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Il procuratore di Milano: “Sono sempre più gli imprenditori a cercare la mafia, non il contrario”

La mafia impone una tassa alla società, diversa dal pizzo: è il costo della sua stessa presenza sul territorio e dei suoi obiettivi. Oggi si discute molto della fuga dei giovani italiani all’estero, una perdita gravissima per il Paese, soprattutto perché a partire sono spesso i migliori. Ma perché se ne vanno? Perché il sistema comunica secondo logiche distorte, in cui la criminalità mafiosa convive con quella economica e con la corruzione. In un contesto del genere, i giovani non trovano strade per emergere, non vedono possibilità. E così decidono di andarsene”. A dirlo, durante un incontro intenso e partecipato che si è svolto nella serata di ieri a Lecco, è stato il professor Nando Dalla Chiesa, sociologo, scrittore e figlio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Insieme a un’altra figura di spicco nella lotta alla criminalità organizzata, la dottoressa Alessandra Dolci - procuratore aggiunto presso il Tribunale di Milano e coordinatrice della Direzione Distrettuale Antimafia - Dalla Chiesa ha ripercorso i meccanismi, tristemente noti, che da molti anni, troppi, contraddistinguono il sistema italiano: sempre più antimeritocratico, sempre più radicato in una cultura spesso mafiosa e incline alla corruzione. Un sistema che, altrettanto spesso, tende a premiare relazioni opache e scorciatoie, a scapito dei legami che dovrebbero invece maturare grazie ai meriti nati da sacrifici e competenze reali.
La serata lecchese, organizzata dalla Sottosezione dell’Anm di Lecco e dall’associazione culturale “Bang”, si è aperta con l’intervento dell’avvocato Roberto Romagnano. A seguire, i contributi dei relatori sono stati moderati dall’ex giudice Piero Calabrò, oggi attivo nel sociale e promotore assiduo della cultura della legalità. L’incontro è stato introdotto dai saluti delle principali autorità giudiziarie e istituzionali del territorio. Tra queste, il presidente del Tribunale di Lecco, Marco Tremolada, e la presidente della sezione penale, Maria Bianchi, che ha sottolineato l’importanza di una magistratura forte e legittimata nella lotta alla criminalità organizzata. “La magistratura - ha precisato Bianchi - è lo Stato, agli occhi delle mafie. Anche per questo motivo servono risorse adeguate per poter celebrare i processi. Occorre, inoltre, riflettere sulle azioni che sminuiscono la magistratura agli occhi dell’opinione pubblica, anche in considerazione della percezione che di queste azioni hanno le varie mafie presenti in Italia”.


Nando Dalla Chiesa: “La mafia non è lontana né invisibile”

Da profondo conoscitore delle infiltrazioni mafiose nel tessuto urbano e delle complesse dinamiche spesso alla base di appalti e concessioni, Nando Dalla Chiesa - oggi presidente del Comitato Antimafia del Comune di Milano - ha sottolineato come la Lombardia, al di là delle classifiche ufficiali, sia il territorio più attenzionato dalla ‘Ndrangheta dopo la Calabria. Al punto da poterla definire la “seconda Regione di 'Ndrangheta in Italia”. La mafia - ha ribadito - non è un'entità lontana o astratta, “ma una realtà quotidiana, che passa anche attraverso i lavori più umili”. Proprio come il primo mafioso individuato in Lombardia, “che di mestiere faceva il muratore”. A pesare in modo decisivo sull'espansione delle mafie, soprattutto al Nord, è stata la convinzione, coltivata per troppo tempo, che la mafia al Settentrione non esistesse. Peccato che i fatti abbiano dimostrato l’esatto contrario. “I mafiosi - ha concluso Dalla Chiesa - non sono solo quelli che mandano i figli a studiare a Oxford oppure operano nell’alta finanza. Sono anche persone che svolgono lavori molto più ordinari rispetto a quelli descritti dal sistema mediatico. Sono quelli che, in pratica, popolano le nostre città”.


Dolci: “Le mafie operano nell’ombra. In Lombardia esiste un vero consorzio criminale”

A sottolineare la presenza capillare delle mafie in Italia e i loro legami sempre più stretti con l’economia è stata anche Alessandra Dolci, procuratore aggiunto al Tribunale di Milano e coordinatrice della Direzione Distrettuale Antimafia. Per farlo, Dolci ha portato l’esempio della provincia di Como, dove, in soli tre anni, si sono registrati oltre 400 “reati spia” - episodi come minacce e incendi dolosi - che indicano l’attività della criminalità organizzata.
Un segnale rilevante - ha aggiunto - riguarda il periodo successivo all’indagine “Crimine-Infinito”: da quel momento, episodi di questo tipo sono diventati molto meno frequenti. “Perché?”, si è chiesta Dolci. “Forse perché si nascondono dietro nuove dinamiche, che col tempo hanno spinto le persone a denunciare meno i reati di mafia”.
Un esempio emblematico di questo fenomeno è rappresentato dal mondo delle cooperative, che in Italia sembra aver trovato una sorta di Eldorado. Senza generalizzare - ha spiegato Dolci - esistono numerose cooperative che non pagano imposte, non versano i contributi, offrono servizi sottocosto e sfruttano i lavoratori. “Prestazioni di bassa qualità e manodopera a prezzi super competitivi: anche per questo motivo - ha precisato - non c’è interesse a denunciare il fenomeno”. Non sorprende, quindi, che proprio in Lombardia l’attività delle mafie sia particolarmente viva. In un vero e proprio “consorzio criminale”, ‘Ndrangheta, Cosa Nostra e Camorra uniscono i propri interessi, operando attraverso una fitta rete di società, false fatturazioni e flussi finanziari illeciti. Proprio questo ha trasformato il rapporto tra mafia e impresa. Se un tempo si pensava all’imprenditore come vittima dell’estorsione, oggi capita sempre più spesso che sia lui a cercare la mafia per trarne vantaggi. Un altro caso emblematico è quello della Spumador S.p.A., storica azienda comasca di bevande gassate, finita sotto amministrazione giudiziaria per aver consentito a diverse società legate alla ‘Ndrangheta di operare indisturbate. “Era una situazione stabilizzata nei rapporti tra le parti - ha ricordato Dolci - in cui ciascuno curava i propri interessi”. E ancora: “Se gli imprenditori agiscono unicamente per convenienza - ha concluso - diventa ancora più difficile combattere le mafie. Soprattutto perché le mafie non tralasciano alcun settore della nostra economia”.

Foto © Imagoeconomica

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