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La sentenza svela l’intreccio tra criminalità, politica e istituzioni. Ecco le 'eminenze grigie' del Nord

"La locale trentina non solo si è inserita nel tessuto economico-sociale della Provincia, ma è stata particolarmente attiva anche nell'intrattenere rapporti con figure politiche o istituzionali, tra l'altro entrando a far parte di organi elettivi e ottenendo l'assegnazione delle cariche attraverso le quali l'ente pubblico gestisce l'attività di estrazione del porfido".
Sono pesantissime le considerazioni della Corte d'Assise d'Appello di Trento (presidente Eugenio Gramola) che lo scorso febbraio ha confermato la condanna prevista in primo grado per otto imputati di associazione a delinquere di tipo mafioso e sfruttamento del lavoro nell'ambito del processo seguito all'indagine "Perfido" sulle infiltrazioni della 'Ndrangheta nel settore del porfido in Trentino. La Corte aveva, in sintesi, confermato l'impianto della sentenza di primo grado, escludendo alcune contestazioni relative a fatti avvenuti prima del 4 novembre 2016. In particolare, sono stati condannati Giuseppe Battaglia, la moglie Giovanna Casagranda, il fratello Pietro Battaglia, assieme a Mario Giuseppe Nania, Demetrio Costantino, Antonino Quattrone, Domenico Ambrogio e Federico Cipolloni. Per alcuni, le pene sono state riformate, con riduzione di alcuni mesi rispetto a quelle iniziali.
Pochi giorni fa sono uscite le motivazioni della sentenza che riassumono, in oltre 500 pagine, le dinamiche mafiose, i pestaggi, l'interesse degli imputati alla vita politica, "non soltanto al livello di appoggiare candidati che possano poi essere riconoscenti, ma anche iniziando ad inserire nelle competizioni elettorali propri uomini di fiducia".
I giudici fanno una considerazione amara: "Non stupisce - scrivono - che nessuno abbia rilevato l'esistenza di grossolani conflitti di interesse tra le cariche pubbliche assunte da taluni degli imputati e la loro attività imprenditoriale, mentre stupisce ben di più che figure istituzionali, magistrati inclusi, si siano prestate a contatti quanto meno fuori luogo".
Uno dei nomi che faceva da "significativo 'trait d'union' tra l'associazione criminale e gli ambienti economici, politici ed istituzionali della Regione è Carini Giulio, imprenditore calabrese, il quale è collegato al contesto criminale, sia calabrese che locale". La posizione di Carini è stata "stralciata", ricordano i magistrati, cioè si è conclusa, appunto, con l'archiviazione per motivi giuridico-sanitari.
Tuttavia, "dal complesso delle intercettazioni risulta chiaramente che il Carini è estremamente attivo nell'intrattenere relazioni con 'gente che conta'" come ad esempio “alcuni medici in genere e, in particolar modo, con il dottor Tirone Giuseppe, direttore dell'unità chirurgia generale dell'ospedale civile Santa Chiara di Trento; con il Presidente del Tribunale ed altri magistrati; con l'ex prefetto di Trento Gioffrè Pasquale o il vice questore Grasso Giuseppe; con esponenti delle forze dell'ordine". Sono frequentazioni finalizzate "esclusivamente ad ottenere un tornaconto diretto": per agevolare "parenti e amici nelle visite mediche", "per conoscere un'azione penale o per accelerare una pratica di passaporto o una licenza amministrativa", "agevolare progetti e favorire concessioni, non trascurando anche di rivolgersi ad alcuni membri della magistratura per consulenze di carattere giuridico o interventi di altra natura".
Altro nome che ha avuto contatti con soggetti istituzionali particolarmente rilevanti è Domenico Morello, condannato in via definitiva a settembre 2024 in un altro processo scaturito sempre dall'indagine 'Perfido' come organizzatore di una 'locale' di 'Ndrangheta operante nella provincia di Trento, collegata alla cosca Serraino di Reggio Calabria.
Fu Morello a rivolgersi "al proprio referente istituzionale, il generale Dario Buffa (esercito, ndr)" al fine di "avere un contatto con il Presidente del Tribunale", che al tempo era Guglielmo Avolio, per risolvere un problema giudiziario. Il contatto non ci fu, ma il generale si adoperò ugualmente per cercare informazioni presso "un'altra fonte".
Stando alle intercettazioni telefoniche, il generale si informò sulle indagini e l’11 febbraio 2020: “Buffa – è la ricostruzione del Ros – afferma di aver verificato, tramite conoscenze nella Procura della Repubblica di Trento, un’eventuale iscrizione di Morello nel registro degli indagati”. Non si rivolse direttamente ad Avolio, stando a quanto scoperto dalle indagini, ma di “aver chiesto ad altra fonte”. Otto mesi dopo, Morello fini in carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso. 

L'associazione Magna Grecia

Il "sodalizio criminale, attraverso l'associazione culturale Magna Grecia, composta in realtà quasi esclusivamente da appartenenti alla 'Ndrangheta, anche per la progressiva defezione degli altri, che avevano compreso chi vi si era insediato, è giunta ad assumere contatti con magistrati, prefetto, questore, un generale dell'esercito, e anche altre personalità, per tentare di carpire informazioni di utilità per gli associati, come è avvenuto a seguito dell'inopinato disvelamento delle indagini in corso, e comunque di mantenere rapporti con chi poteva sempre servire, come in precedenza meglio e più ampiamente visto.
Nessuno degli imputati - si legge - ha confessato alcunché, anzi, sono state costantemente raccontate menzogne, in alcuni casi anche in contrasto con le più elementari regole della logica o con risultanze diametralmente opposte (e chiarissime) delle conversazioni intercettate".  

L'infiltrazione nel territorio del Trentino

L'associazione mafiosa che ha operato in Trentino ha iniziato in maniera silenziosa, infilandosi nelle cave del porfido. Ma non per questo la sua forza intimidatrice è venuta meno, né mai lo è stata.
L'astuzia prevalse e si arrivò ad una penetrazione "nel territorio trentino in modo profondo e grave", scrivono i giudici, tanto che i fratelli Battaglia e Nania sono "giunti a influire sulla locale stazione dei Carabinieri, che di fatto faceva più i loro interessi che quelli della collettività".
Come loro, sono stati asserviti anche l'ASUC, che gestisce proprio gli usi civici nel settore delle cave, e “da ultimo, l'intero Comune di Lona Lases, facendovi eleggere un sindaco di proprio interesse e venendo il Battaglia Pietro stesso eletto in una lista dove gli sfrontatissimi imputati hanno richiesto la firma di presentazione persino ad Arafat Mustapha", considerato dai magistrati il braccio armato senza essere affiliato alla 'Ndrangheta.
I giudici ricordano il pestaggio del lavoratore cinese "Hu Xupai, legato ad una sedia e violentemente percosso anche con una pistola da Arafat (come detto, incredibilmente presentatore della lista nel comune di Lona Lases), pestaggio che ha, tra l'altro, divelto quattro denti allo sfortunato cinese, il quale ha pure subito l'indifferenza dei carabinieri intervenuti; sono elementi che colorano di una gravità ancora maggiore quanto risulta già gravissimo". 

Foto © Matteo Ianeselli

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