Più di 80 delitti fra il 1987 e il 1994, 22 morti e centinaia di feriti: il tutto compreso in due fasi storiche, la prima con la banda delle COOP (1987-1989) e il periodo apertamente terroristico (1990 - 29 agosto 1991).
Si tratta del bilancio complessivo della ‘Uno Bianca’, conosciuta dai più (ed erroneamente) come ‘un’impresa criminale a natura familiare’ composta dai fratelli Savi (Alberto, Roberto e Fabio), rispettivamente due poliziotti e un camionista; più altri tre poliziotti che hanno dato un contributo saltuario.
Favoletta che lascia il tempo che trova.
Le vicende processuali si conclusero il 6 marzo 1996 davanti alla Corte d’Assise di Rimini - c.d. processo Savi Rimini).
Tuttavia le ombre e gli interrogativi sono ancora molti e la storia della Uno Bianca è lontana dall’essere del tutto chiara: le verità ufficiali sono piene di menzogne dubbi e dimenticanze. La Procura di Bologna, di cui l’ex procuratore aggiunto di Palermo Paolo Guido ne è il nuovo Procuratore della Repubblica, ha aperto due nuovi filoni di indagine: il primo, già avviato nel 2022, tende ad approfondire la cosiddetta "vicenda Macauda" nell'ambito del duplice assassinio dei carabinieri Stasi ed Erriu il 20 aprile del 1988 a Castelmaggiore; il secondo, avviato nel 2024 è su un'altra vicenda non ancora resa nota.
Il 'resto del Carlino' in un articolo dell'anno scorso aveva riportato che questa pista si concentra sull'eversione e l'eventuale presenza di componenti mai scoperti, forse anche dei servizi segreti. Il fascicolo è a carico di ignoti e gli inquirenti hanno ipotizzato il reato di concorso in omicidio volontario nelle stragi messe a segno dalla banda della Uno Bianca.
C'era qualcuno, in buona sostanza, che dirigeva i fratelli Savi? L'eccidio del Pilastro (4 gennaio 1991) rientra nella 'strategia della tensione'? C'entra la falange Armata? O è stata opera solo di un gruppo di assassini? La polizia giudiziaria - Digos e Ros dei Carabinieri - hanno sequestrato documenti, riletto verbali, acquisito atti digitalizzati e altri desecretati. Ma, soprattutto, ha sentito nuovi testimoni e riascoltato altri ritenuti chiave già negli anni Novanta.
Tuttavia non è facile ricostruire i fatti legati alla banda della Uno Bianca, per questo è necessario procedere per gradi. A comunicare la notizia è stato il presidente dell'associazione dei familiari delle vittime Alberto Capolungo nel corso dell'assemblea generale. Sempre Capolungo ha spiegato anche che gli avvocati Alessandro Gamberini e Luca Moser (estensori della richiesta di riapertura delle indagini) sono stati convocati dal Ris di Parma che svolge accertamenti su alcuni corpi di reato (Dna, tracce ematiche, vestiti, bossoli) e sta eseguendo perizie grafologiche. Sulla riapertura delle indagini è stata espressa la speranza che si possa far luce "sui tanti punti oscuri che ancora gravano sulla vicenda" augurandosi che "il nuovo capo della procura di Bologna, da poco nominato", Paolo Guido, dia il nuovo giusto impulso all'inchiesta".
Il ruolo di Domenico Macauda
Il primo fascicolo vuole approfondire il ruolo di Domenico Macauda, il carabiniere che depistò le indagini su uno dei delitti commessi dalla Uno Bianca, l’omicidio dei carabinieri Cataldo Stasi e Umberto Erriu a Castel Maggiore il 20 aprile 1988.
Come ricostruito dalla sentenza del Tribunale di Bologna (sentenza n. 1773/1988 del 6 dicembre 1988, c.d. depistaggio Macauda) la macchina dei killer di Stasi ed Erriu venne trovata dai carabinieri nel primo pomeriggio del 22 aprile con il vetro abbassato e all'interno venne “notato un bossolo appartenuto a cartuccia per pistola di grosso calibro”. L’auto venne portata in un garage della officina regionale dei carabinieri di Bologna e posta sotto sorveglianza sopra un ponte meccanico. Circa mezz’ora dopo, “intorno alle ore 18.00, arriva in officina” il brigadiere dell’Arma Domenico Macauda, “il quale si dice addetto alle indagini, sale sul ponte e comincia ad ‘esplorare’ l’interno della Fiat Uno con una torcia elettrica”; approfittando del finestrino anteriore abbassato, collocò “fra i sedili” un secondo bossolo, “percosso dal revolver a lui in dotazione”. Quindi, Macauda, disseminando altri bossoli esplosi dalla sua stessa pistola, innestò un gigantesco depistaggio, basato su una serie di false prove a carico di persone innocenti. Il depistaggio, come poche volte succede, venne smantellato in pochi giorni e tutte le mosse di Macauda vennero meticolosamente ricostruite e immortalate in una documentata sentenza del dicembre 1988. Ma perché lo fece? Le cause sono ancora oggi ignote.
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