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Il sostituto procuratore nazionale con Sigfrido Ranucci ospite a Giovinazzo dell'evento “Conversazioni dal mare”

“In questo momento c'è una precisa volontà di chiudere il capitolo delle stragi mafiose; il capitolo delle cointeressenze e delle complicità di apparati deviati dello Stato, anche delle stragi degli anni Settanta e Ottanta. Colgo segnali preoccupanti e finalizzati a chiudere per sempre la stagione delle grandi inchieste dei rapporti della mafia con la politica”. Sono parole dure, ma estremamente lucide, quelle dette dal sostituto Procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo durante l'evento “Conversazioni dal Mare” a Giovinazzo. Parole che mettono in evidenza “una grande volontà di dimenticare, e far dimenticare al Paese, tutto quello che è successo e che ancora oggi produce degli effetti nel tessuto politico, istituzionale e sociale che viviamo”. 
Il magistrato, partendo da quanto riportato nel libro scritto assieme a Saverio Lodato, Il colpo di spugna (edito da Fuoriscena), di fronte ad un migliaio di persone per un'ora ha dialogato assieme al conduttore di Report, Sigfrido Ranucci ed il giornalista Giuliano Foschini. Diversi i temi affrontati. Dal processo sulla trattativa Stato-mafia, alla ricerca della verità sulle stragi, dalle riforme della giustizia, all'importanza dell'informazione per giungere ad una coscienza democratica.
“Io non so se c'è un disegno unico, ma i segnali sono quelli - ha detto Di Matteo, che nel corso della serata ha anche ricevuto il Premio Conversazioni dal Mare 2025 - Vogliono ridimensionare tutto. La normalizzazione passa anche attraverso le riforme in cantiere che spacciano come riforme utili alla giustizia ma che in realtà non ce ne è una che velocizzi il processo o renda più facile al cittadino di vedere riconosciuti i propri diritti in sede civile e giudiziaria”.  


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Il colpo di spugna

Un primo “colpo di spugna” alla storia è stato dato dalla sentenza di Cassazione sul processo trattativa Stato-mafia. Una sentenza che Di Matteo rivendica il diritto di criticare. “Le sentenze vanno rispettate, ma con il giornalista Lodato abbiamo ritenuto di scrivere per raccontare fatti e un po' per cercare di far luce su una vicenda sulla quale sono state dette tante falsità ed omessi tanti aspetti - ha detto ricordando le conclusioni dei giudici nei processi di primo e secondo grado - In quelle sentenze, seppur difformi, veniva fatta una lettura approfondita dei fatti. Ebbene rispetto alle diecimila pagine delle motivazioni con una ventina di pagine, entrando anche nel fatto, cambiando la formula assolutoria dicendo che quei soggetti istituzionali non avevano commesso il fatto, la Cassazione ha apoditticamente distrutto le considerazioni dei giudici delle indagini preliminari, dei pm, dei giudici togati e non togati di primo e secondo grado, definendo il loro approccio come storiografico. Per questo ho scritto il libro, per difendere il lavoro di quei giudici. Perché quello non è un approccio storiografico”.


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Secondo Di Matteo “se si analizza quello che è avvenuto tra lo Stato e la mafia in quegli anni, dove ci furono sette stragi, non puoi non legare i fatti gli uni agli altri; i fatti delittuosi al conteso sociale, istituzionale e politico in cui quei fatti avvenivano. La Cassazione ha utilizzato un metodo che porta ad atomizzare, parcellizzare ed esaminare i fatti come se ciascuno fosse completamente indipendente dall'altro. Questo, rispetto a fenomeni complessi come quelli stragisti, e dialogo a distanza tra stato e la mafia, è il modo per evitare che si capisca. Lo stesso metodo che sta utilizzando la Commissione parlamentare antimafia”. 

