Il Rapporto sullo Stato di diritto della Commissione europea: democrazia in affanno, il quadro italiano resta preoccupante
Come ogni anno, anche quest’estate è stato pubblicato l’immancabile Rapporto sullo Stato di diritto della Commissione europea: un’analisi dettagliata che fotografa la situazione nei vari Stati membri dell’Unione. Per quanto riguarda l’Italia, il giudizio resta critico. Nonostante qualche timido progresso, emergono ancora numerose fragilità, in particolare nei settori della giustizia e della libertà di stampa. Dunque, nulla di nuovo. Ad ogni modo, il quadro che ne risulta è quello di un Paese in cui le riforme strutturali faticano a tradursi in miglioramenti concreti. La giustizia continua a essere appesantita da ritardi cronici e inefficienze sistemiche che, oltre a ostacolare il funzionamento dell’intero sistema, contribuiscono a consumare la fiducia di cittadini e imprese nelle istituzioni. Insomma, secondo Bruxelles, l’Italia ha compiuto passi avanti “limitati, ridotti o nulli” rispetto alle raccomandazioni formulate negli anni precedenti.
A confermare questa stagnazione sono i ripetuti attacchi politici alla magistratura, l’eccessiva durata dei processi, l’alto livello percepito di corruzione e la persistente opacità nel finanziamento dei partiti, aggravata da un’assenza di regole efficaci sul lobbying. L’Italia, infatti, non ha ancora adottato una normativa sul conflitto d’interessi né ha istituito un registro nazionale dei lobbisti: un ritardo normativo che rischia di compromettere ulteriormente la trasparenza e l’equilibrio del sistema politico. Tra i punti più critici, spicca il tema della giustizia. Il Rapporto menziona espressamente le critiche rivolte alla magistratura da esponenti del governo e del Parlamento, soprattutto in materia di immigrazione. Attacchi pubblici che, secondo la Commissione, sono in netto contrasto con gli standard europei e richiedono una chiara distinzione tra potere esecutivo, legislativo e giudiziario.
Anche sul piano dell’efficienza, la situazione resta allarmante: l’Italia continua a detenere il primato negativo per la durata dei processi civili, con una media di sei anni. Una lentezza che comporta anche gravi costi economici: solo nel 2023, lo Stato ha dovuto versare oltre 88 milioni di euro in risarcimenti per violazione del diritto a un processo di durata ragionevole.
A questo si aggiunge il ritardo nella digitalizzazione. Il sistema informatico APP (Applicativo Processo Penale), pur essendo stato reso obbligatorio, ha incontrato serie difficoltà: 87 uffici giudiziari hanno chiesto deroghe per problemi tecnici, carenza di infrastrutture e personale non adeguatamente formato.
Situazione analoga anche per quanto riguarda la lotta alla corruzione che continua ad apparire ferma. La percezione di un alto livello di corruzione, infatti, rimane molto diffusa: oltre l’80% degli italiani intervistati ritiene che il fenomeno sia fortemente radicato nel Paese, ben al di sopra della media europea. A preoccupare è anche la convinzione, espressa da molti cittadini e imprenditori, che la corruzione incida concretamente sulla vita quotidiana. In questo contesto, l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, pur ritenuta costituzionale dalla Corte, non ha di certo aiutato. Un ulteriore elemento di criticità pare essere rappresentato dal largo uso di strumenti come il decreto legge e il voto di fiducia. Si tratta di una tendenza particolarmente viva all’interno dell’attuale governo di maggioranza, che finisce per limitare il dibattito parlamentare e accentuare la concentrazione del potere esecutivo.
A ciò si aggiungono le preoccupazioni legate al cosiddetto “decreto Sicurezza”, considerato una delle misure simbolo dell’attuale esecutivo, ma che - secondo il Consiglio d’Europa - potrebbe invece violare alcune disposizioni della Convenzione europea dei diritti umani.
Sul piano normativo, il Rapporto pone l’attenzione anche su una delle riforme più controverse: quella sulla separazione delle carriere tra magistratura giudicante e requirente. La proposta ha suscitato ampie critiche da parte delle associazioni di categoria, che temono un indebolimento dell’autonomia della magistratura e uno squilibrio tra i poteri dello Stato. Non a caso, le principali associazioni dei magistrati hanno espresso un forte dissenso, arrivando a proclamare uno sciopero nazionale.
Infine, ma non meno importante, è la questione della libertà di stampa. Secondo la Commissione, i giornalisti italiani continuano a incontrare ostacoli significativi nello svolgimento del proprio lavoro, anche a causa di una protezione insufficiente delle fonti e del segreto professionale. Circostanza che, inevitabilmente, compromette il ruolo della stampa come cane da guardia della democrazia. Un caso emblematico è quello dello spyware israeliano “Paragon”, utilizzato per sorvegliare alcuni giornalisti: un episodio senza precedenti nel nostro Paese. A ciò si sommano gli effetti della riforma Cartabia e dell’emendamento Costa, che hanno reso più difficile l’accesso alle informazioni giudiziarie, ostacolando il lavoro della stampa nel seguire e raccontare le inchieste in corso.
Anche la questione della governance e del finanziamento del servizio pubblico radiotelevisivo è stata oggetto di osservazione da parte della Commissione. Sebbene siano stati riconosciuti alcuni miglioramenti nelle risorse assegnate alla RAI, Bruxelles ha comunque ribadito la necessità di garantire un assetto stabile e indipendente, al riparo da pressioni politiche, affinché il servizio pubblico possa offrire un’informazione corretta, pluralista e di qualità.
Immagine realizzata con supporto IA
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