“Possibili modifiche al codice antimafia”
di Aaron Pettinari - 20 febbraio 2012
Lo scorso fine settimana il ministro di Grazia e giustizia Paola Severino si è recata a Palermo per ascoltare le proposte del gruppo di magistrati e docenti universitari che da mesi studiano alcune modifiche al nuovo codice antimafia.
Ad essere particolarmente criticata è la normativa varata dal governo Berlusconi sulla confisca dei patrimoni mafiosi.
Al momento è infatti fissato in soli due anni e mezzo (un tempo esiguo rispetto ai tempi dei processi) il lasso di tempo massimo tra il sequestro e la confisca. Trascorso il termine, il bene deve essere restituito ai proprietari e non può essere più confiscato. Una norma che, così come è, espone ad alti rischi le aziende sottratte ai mafiosi che in tempi così brevi potrebbero avviarsi verso una inesorabile liquidazione con il licenziamento di centinaia di dipendenti.
A ribadire i rischi è stato Giovanbattista Tona, presidente dell'Anm di Caltanissetta e componente della Fondazione Progetto Legalità, mentre ha illustrato le proposte di modifica del Codice Antimafia elaborate dall'Osservatorio nazionale in materia di sequestro e confisca, insieme con il Dipartimento Dems dell'Università di Palermo, la Procura nazionale antimafia e i tribunali delle misure di prevenzione di Palermo e Milano, davanti al ministro della giustizia Paola Severino: “Il nuovo Codice Antimafia è la casa in cui vogliamo abitare ma entra acqua e necessita di riparazioni urgenti. In particolare si rendono immediatamente necessari alcuni correttivi riguardo la disciplina dei tempi del sequestro e i compiti dell'Agenzia Nazionale dei beni confiscati che con sole trenta persone non è oggettivamente in condizioni di svolgere il proprio ruolo se rimane il carico fin dal decreto di confisca di primo grado”. “È opportuno - ha proseguito Tona - eliminare la norma che pone a carico degli enti locali l'onere della restituzione delle somme di beni dei quali sia stata revocata la confisca: scoraggerebbe ogni richiesta di assegnazione di beni da parte degli enti locali per il rischio di sforare il patto di stabilità”. Preoccupazioni sono state condivise dalle sezioni Misure di prevenzione dei Tribunali di Milano, Napoli, Palermo e Roma, dalle Procure distrettuali di Caltanissetta, Catania, Lecce, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria e Torino.
Il documento complessivo è stato elaborato da magistrati e giuristi, in 23 punti, ed è stato consegnato al ministro Severino che si è detta assolutamente disponibile a prenderlo in considerazione. “Molti provvedimenti del governo interessano la magistratura, è importante il dialogo con i magistrati - ha detto la Severino - Stiamo affrontando i temi legati al sistema carcerario. L´altro istituto sul quale stiamo lavorando è quello della depenalizzazione. Ci sono una serie di riforme di carattere procedurale che interessano la magistratura, come il Tribunale dell'impresa”. Ma il convegno organizzato dall'Università di Palermo è stata anche occasione per dibattere sull'utilità o meno della certificazione antimafia per le imprese. Uno strumento che andrebbe rivisto secondo il capo della Dna Piero Grasso: “Dovremmo riuscire ad accettare di abolire la certificazione antimafia, solo che ogni volta che se ne parla ci sono reazioni scomposte, una sorta di tabù. Bisognerebbe creare uno standard di azienda modello un'impresa che si proponga di fare parte del sistema legale. Si potrebbero così risparmiare tempi lunghi per controlli per rendere più rapida l'attività imprenditoriale”. Grasso ha quindi proposto la creazione di una 'white list', “un bollo di qualità, insomma per le aziende per una maggiore trasparenza. Sia sotto il profilo della dirigenza, del personale. Ma è necessario che i movimenti di spesa siano trasparenti e tracciabili. Inoltre ci deve essere la garanzia che l'impresa non sia vittima di estorsione”.
Il procuratore antimafia Pietro Grasso ha poi sottolineato che va “evitato il rischio che certi controlli e che certe documentazioni antimafia vengano aggirati da prestanome puliti e che quindi queste imprese possano essere premiate eludendo i controlli. Insomma, serve una vera e propria 'rivoluzione' anche se credo che al momento non si è pronti”. Grasso ha poi ampliato i requisiti richiesti alle ditte candidabili a far parte della 'white list' e chiedendo di più del contrasto alle estorsioni. Ad esempio, la tracciabilità delle spese, da farsi attraverso bonifici bancari, la trasparenza dell'assetto societario, il rispetto della legge sullo smaltimento dei rifiuti: insomma un comportamento virtuoso a 360 gradi.
Quel che è certo è che in merito si discuterà a lungo ed intanto ci sono i primi consensi. La proposta sembra piacere al Guadasigilli che ha detto: “Sono favorevole all´abolizione del certificato antimafia e alla creazione di una sorta di registro delle aziende sane. Si può discutere della creazione di un´etica di impresa che selezioni quelle ditte che rispettino certi valori. In questi giorni tra le iniziative a cui stiamo pensando c´è il rating dell'impresa etica, un'iniziativa che si muove lungo la scia di quelle adottate da Confindustria per la lotta all'illegalità”
L'idea dell'elenco delle aziende da promuovere piace anche al procuratore di Palermo Francesco Messineo, più cauto, però, sulla radicale abolizione del certificato antimafia: “Non ci sono tabù e si può discutere di tutto in modo laico, però la totale abolizione del certificato antimafia è una misura troppo radicale. È vero che il certificato antimafia non ha dato risultati decisivi perché può essere eluso attraverso le intestazioni a prestanome, ma anche i divieti di parcheggio sono disattesi e ciò non comporta necessariamente che debbano essere aboliti”. Messineo si è detto quindi d'accordo sulla creazione di una lista di imprese virtuose: “Sarebbe, questa sì, una misura utile”.
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