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ingroia-antonio-web0di Antonio Cambria - 29 gennaio 2012
Una grande partecipazione di pubblico, ieri sera, ha preso parte al convegno “IL ‘NUOVO’ POTERE: MAFIOSI E CORROTTI”, organizzato dal Dipartimento regionale IdV, Politiche territoriali per l’educazione alla legalità e svoltosi presso l’Auditorium S. Cecilia, in Marsala (Tp).
Il dibattito, moderato dal giornalista Rino Giacalone, si è incentrato sul delicato tema dei rapporti tra la mafia nel suo complesso e la corruzione, tema che assume particolare pregnanza in un territorio, quale quello della provincia di Trapani, “particolarmente e storicamente difficile, che ha già in passato pagato prezzi altissimi in termini di perdita di autorevoli uomini delle istituzioni e che, oggi, appare sempre più in mano a così detti capi popolo, posti a presidio della zona”, così come illustrato da Enzo D’Alberti, segretario provinciale Idv Trapani, nel corso del suo intervento introduttivo.

“Una mafia che, ormai, agisce alla luce del sole, candidando propri esponenti in seno alle istituzioni”, ha aggiunto Nicola Fici, coordinatore cittadino Idv di Marsala, riferendosi al rapporto sussistente tra Cosa Nostra e la politica e che, proprio nella provincia trapanese, appare attuale nonché significativo in termini di contributo concreto al proliferare della economia e del potere mafioso e paramafioso.
Una tematica che, a Trapani, risulta tanto attuale quanto complessa da affrontare, a causa della perdurante latitanza del boss Matteo Messina Denaro, favorita certamente dai molteplici intrecci con il potere pubblico locale, ma non solo.
Una realtà territoriale che ha più volte messo a nudo, attraverso proprio la ricerca e la cattura di numerosi latitanti, l’esistenza di equilibri complessi, caratterizzati dalla presenza di tecnici e funzionari corrotti ed infedeli che, non raramente, si trovavano magari a partecipare, con spregio verso ogni valore etico e morale, alle diverse iniziative volte all’affermazione della legalità e della giustizia nonché alle commemorazioni delle vittime della mafia.
Ecco perché, sottolinea Rino Giacalone, in questo contesto sociale, rappresentativo di un fenomeno culturale di più ampia portata che abbraccia l’intera penisola, assume particolare significato la testimonianza di una cittadina coraggiosa, come Piera Aiello, presente al dibattito, che ormai da 20 anni racconta il disagio di dover combattere, da sola, una battaglia difficile, abbandonata dallo Stato, costretta a fare i conti con una vita profondamente mutata, in quanto “colpevole” di aver semplicemente esercitato quello che dovrebbe essere un dovere civico e sociale nonché etico, ossia denunciare alle autorità preposte il potere mafioso e il clima di illegalità dilagante e, per ciò solo, isolata da tutto e da tutti.
“Noi testimoni di giustizia abbiamo più volte chiesto ai partiti e ai media di attenzionarci, ma in pochi ci hanno ascoltati e quasi nulla è cambiato. Noi non chiediamo soldi o privilegi, vogliamo conforto”, denuncia Piera, con grande forza d’animo. “Fino a quando offriamo la nostra testimonianza”, aggiunge, “siamo utili e veniamo visti con favore, ma superata quella fase veniamo messi nel dimenticatoio. Lo Stato e la politica non ci ascoltano, le uniche fonti di vero conforto di questi anni sono state, per me, Paolo Borsellino, Antonio Ingroia, don Ciotti e la dott.ssa Camassa, oltre l’associazione Rita Atria. Ma, nell’attuale condizione in cui vivo, trovare un lavoro è davvero soltanto un’utopia”, ha concluso esprimendo rabbia e delusione, ma anche quella speranza che, proprio questi uomini, le hanno trasmesso consentendole di andare avanti.
Trapani, una realtà molto difficile, si diceva. Ma, stando all’ultimo rapporto stilato da “Italia Oggi” sulla qualità della vita, che la colloca come fanalino di coda nella graduatoria, forse il tema è ancora più delicato di quanto possa, a prima vista, apparire. Nel passare analiticamente in rassegna le varie ragioni poste a fondamento di questa situazione, l’avv. Giuseppe Gandolfo sottolinea l’enorme importanza rivestita da Cosa Nostra in seno all’economia locale, capace di intersecarsi e ramificarsi in tutti i settori pubblici, generando un sistema corrotto, che danneggia e corrode finanche il libero mercato. Ricordando il prezioso impegno dell’ex prefetto Sodano nella lotta alla criminalità organizzata, il cui allontanamento dalla prefettura di Trapani costituisce un capitolo del procedimento penale a carico del sen. D’Alì per concorso esterno in associazione mafiosa, l’avv. Gandolfo conclude con l’auspicio che, da parte di tutti, “la denuncia dell’ingiustizia possa molto presto trasformarsi in impegno nella giustizia”.