La Commissione antimafia e il caso Mori

“Emergono precisi e concreti elementi per ritenere che assieme agli uomini di Cosa nostra agirono anche soggetti esterni all'organizzazione mafiosa - ha affermato Di Matteo - in un Paese che ha rispetto della memoria noi avremmo il dovere di andare avanti. La Commissione parlamentare antimafia, con suoi poteri di inchiesta, che sono paritetici dell'autorità giudiziaria dovrebbe muoversi nell'approfondimento. Ma loro non si occupano delle sette stragi, ma di una sola strage e di un solo possibile movente di quella strage”. 
Della Commissione antimafia, guidata dalla Presidente Chiara Colosimo, ha parlato anche Sigfrido Ranucci che è tornato ad anticipare alcuni contenuti della puntata odierna: “Faremo vedere come la Commissione antimafia sia stata in qualche modo condizionata da Mario Mori, generale che è stato imputato nel processo trattativa Stato-mafia. Una persona al centro delle investigazioni parla di un generale Mori che, scientemente, cerca di scegliere i consulenti della Commissione antimafia, propone di diventare consulente e dice 'state tranquilli vi faccio chiamare da persone che sono interne alla Commissione'. Non sappiamo chi. Speriamo di scoprirlo. C'è il tentativo chiaro di condizionare le indagini e portarle verso l'ipotesi che ha preso piede negli ultimi mesi: quella di un Borsellino ossessionato da mafia appalti e ucciso per quel motivo. Emerge un fatto che neppure Mori crede a quella pista”. 

Il mondo al contrario

Ranucci ha poi sottolineato l'esistenza di alcune intercettazioni in cui De Donno parla della propria stima per Marcello Dell'Utri e Mori parla della propria disistima per magistrati come lo stesso Nino Di Matteo. “La Commissione antimafia nasce per il fatto che la stessa mafia, per cui Dell'Utri è stato condannato in via definitiva per concorso esterno, ha ucciso oltre mille persone innocenti - ha ricordato Ranucci con forza -Sentire Mori che parla così di Di Matteo e De Donno, che parla in quel modo di un condannato per mafia, vedere poi che parlano in quella sede istituzionale fa venire brividi. E' la testimonianza di un mondo al contrario. A Di Matteo dobbiamo dire grazie per le inchieste che ha fatto perché ci ha dato il modo di capire cosa è avvenuto in quegli anni. Quella sentenza, quella requisitoria, quegli atti giudiziari sono pagine di storia che andrebbero portate in tutte le scuole per capire i rapporti malati tra politica e mafia. Nonostante le assoluzioni non c'è un fatto in quegli atti che sia stato messo in dubbio”. 


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Quindi Ranucci ha aggiunto: “Parlo di mondo malato perché poi Di Matteo è diventato obiettivo anche di colleghi, di politici, che lo hanno accusato di aver inventato la teoria della trattativa, quando lo stesso Mori lo ha ricordato di aver attivato lui una sorta di trattativa. Di Matteo diventa obiettivo, mentre Dell'Utri riceve la stima di un colonnello dei carabinieri e gente condannata per mafia come Cuffaro viene riabilitata e partecipa alla vita politica. O ancora abbiamo un aeroporto intitolato a Falcone e Borsellino a Palermo, ed uno a Milano intestato a Berlusconi. Un uomo che è dimostrato in sentenze che ha pagato la mafia fino a dicembre 1994”. 
Tra le anticipazioni del conduttore di Report anche l'annuncio di un contenuto del servizio che sarà dedicato alla cosiddetta pista nera dietro le stragi: “Manderemo in onda la prova che Delle Chiaie, leader di Avanguardia Nazionale, era a Palermo nel periodo delle stragi. Un fatto negato da magistrati, da alcuni politici e giornalisti”.
Un altro tassello del mondo al contrario, poi, è quello della legge che si sta discutendo in parlamento per far fuori dalla Commissione parlamentare antimafia il senatore Roberto Scarpinato.Mario Mori propone al giornalista del dubbio Damiano Aliprandi di far parte della Commissione. Lui declina perché ha un conflitto di interessi con Scarpinato in quanto era stato querelato e condannato in primo grado. Poi ispira l'idea di far fuori Scarpinato dalla Commissione perché c'è l'intenzione di dirottare le indagini su mafia appalti. Dunque nel 2023 si parla di espulsione di Scarpinato e che guarda caso è oggetto di legge che si discute al senato per buttare fuori dalla Commissione una delle memorie rimaste là dentro su vicende di mafia. Questo è di una gravità inaudita”.


