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Continua l’analisi e la cronaca del vasto e corposo report del 2024 firmato DIA, i riflettori si accendono sul Lazio questa volta, ombelico del mondo criminale, centro nodale. Torna reiteratamente come un mantra il collage criminalità organizzata, consorterie mafiose, pubblica amministrazione, appalti.
Secondo quanto si apprende dal documento, non si notano notevoli cambiamenti rispetto alla relazione fatta nel 2023 su questa regione, continuano però i metodi classici illeciti di gestione del territorio: traffico di stupefacenti, riciclaggio, compenetrazione ed infiltrazioni nei diversi settori commerciali, d’affari e “creando strategiche aderenze nelle Istituzioni".  
Dalla periferia del territorio sino alla Capitale, 'Ndrangheta, Camorra e Cosa Nostra rimangono i principali attori, anche se quest'ultima si legge “si sta defilando”. Ovviamente non solo, insieme agli altri clan e famiglie occupano e gestiscono l’area.
Le principali mafie non mirano più alla conquista egemonica di Roma secondo i modelli del passato, ma piuttosto a un’integrazione funzionale con la criminalità locale. “In trent’anni di presenza stabile sul territorio laziale – si legge in una recente ordinanza – hanno maturato la capacità di integrarsi in maniera organizzata e strutturata con gruppi di criminalità autoctona”, creando un sistema capace di “assorbire sovrapposizioni, tensioni e frizioni”.
Tale modello consente di mimetizzare le attività criminali in un tessuto economico prevalentemente sano, sfruttando la disponibilità di “imprenditori, liberi professionisti e uomini con compiti di manovalanza” che prestano supporto ai sodalizi mafiosi tramite tecniche sofisticate di elusione, come la creazione di società cartiere per l’emissione di false fatture. 


Narcotraffico e giovani reclutati: il volto oscuro del basso Lazio

Il narcotraffico resta la fonte primaria di reddito per molte organizzazioni, con un forte radicamento soprattutto nel sud della regione. La Camorra, in particolare, è “particolarmente attiva nel narcotraffico nelle province del Sud pontino e del Frusinate”, mentre la fase della distribuzione è sempre più appannaggio dei gruppi criminali locali, in un processo di crescente autonomizzazione del crimine autoctono.
Il fenomeno assume tratti socialmente preoccupanti: “La diffusione di una subcultura fondata sulla legalità e sull’arricchimento rapido coinvolge e avvicina anche giovani appena maggiorenni e incensurati”, spesso usati come corrieri o custodi inconsapevoli.


Economia legale infiltrata e segnali d’allarme

Nel primo semestre del 2024, l’economia laziale ha registrato una crescita contenuta dello 0,4%. In questo scenario stagnante, l’attività mafiosa si è concentrata sulla penetrazione nei settori economici vulnerabili, tra cui edilizia, giochi e scommesse online, commercio di prodotti petroliferi, smaltimento rifiuti e investimenti immobiliari. 
Un indicatore chiave di questa infiltrazione è rappresentato dalle segnalazioni di operazioni sospette (SOS): nonostante un lieve calo rispetto al 2023, il Lazio resta seconda regione italiana per volume dopo la Lombardia. In particolare, spicca il forte incremento di segnalazioni nella provincia di Latina, in controtendenza rispetto al calo registrato a Roma.  


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Roma capitale criminale: il caso dell’Operazione “Assedio”

La complessità del fenomeno criminale nella Capitale è stata esemplarmente rappresentata dall’Operazione “Assedio”, conclusasi il 9 luglio 2024 con l’arresto di 18 persone e il sequestro di beni per oltre 120 milioni di euro. L’indagine ha documentato l’esistenza di due organizzazioni criminali interconnesse, dedite a estorsioni, usura, riciclaggio e reinvestimento di capitali illeciti. Il Tribunale di Roma ha parlato di “un sistema atipico, creato attorno alla sintesi delle mafie insediatesi nell’area metropolitana romana con le criticità di un territorio multistratificato”.
Un passaggio emblematico dell’ordinanza descrive Roma come “il punto di contatto tra imprenditoria, politica e mafie”, confermandone il ruolo centrale in un “laboratorio criminale” nazionale, dove decisioni e investimenti mafiosi vengono pianificati e realizzati con criteri imprenditoriali.