Un’operazione di allontanamento che, probabilmente, avrebbe potuto vivere anche il dott. Giuseppe Linares, vice questore e direttore della divisione anticrimine della questura di Trapani, stante il suo incessante impegno per la giustizia che ha condotto a realizzare numerose ed importanti operazioni di polizia, volte all’arresto di plurimi e pericolosi latitanti, nonostante le enormi difficoltà che ha, negli anni, dovuto riscontrare ed affrontare anche a causa della compiacenza e della connivenza di tanti funzionari pubblici. “La polizia e le forze dell’ordine”, evidenzia con una punta d’orgoglio, “hanno, dal 1994 ad oggi, operato molte catture eccellenti, onorando al meglio l’alveo degli strumenti normativi a loro disposizione, pur in un contesto di eccezionale difficoltà economica. Un rispetto assoluto verso le regole procedurali che non è venuto meno anche nelle ipotesi in cui il procedimento si è concluso con una sentenza di assoluzione verso quei soggetti indicati dagli investigatori come fiancheggiatori della mafia, in quanto l’impegno delle forze delle ordine non è quello di offrire soluzioni, è bene ricordarlo, ma evidenziare dei fatti e, di certo, nessuno potrà giammai accusarci di non aver messo impegno o lesinato energie nelle nostre operazioni”.
Una mafia che, nelle parole del dott. Linares, oggi più che mai ingrossa il proprio “tesoretto” grazie all’aiuto di diversi imprenditori locali e, per contrastare efficacemente il fenomeno, occorrono sinergie tra le diverse realtà, ma anche un impegno serio e concreto da parte del Legislatore, capace di recepire finanche gli spunti investigativi emersi da alcune operazioni di polizia, che offra nuovi strumenti normativi e pene congrue a talune fattispecie penali, edificando così dei concreti argini alla latitanza di Messina Denaro e di altri pericolosi boss. “Anche se – conclude il dott. Linares- non bisogna mai dimenticare che fare rapporti sulla mafia è assai più complesso, per ragioni plurime, rispetto alla cattura di un latitante. La cattura, infatti, è solo un momento ma, al tempo stesso, è già l’inizio di un altro”.
“Tornare a Marsala, rivedere Piera Aiello, è per me una bella sensazione ed emozione, ricordo di una stagione difficile, caratterizzata da promesse e, oggi, certamente fatta di passi avanti anche se la strada è, purtroppo, ancora in salita”, esordisce così, nel suo intervento, il procuratore aggiunto di Palermo, dott. Antonio Ingroia.
“Il momento storico in cui viviamo è nevralgico, non può tramutarsi in una occasione perduta. Da una parte, assistiamo ad una profonda trasformazione del fenomeno mafioso, dall’altra ci ritroviamo alla fine di una stagione politica connotata da attacchi costanti alla magistratura, rappresentativa di valori costituzionalmente garantiti, che ci hanno condotto ad assumere la posizione di guardiani, di partigiani, a resistere per la loro tutela. Senza esprimere alcun giudizio di natura politica, mi pare di poter affermare che siamo in un momento, dunque, di tregua, a tutti i livelli”. Una “tregua” che, nelle parole di Ingroia, deve essere smessa nella lotta alla mafia, specie verso una certa parte di essa, finora condotta esclusivamente nei confronti di quell’ala cosiddetta “militare”, in passato certamente caratterizzata da troppe inefficienze, ma pressoché nulla nei confronti di quella, definita dei “colletti bianchi, che tiene davvero sotto scacco l’intero sistema e su cui lo Stato ha, tuttavia, fatto mancare la propria volontà di intervenire. “Una mafia potente, – sottolinea Ingroia – che gestisce tante, troppe, realtà economiche ed imprenditoriali, che approfitta delle temporanee situazioni di difficoltà da queste vissute per ingerirsi, attraverso strumenti come l’usura, spostando le proprie centrali strategiche, dunque, proprio nel nord del nostro Paese, espandendosi ed integrandosi con le imprese settentrionali, attraverso cui riesce ad attingere agevolmente le risorse finanziarie utili al suo proliferare”. Un processo espansivo graduale ma, comunque, per nulla difficoltoso perché solo in apparenza le economie del nord erano sane, in realtà già infette dal morbo della corruzione che, dunque, rappresenta il giusto presupposto del fenomeno mafioso che, integrandosi con esso, costituisce un sistema unitario nel suo complesso, con la conseguenza di assumere le sembianze metaforiche di una tenaglia che, attraverso due bracci similari, conduce allo stritolamento dell’Italia intera.