Le riforme ingiuste

Nel corso della serata si è anche parlato delle riforme della giustizia. In particolare Di Matteo ha messo in evidenza la continuità tra la riforma Cartabia e Nordio, che hanno aperto il varco ad idee del passato che erano proprie del primo governo Berlusconi, e prima ancora del piano di rinascita 2 di Licio Gelli.  


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“Rispetto a queste cose noi abbiamo il dovere di parlare - ha ribadito il magistrato palermitano - Ho letto che si sta discutendo di introdurre un apposito 'illecito disciplinare' per quei magistrati che pubblicamente prendono la parola sulle riforme e criticando il governo o colori i quali portano avanti certe riforme. Un illecito disciplinare per chi parla, spiega ed espone in pubblico le proprie opinioni ed espone ai cittadini i rischi che si corrono se passano le riforme. A me del procedimento disciplinare non interessa nulla, in certi momenti si deve avere il coraggio di affermare la propria opinione e dire che la separazione delle carriere, in tutti i Paesi in cui è prevista, prima o poi ha portato il pm a finire sotto l'esecutivo. E questo non è un bene per la democrazia. Vogliono trasformare le Procure in meccanismi lontani dalla cultura della giurisdizione, ma collaterali rispetto all'esecutivo”. Secondo Di Matteo, dunque ad essere a rischio è l'equilibrio dei poteri dello Stato: “Stanno concentrando i poteri sull'esecutivo a scapito del legislativo e del giudiziario. Questo rischia di portarci a forme di Stato autoritario che non è quello disegnato dalla Costituzione. Dicono che c'è la necessità di riformare la Costituzione. Non va riformata. La vera lotta è quella per applicarla veramente”.


Essere irregolari

Infine Di Matteo, rispondendo ad una domanda di Ranucci sulla sua fiducia nello Stato, in primo luogo ha voluto ricordare che ci sono tanti rappresentanti delle istituzioni (magistrati, funzionari di polizia, carabinieri e non solo) che rappresentano con il loro lavoro ed impegno lo Stato. Però ha anche ribadito l'importanza di non nascondere i fatti. 


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“Qualche mese fa - ha ricordato - c'è stato un professore universitario di Palermo, Visconti, che intervistato da un quotidiano aveva auspicato che scuole e università non invitassero più il magistrato Di Matteo ed il giornalista Lodato perché 'diffondono ai giovani l'idea che lo Stato è marcio'. Questo non ha capito niente. Il problema è un altro. Proprio perché io e tanti altri continuiamo a credere nello Stato non dobbiamo far finta che tutto vada bene o sia andato sempre bene. Non si può credere alla favoletta dello Stato sempre buono che si è contrapposto alla mafia sempre cattiva. Purtroppo ci sono stati anche rapporti di contiguità, di collusione, anche di dialogo e di trattativa. Noi dobbiamo avere la forza di non nascondere la polvere sotto il tappeto. Se c'è qualche realtà che fa male noi dobbiamo cercare di affrontarla. Anche se ha un prezzo. E chi vuole affrontare queste cose paga un prezzo alto di isolamento, di delegittimazione, anche in tema di carriera. Si viene considerato un irregolare. Io penso che il magistrato veramente autonomo e indipendente, in fondo, un irregolare lo deve essere e non si deve adeguare a dei sistemi di potere perché altrimenti avrebbe svenduto la sua toga”.  


Sguardo su Gaza

E lo stesso vale quando c'è la necessità di prendere posizioni forti come la guerra. Durante la premiazione Di Matteo ha voluto prendere il microfono per ribadire un concetto: “Io avverto un grande peso: quello del silenzio che diventa complicità anche rispetto a quello sterminio programmato, a quel genocidio, che è avvenuto e sta avvenendo a Gaza. Ho un sentimento di angoscia e preoccupazione, di poter essere anche io, anche noi tutti, anche il nostro Paese, di essere additato come complice di una azione così vergognosa. Perché il silenzio è complicità e il fornire armi che servono a questo tipo di attività è complicità. E noi non possiamo stare zitti. Da italiano, da cittadino e se mi è consentito anche da Cristiano io mi vergogno di quello che sta succedendo”.  


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Foto © Francesco Papalino 

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