L’esame del testo alla commissione affari costituzionali del senato
Il concetto di "conflitto di interesse" manca di una definizione precisa e tipizzata, lasciando spazio a interpretazioni arbitrarie che possono penalizzare i parlamentari senza criteri oggettivi. Ad esempio, un parlamentare con un parente condannato per mafia, come uno zio o un cugino, non è automaticamente considerato in conflitto e può rimanere in Commissione, mentre un magistrato che ha indagato mafiosi rischia l'esclusione per il solo fatto di aver svolto il proprio lavoro. Inoltre, la possibilità per la maggioranza politica di decidere chi escludere dalla Commissione apre la porta a decisioni discrezionali e influenzate da dinamiche politiche piuttosto che da valutazioni oggettive. Ancora più paradossale è la disparità di trattamento: i parlamentari incriminati per reati di mafia subiscono limitazioni minori, come l'esclusione da specifici atti, mentre quelli non incriminati possono essere inibiti da tutte le funzioni, incluse audizioni pubbliche trasmesse via web, accessibili a tutti.
Sono solo alcuni dei punti critici che sono emersi durante l’esame del 26 giugno davanti alla commissione affari costituzionali del senato in merito alla legge sul conflitto di interessi in commissione antimafia (fatta apposta per cacciare Roberto Scarpinato e Federico Cafiero de Raho).
Le falle normative nel testo sono tante a partire della stessa definizione di conflitto di interesse: “Se il conflitto di interesse non è definito come tipizzato, può essere creato in modo assolutamente discrezionale dalla maggioranza politica, senza nessuna garanzia per il parlamentare” ha detto l’ex procuratore generale di Palermo Scarpinato durante l’audizione.
Ha concordato con lui il professore Michele Ainis, ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università Roma Tre: “Suona assolutamente improprio - ha detto - che questo giudizio sia affidato alla maggioranza della commissione” perché la decisione di estromettere un parlamentare dai lavori della commissione dovrebbe essere presa da un “organo terzo” come i “presidenti delle commissioni”, “delle camere” oppure “l’autorità antitrust” o ancora la stessa Corte Costituzionale.
Altro punto scottante è la mancanza di garanzie: a chi si appellerà il parlamentare che verrà espulso dalla commissione?
Al momento il testo non individua nessun organo in grado di adempiere a tale funzione. Questa lacuna crea una “norma in bianco”, ha detto Scarpinato, che “mette una rivoltella nelle mani della maggioranza” la quale deciderà lei stessa chi è in conflitto di interessi e quando. Per Tommaso Edoardo Frosini, ordinario di Diritto pubblico comparato e Diritto costituzionale e direttore del Dipartimento di Scienze giuridiche ed economiche presso l'Università degli Studi "Suor Orsola Benincasa" di Napoli “è eccessivo che il legislatore debba ricorrere ad una legge per regolamentare questo” e suggerisce che sarebbe auspicabile una norma “che prevede l'obbligo di astensione, non di dimissione, quindi una cosa momentanea, non permanente”.
Invece la legge in esame, come ha puntualizzato il professore Michele Ainis, ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università Roma Tre, ha “un bersaglio con nome e cognome ed ha un sapore persecutorio”; “siamo di fronte ad una legge ad personam, o meglio, contra personam, perché questo lo dichiara la stessa relazione illustrativa al disegno di legge” ha continuato spiegando che è illogico escludere un magistrato antimafia dalla Commissione poiché sono richieste per legge competenze specifiche per i membri, creando un paradosso, come se si vietasse ad avvocati o ingegneri di partecipare a Commissioni pertinenti.
Riassumendo: se questo è l’inizio sarebbe auspicabile gettare nel cestino questa ‘patacca’ di disegno di legge e magari pensare di far fare ai commissari il loro lavoro. È solo un consiglio.
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Foto © Imagoeconomica
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