 2012

Alle prese con la realizzazione del suo auditorium nel parco del Castello, persino un uomo sobrio come Renzo Piano non usa mezzi termini nel descrivere l'andamento della ricostruzione a L'Aquila: "Indecente", scandisce il grande architetto. I guasti del "ritardo clamoroso" con il quale procedono i lavori post-terremoto nel centro storico della città e di tutti gli altri comuni del cratere sismico; i rallentamenti negli interventi sul resto del patrimonio abitativo anche nelle zone periferiche; l'economia agonizzante e la disoccupazione dilagante giustificano tanta durezza. A tre anni dal terremoto che il 6 aprile 2009 distrusse la città causando oltre 300 morti, decine di migliaia di persone aspettano ancora di rientrare nelle proprie abitazioni.

Nonostante siano già stati spesi tantissimi soldi (almeno 3 miliardi e mezzo) per l'emergenza e la costruzione di 19 new town intorno alla città, e tanti altri se ne continuano a bruciare per l'assistenza alla popolazione ancora sfollata (altri 100 mila euro al giorno). "Siamo di fronte ad un autentico disastro", denuncia il sindaco dell'Aquila Massimo Cialente, che accusa le autorità di governo e quelle regionali di avere "abbandonato la città prendendo in giro i terremotati". Chi non ricorda i toni trionfalistici che solo qualche mese dopo il sisma l'allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi usava per descrivere lo stato della ricostruzione? Tutto risolto, lasciava intendere il Cavaliere. Invece, come le crude cifre dimostrano, le cose stanno diversamente: dei 67 mila sfollati del 2009, solo 34 mila sono rientrati nelle proprie abitazioni. Gli altri (vedere tabella) sono ancora alloggiati nelle new town berlusconiane, nei moduli abitativi provvisori o in altre dimore scelte con il contributo per l'autonoma sistemazione.
SENZA PREZZO Scandagliando tra Roma e L'Aquila, tra la presidenza del Consiglio, la Regione Abruzzo e il Comune, sui ritardi della ricostruzione è tutto un palleggiamento di responsabilità. In piena campagna elettorale per il Comune, il sindaco Cialente (Pd) è un fiume in piena contro l'operato del governo Berlusconi e del presidente della Regione Gianni Chiodi (Pdl). Secondo Cialente, fino a quando ad occuparsi del terremoto è stato Guido Bertolaso, le cose hanno marciato. I guai sarebbero cominciati quando i compiti di Bertolaso sono stati ereditati proprio da Chiodi, dal governo Berlusconi nominato commissario per la Ricostruzione (con lo stesso Cialente e Gaetano Fontana come vice). Anzitutto, a causa di tutti i contrattempi e le cattive conseguenze legate alla scelta di ricostruire subito le case della periferia accantonando per una fase successiva gli interventi sul centro storico. "Una decisione nefasta di Berlusconi", aggiunge Cialente, che Chiodi avrebbe "aggravato con tutta una serie di altre scelte sbagliate e di inadempienze". Racconta per esempio il sindaco che nel febbraio 2010 era pronta l'ordinanza con le linee guida per far partire i lavori sulle case A, B e C (la classificazione a seconda dei danni riportati) delle zone periferiche. Solo che per firmarla Berlusconi impiegò quattro mesi. E non basta. Varata l'ordinanza, per avviare gli interventi serviva un altro documento, il prezziario delle opere. Era compito della Regione vararlo, ma si scoprì che il governatore Chiodi non lo aveva neanche messo a punto.
AVANTI PIANO Mesi preziosi se ne sono andati in questo modo. Ma gli ostacoli burocratici non sono finiti: le richieste dei terremotati per le riparazioni delle abitazioni e il relativo finanziamento passano per ben tre organismi. I tempi si allungano e a tutt'oggi all'Aquila risultano approvate solo 18 mila domande, cioè circa il 50 per cento del totale. In più tardano ormai da anni i piani di ricostruzione dei centri storici dell'Aquila stessa (15 mila abitazioni da rifare) e degli altri comuni terremotati: solo "22 Comuni su 57 (fra cui L'Aquila) hanno adottato il proprio piano", ha scoperto il ministro Barca, e di questi appena "quattro hanno proceduto ad indire la Conferenza di Servizi" necessaria per l'approvazione finale. Morale: senza piani non si possono concedere autorizzazioni a ricostruire nei centri storici. "Di questo passo", avverte Pietro Di Stefano, assessore alla Ricostruzione del capoluogo, "non basteranno 15 anni per tornare alla normalità".
ZONA FRANCA ADDIO È un altro capitolo della mancata ricostruzione. L'istituzione di una zona franca doveva essere uno dei punti di forza della rinascita. Secondo i progetti valeva 90 milioni e attraverso facilitazioni fiscali e incentivi avrebbe dovuto invogliare gli imprenditori a investire nel territorio devastato dal sisma. L'allora presidente della provincia dell'Aquila Stefania Pezzopane e il sindaco Cialente la proposero a Berlusconi, che la fece sua inoltrandola all'Ue, ma per tre anni tutto è rimasto sulla carta. Fino a poche settimane fa, quando il governo Monti ha comunicato a Bruxelles il ritiro della richiesta. "Davvero un mesto epilogo", dice Cialente, "una presa in giro che ha fatto perdere anni preziosi".
CHE FORTUNA, IL TERREMOTO Tra tante disgrazie e ritardi, almeno qualcuno c'è all'Aquila che può dire di averci guadagnato qualcosa con il terremoto. La Chiesa per cominciare che, con la scusa del sisma e del progetto "100 chiese per Natale", è riuscita a fare ottenere finanziamenti a pioggia in tutta la regione. La denuncia arriva dall'associazione Bianchi-Bandinelli e da Umberto D'Angelo, esperto di beni culturali abruzzesi: "Almeno 47 delle strutture beneficiate si trovano in località fuori dal cratere", spiega D'Angelo. Ma, soprattutto, con il terremoto ci ha guadagnato il direttore generale della Asl Giancarlo Silveri. Chi non ricorda l'ospedale San Salvatore? Pilastri senza supporti, carenze di calcestruzzo, violazioni delle norme antisismiche. Crollata in più parti (è in corso un processo), la struttura ospedaliera venne indicata come una delle vergogne cittadine. Ebbene, dopo qualche mese, grazie ad una superpolizza assicurativa, per i danni riportati dal San Salvatore, Silveri ha incassato un premio di 47 milioni di euro. Dedicati anch'essi alla ricostruzione ospedaliera? Macché, i soldi sono stati spesi interamente per ripianare i debiti della Asl e della fallimentare sanità regionale corrosa dagli scandali. E tutto questo mentre in alcuni reparti del nosocomio, come quelli ospitati nei prefabbricati del G8 trasferiti dalla Maddalena, i terremotati vengono curati in strutture così precarie da sollevare le "forti preoccupazioni" del presidente della commissione parlamentare di inchiesta sul Servizio sanitario nazionale Ignazio Marino e del suo vice Alfonso Mascitelli giunti a L'Aquila per una visita. Una situazione, nemmeno isolata. Fanno gridare allo scandalo anche le condizioni in cui operano il servizio diurno psichiatrico e il centro di salute mentale nel complesso di Collemaggio. Qui, come i lettori possono vedere nel video su www.espressonline.it, i pazienti sono addirittura ospitati in precari container. E tutto perché il dg Silveri ha preferito abbellire i bilanci piuttosto che privilegiare le esigenze dei malati.

ha collaborato Marianna Gianforte


Tratto da: L'ESPRESSO

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