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la-colpa-hone0di Teresa de Palma - 25 marzo 2012
Non è stata la solita presentazione di un libro. C’era un’aria diversa a cui non siamo più abituati sia tra il pubblico che era numeroso  sia per  come hanno parlato i due protagonisti del dibattito, Giancarlo Caselli e don Luigi Ciotti, insieme con gli autori de La Colpa di Nicola Tranfaglia e Anna Petrozzi, sia per il modo in cui i presenti hanno partecipato. La differenza, può sembrare banale, era la verità. In un paese in cui questa parola sembra essere sparita dai discorsi dei politici e dall’informazione.

Giancarlo Caselli (il magistrato attualmente Procuratore della Repubblica a Torino, dal 1993 al 1999 capo della Procura della Repubblica a Palermo) ha spiegato perché questo libro non si è potuto presentare due mesi fa, il 9 febbraio 2012 come era stato già stabilito e annunciato. E come, caparbiamente, non ha voluto rinunciare alla libertà di fare una cosa che riteneva giusta. Si riferiva alle contestazioni continue e alle minacce volgari e intimidatorie che ha subito dopo aver dovuto procedere contro una parte dei sostenitori del No-Tav che si erano distinti per la violenza dell’approccio durante le manifestazioni di giugno-luglio 2011. E come questo, malgrado le differenze stellari tra il mondo degli anni settanta e quello attuale, aveva molto a che vedere con il libro. In particolare, il magistrato torinese ha messo in luce il clima pericoloso che si è creato in Italia per la debolezza - ormai evidente - delle classi dirigenti, e della classe politica innanzitutto, che assomiglia molto ad altri drammatici e tragici momenti della storia recente dell’Italia repubblicana. In un momento così difficile per la lotta al fenomeno mafioso e alla corruzione che fa dell’Italia uno dei paesi all’attenzione preoccupata delle Nazioni Unite perché  risulta essere il sessantanovesimo nella classifica mondiale, proprio non ci voleva una posizione come quella assunta dall’attuale Procuratore generale della Corte di Cassazione, che afferma oggi che il reato di concorso esterno in associazione mafiosa (articolo 416 bis e successivi che regolamentano  lo scambio elettorale politico-mafioso e le altre ipotesi di partecipazione continuativa a favore delle associazioni mafiose) non è di importanza centrale nella lotta alla mafia. Ma il magistrato ha spiegato molto bene che senza questo strumento giudiziario il passo indietro che farebbe l’Italia nel perseguire le mafie vorrebbe dire ritornare a 30 anni fa.
Don Luigi Ciotti, fondatore del gruppo Abele e dell’associazione Libera, che raggruppa 1600 associazioni in Italia e in Europa, ha ribadito che la situazione complessiva della repressione delle mafie non è incoraggiante ma segna, al contrario, indubbie battute di arresto. Ha spiegato ad esempio, a proposito dei beni sequestrati alle associazioni mafiose (lo dicono le statistiche approfondite, stilate a livello italiano, europeo e mondiale), è evidente che i meccanismi cavillosi e la scarsa volontà dei governi non solo ostacolano il ritorno di questi alla società sana, ma addirittura con la loro vendita all’asta (perché lo Stato non si fa carico, o non può, mantenerli con l’ordinaria amministrazione) rischiano di tornare nelle mani dei mafiosi. Il danno e la beffa: da un lato si combatte la mafia e, dall’altro, la si favorisce con questi meccanismi e con queste leggi fatte “male”.
Mostra – don Ciotti – la sua lontananza dai poteri tutti, anche quelli legati al Vaticano, ricorda don Puglisi, don Peppino Diana e tutti quei religiosi che hanno combattuto in prima fila e sono stati fedeli agli insegnamenti del Vangelo. Così ha ricordato la sua impossibilità di accettare che ci siano ancora sacerdoti come quello che si è mostrato vicino a un capomafia importante come Pietro Aglieri, uno degli eredi del gruppo corleonese di Salvatore Riina e di Bernardo Provenzano.
Nicola Tranfaglia è intervenuto, cercando da storico, di sottolineare il contesto dei problemi affrontati. Un contesto preoccupante diverso dal passato ma simile, e forse più pericoloso, perché più grande. La globalizzazione ha reso alle organizzazioni mafiose la possibilità di estendersi con grande velocità. Al contrario, le legislazioni e gli strumenti per combatterle sembrano aver rallentato la loro efficacia e soprattutto, ha rimarcato lo studioso, la mancanza di una legislazione internazionale omogenea in grado di colpire in maniera precisa e penetrante le mafie ormai presenti e ramificate in tutti i continenti.
Anna Petrozzi ha introdotto il dibattito spiegando di non aver scritto il libro da giornalista, ma di aver, attraverso le domande allo storico, voluto fornire un servizio soprattutto ai giovani che hanno bisogno di questa memoria per capire il passato e cambiare un futuro che si prospetta difficile e addirittura impraticabile per chi non accetta il pensiero unico che sta facendo tanta strada. Soltanto con la conoscenza e con un salto culturale sarà possibile, in un tempo non troppo lungo, sconfiggere l’assalto mafioso.
C’era un’aria diversa in sala e la lettura di questo libro potrebbe contribuire ad aprire gli occhi e avvicinarsi alla verità.  

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