Le mafie e il business degli idrocarburi

Uno dei settori emergenti nel panorama delle attività mafiose è quello della commercializzazione dei prodotti petroliferi. Secondo le indagini, questa è oggi “la frontiera di tutte le principali associazioni mafiose italiane”, con Roma come punto di snodo. Clan come i D’Amico, Senese, Morabito e Mancuso si spartiscono il controllo delle filiere distributive, reinvestendo i proventi illeciti attraverso complesse strutture societarie e sfruttando l’instabilità economica e normativa post-pandemica.
Il crimine organizzato nel Lazio, e in particolare a Roma, ha raggiunto un livello di integrazione e adattabilità senza precedenti. La capacità di infiltrarsi nei gangli vitali dell’economia legale, unita alla disponibilità di professionalità colluse, consente alle mafie di agire senza ricorrere alla violenza plateale del passato. Il modello dominante è quello della criminalità imprenditoriale, capace di influenzare politiche pubbliche, appalti e flussi finanziari, in un contesto in cui l’illegalità è sempre più difficile da isolare.
Il Lazio non è solo un territorio infiltrato: è diventato un motore del crimine economico nazionale, dove mafie tradizionali e nuove realtà criminali coesistono e collaborano con l’obiettivo comune di massimizzare i profitti e consolidare il potere. L’efficacia delle misure di contrasto dipenderà dalla capacità di intervenire precocemente nei circuiti finanziari, rafforzare i controlli antimafia e rompere l’alleanza strategica tra affari, politica e crimine.


La 'Ndrangheta: rigore tradizionale, visione imprenditoriale

Tra le mafie presenti nel Lazio, la ‘Ndrangheta si distingue per la capacità di coniugare rigidità tradizionale e modernità imprenditoriale. “Consapevole che le antiche regole di condotta, il rigido rispetto delle gerarchie e i vincoli di mutua cooperazione costituiscono elementi imprescindibili”, riesce a operare efficacemente tanto nei traffici di droga quanto nei progetti imprenditoriali legati al settore degli idrocarburi.
Diversi gruppi della provincia di Reggio Calabria hanno esteso da anni la loro influenza a Roma e nel suo hinterland: Alvaro-Carzo di Sinopoli, Gallico di Palmi, Pelle/Vottari, Marando di Platì, Morabito di Africo, Piromalli e Molè di Gioia Tauro, solo per citarne alcuni. I Morabito, in particolare, risultano attivi nell’area a nord della Capitale, con tentativi di ingerenza a Morlupo, Rignano Flaminio, Riano, Castelnuovo di Porto e Capena.
Accanto a questi, i Mancuso di Limbadi e i Fiarè di San Gregorio di Ippona manifestano interessi nella Capitale, mentre le ‘ndrine Gallace-Novella, Madaffari, Tedesco e Perronace risultano operative sul litorale sud di Roma.
Droga e riciclaggio: l’inchiesta “Pit Stop”
Uno degli esempi più recenti della pervasività della ‘Ndrangheta nella regione è rappresentato dall’operazione “Pit Stop”, conclusasi il 26 luglio 2024. La Polizia di Stato ha eseguito 9 arresti, tra cui 2 soggetti originari della provincia di Reggio Calabria, per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. La compagine criminale, con base operativa nella zona nord di Roma, operava con un assetto verticistico e curava l’intero ciclo dello stupefacente, dal trasporto alla distribuzione.
L’organizzazione riciclava i proventi in una struttura ricettiva nei pressi della Capitale, a dimostrazione dell’abitudine mafiosa di reimpiegare denaro sporco in contesti formalmente leciti. Nel corso delle indagini sono stati sequestrati oltre 100 kg di sostanze stupefacenti.


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“Assedio” e la mafia-impresa