“Ecco perché più che una tregua occorre un dialogo, un confronto costruttivo, in cui un ruolo importante deve recitarlo necessariamente anche la classe politica. Abbiamo appena messo alle spalle una stagione legislativa scellerata, caratterizzata da provvedimenti, come in materia di accorciamento dei termini prescrizionali, che vanno a ledere solo l’operato della magistratura e, conseguentemente, il cittadino. Occorre una profonda riforma della legislazione in tema di riciclaggio, magari attraverso l’adozione di un serio testo unico che, certamente, non può essere il nuovo codice c.d. antimafia. Urge una modifica dell’art. 416 – ter c.p., in materia di voto di scambio politico – mafioso, il cui assetto attuale è lacunoso, non comprendendo le condotte tipiche del rapporto tra la politica e Cosa Nostra. Ancora, introdurre la Confisca Europea, semplicemente recependo una direttiva comunitaria, già esistente, nel nostro ordinamento. In una parola, - conclude il dott. Ingroia – occorrerebbe concretizzare le aspettative di una nuova, vera, stagione, in un Paese che dovrebbe reagire sul serio ad una siffatta situazione che lo danneggia su tutti i versanti. Ma, purtroppo, temo ci vorrà molto tempo prima di riavere un’etica pubblica conforme davvero ai principi costituzionali”.
“Manca la volontà politica di dare seguito a tutte queste idee e proposte”, sottolinea con una punta di amarezza il sen. Luigi Li Gotti, componente della commissione parlamentare Antimafia. “Si tratta di DDL tutti già discussi che, però, giaciono tristemente in Parlamento. Non vi è una maggioranza politica che voglia recepire queste indicazioni, quanto recentemente accaduto con la vicenda Cosentino è tristemente sintomatico di questa posizione. Infatti, le vere riforme, cui il dott. Ingroia e la magistratura hanno finora fatto riferimento, richiedono una ferma volontà della politica che, oggi come ieri, è del tutto assente, in quanto non si riscontra finanche la dignità di rispettare il principio di leale collaborazione istituzionale”.
Il sen. Li Gotti evidenzia, poi, l’antica sinergia sussistente tra la mafia e la corruzione, sottolineando il ruolo da sempre assunto da Cosa Nostra in tema di appalti, con conseguenze pregiudizievoli per l’economia nazionale, che proprio attraverso lo strumento corruttivo ha visto aumentare le proprie risorse patrimoniali, costituendo negli anni una metastasi che è arrivata ormai a diffondersi su tutto il suolo italico, così come recentemente denunciato anche dalla Corte dei Conti. Un cancro che, evidenzia Li Gotti, ha usufruito anche della gestione dei giochi d’azzardo, nuova frontiera del crimine, che ormai risulta essere in mano a pericolose organizzazioni criminali, con la compiacenza dello Stato, che assai spesso risultano essere collegate a società aventi sedi all’estero.
“Ciò che occorre – osserva ancora Li Gotti – è una vera rivoluzione culturale, il Paese sta andando indietro, e lo Stato non vuole e non riesce ad arginare il fenomeno della sinergia tra mafia e corruzione. Cartina di tornasole è la discussione circa l’introduzione del reato di auto riciclaggio, apparentemente condivisa da tutte le forze politiche. Già nel 2009 poteva essere contrastato attraverso un mio emendamento al Pacchetto Sicurezza, che inizialmente era stato accolto con favore da parte di tutti, Governo compreso, ma che inspiegabilmente fu, in ultimo, accantonato in quanto meritevole di una approfondita riflessione che lo avrebbe dovuto introdurre in un più ampio testo di riforma. Ebbene, sono trascorsi tre anni ma ancora non è giunta alcuna risposta o testo normativo. Evidentemente, deve trattarsi di una riflessione molto profonda…”.

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