L’operazione “Assedio”, invece, ha scoperchiato un sistema integrato di due organizzazioni criminali interconnesse, coinvolte in “estorsioni, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio, autoriciclaggio e reimpiego di proventi illeciti”. Il Tribunale di Roma ha disposto il sequestro di beni per 120 milioni di euro, riconoscendo l’esistenza di “un sistema atipico, creato attorno alla sintesi delle mafie insediatesi nell’area metropolitana romana con le criticità di un territorio multistratificato”.
L’inchiesta ha evidenziato collegamenti con la famiglia Gangemi e il coinvolgimento di esponenti dei clan D’Amico/Mazzarella e Senese.
Due recenti operazioni evidenziano come le mafie abbiano perfezionato l’arte del riciclaggio. Il 10 ottobre 2024 la Polizia ha confiscato beni a un esponente legato alla cosca Mammoliti di Oppido Mamertina (RC), con ramificazioni nella Capitale. Accanto a lui, un faccendiere romano attivo già dagli anni ’80 – con connessioni dirette con la Banda della Magliana e la mafia siciliana – rappresentava “un punto di riferimento per le attività di riciclaggio in favore di diversi sodalizi criminali”. 
Il 18 novembre, un'altra maxi-operazione condotta dalla Guardia di Finanza ha colpito 25 soggetti accusati, tra l’altro, di emissione di false fatture, riciclaggio e indebita percezione di fondi pubblici, aggravati dal metodo mafioso. Al centro dell’inchiesta: imprenditori romani collegati alle cosche Mazzaferrro e Alvaro, operanti nel settore dei prodotti petroliferi. 
La tecnica era quella della “frode carosello”, con l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, evasione dell’IVA e reinvestimento dei profitti in distributori e depositi di carburanti. “Complicità di una pluralità di soggetti e l’utilizzo di società cartiere e di comodo”, recita il provvedimento, svelando un modello criminale complesso ma efficiente. 
Il ruolo centrale della ‘Ndrangheta nella regione è stato ribadito da diverse operazioni. Il 7 dicembre 2024, la sentenza in primo grado dell’operazione “Tritone” ha condannato 20 imputati per associazione mafiosa: si trattava di un’articolazione della ‘ndrangheta radicata nei comuni di Anzio e Nettuno, riconducibile ai GALLACE, PERRONACE e TEDESCO. 
Il controllo del territorio da parte delle ‘ndrine si estende anche alla zona nord e sud di Roma, al litorale e ai Castelli Romani, dove operano i Morabito, Alvaro, Piromalli, Mazzagatti, Mammoliti e altri gruppi legati a Rosarno, San Luca, Platì e Limbadi. Tali famiglie operano con logiche imprenditoriali, ma nel rispetto delle antiche gerarchie e rituali mafiosi, “conservando riti arcaici pur adattandosi alle logiche del mercato contemporaneo”. 


Casamonica e Spada si spartiscono il litorale Laziale e quartieri di periferia romana

La Capitale è contrassegnata dalle radici profonde dei clan Casamonica nel Tuscolano, Porta Furba, Cinecittà, Tor Bella Monaca e Romanina, fino alle consolidate presenze degli Spada e Fasciani lungo il litorale romano, la rete mafiosa si conferma capillare e pericolosa.
Nei primi mesi del 2024, le forze dell’ordine hanno sferrato duri colpi alle strutture criminali. Il 16 gennaio, un blitz dei Carabinieri ha portato all’arresto di 69 persone legate al clan Casamonica, accusate di intestazione fittizia, usura, estorsione e spaccio. La conferma del reato di associazione mafiosa da parte della Corte di Cassazione ha segnato una svolta importante nella lotta contro la criminalità organizzata romana.
Poi, l’8 ottobre, la Polizia di Stato ha arrestato 8 persone legate ai clan Spada e Casamonica, protagonisti di un’associazione a delinquere nel quartiere Torre Angela, dedita allo spaccio di droga. Solo pochi giorni dopo, il 14 ottobre, due membri dei Casamonica sono finiti in carcere con accuse pesantissime: estorsione, usura e truffa aggravate dal metodo mafioso. Le indagini hanno rivelato prestiti con tassi d’interesse da usura vera e propria, fino al 300%, accompagnati da minacce e violenze contro chi non pagava. 
Roma rappresenta oggi un laboratorio criminale complesso, dove convergono le mafie tradizionali, la criminalità autoctona e gli interessi economici transregionali. “La Capitale storicamente rappresenta il punto di contatto tra imprenditoria, politica e mafie”, si legge nell’ordinanza dell’operazione “Assedio” come sopra citata. 


Appalti, pubblica amministrazione e turismo: nuove zone d’ombra

Le mafie mirano sempre più al condizionamento della pubblica amministrazione, soprattutto nelle aree a vocazione turistica. In particolare, Roma e i comuni della costa tirrenica risultano esposti a infiltrazioni nei bandi pubblici e nella gestione di fondi e appalti.
Nel 2024, le interdittive antimafia sono state 31 a Roma, 17 a Latina, 7 a Viterbo. Hanno colpito società nei settori di ristorazione, edilizia, trasporti, turismo, agricoltura e commercio. Queste misure, anche se amministrative, confermano il rischio sistemico di contaminazione dell’economia legale.
In questo scenario, la cooperazione tra istituzioni, magistratura e forze dell’ordine resta fondamentale. Ma non basta. Serve un monitoraggio costante del tessuto economico, una maggiore trasparenza negli appalti pubblici, e soprattutto, una cultura della legalità diffusa, che renda più difficile alle mafie confondersi, mimetizzarsi e prosperare.  


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