La presentazione del libro “Contro le due destre” alla Sala capitolare del Convento di Santa Maria sopra Minerva
Attaccare la partecipazione dell’elettorato, escluderlo dal panorama politico, imbrigliarlo dentro un ‘gioco truccato’ e successivamente completare la costruzione di un nuovo assetto autoritario con delle leggi che trasferiscono tutto il potere decisionale nelle mani di poche persone.
Non è un processo facile, ci vogliono anni, soldi e soprattutto, morti; questo finché il sistema non raggiunge quell’equilibro tossico di cui l’astensionismo ne costituisce la principale espressione. È questo il concetto che moltissimi relatori oggi hanno provato a sviscerare alla Sala Capitolare del Convento di Santa Maria sopra Minerva durante la presentazione del libro “Contro le due destre – Per un governo del 99%” organizzata su iniziativa dell’ex procuratore generale di Palermo e oggi senatore Roberto Scarpinato. Il libro è pubblicato da Futura editrice, a cura di Andrea Del Monaco, prefazione di Andrea Pancani, postfazione di Marco Lillo, che ha moderato il dibattito odierno. Il centro di questa guerra ha un suo epicentro: la distruzione o lo svuotamento della Costituzione e la sostituzione dei suoi valori sociali con quelli di stampo neoliberista. “Non è un caso che i think tank di grandi banche di affari e di multinazionali abbiano individuato nella Costituzione del 1948 il principale ostacolo al pieno dispiegarsi della bibbia neoliberista e al dominio incontrastato del grande capitale.”
Roberto Scarpinato
Ha detto Scarpinato durante il suo intervento. “Vecchie e nuove destre sono talora divise nelle strategie, ma unite dal comune interesse di creare una società censitaria e classista - ha aggiunto fondata sulla concentrazione della ricchezza e del potere in poche mani, sullo sfruttamento del lavoro ridotto a merce, sulla mercificazione dei rapporti umani, sull’elevazione dell’egoismo individuale a regola sociale”. L’attuazione di questa strategia deve passare obbligatoriamente attraverso un “gioco politico truccato che ha determinato non solo l’enorme crescita della curva delle disuguaglianze, ma la cronicizzazione della disuguaglianza come elemento strutturale del sistema economico, lo smantellamento progressivo e programmato dello Stato sociale, l’oligarchizzazione del sistema politico che premia élites ristrette a discapito della maggioranza dei cittadini, e che di giorno in giorno rivela sempre più il suo volto autoritario e violento.”
Un gioco truccato dove destra e sinistra non hanno più nessuna sostanziale differenza: “Le politiche sono rimaste nella sostanza immutate, sempre antipopolari e classiste”. Infatti “una quota consistente dell’elettorato che non si identifica in nessuna delle due offerte, che non è disposta a scegliere tra il peggio e il meno peggio, o che fiuta che si tratta di una falsa alternativa, pratica l’exit dal giuoco politico”. Nel frattempo lo Stato “viene messo al servizio dei mercati, cioè dei grandi oligopoli che governano i mercati, e la legge della concorrenza viene assunta non solo come regola base dell’economia, ma come regola di tutta la convivenza sociale, con il conseguente smantellamento progressivo dello Stato sociale, e la privatizzazione di servizi pubblici essenziali: dalla sanità all’istruzione, ai trasporti e via elencando”.
“La Costituzione italiana è stata così progressivamente privata di effettività e normatività e sostituita con una nuova tavola dei valori, quella dei Trattati europei antitetica a quella della Costituzione. Nella gerarchia delle fonti giuridiche i Trattati europei hanno di fatto scalzato dal primo posto la Costituzione Italiana del 1948. L’assoggettamento della politica all’economia, principio cardine dell’ideologia neoliberista trasfuso nei trattati europei e antitetico a quello costituzionale, è stato supinamente interiorizzato dal ceto politico nazionale di centro destra e del centrosinistra, e lo ha ormai degradato da decisore politico di ultima istanza al ruolo sub-decisore, di esecutore di decisioni assunte al di fuori delle sedi istituzionali nazionali”. In sintesi il “ceto politico è stato ormai scollegato dalla rappresentanza popolare ed è incardinato all’interno di una catena di comando sovranazionale sottratta al controllo democratico e facente capo ai grandi poteri economici”.
Il programma politico del Movimento 5 Stelle
“Se alle prossime elezioni il Movimento 5 Stelle - ha detto Scarpinato - si trovasse nuovamente ingabbiato nello schema del bipolarismo a somma zero, cioè come parte di una coalizione – campo largo o come dir si voglia – composta in modo significativo anche da forze politicamente screditate per il loro passato di politiche antipolari, si potrebbe esporre ad un duplice rischio: Il primo è di perdere le elezioni non avendo sufficiente credibilità per richiamare alle urne quote consistenti di astenuti in grado di far vincere la coalizione di centrosinistra. Il secondo rischio è una vittoria di Pirro.
Vincere cioè le elezioni grazie al ritorno in campo di quote di astenuti, e consumarsi poi in una logorante e improduttiva stagione di compromessi al ribasso all’interno della coalizione vincente, concludendo la sua parabola come forza normalizzata e integrata nel sistema. Un Replay della disastrosa esperienza della partecipazione al governo Draghi. Questo rischio vale per il Movimento 5 Stelle, ma vale naturalmente anche per le altre forze di una coalizione autenticamente impegnate a costruire una reale alternativa all’ordine esistente. Un modo per sottrarsi a questa trappola potrebbe essere quello di un patto elettorale da proporre preventivamente come conditio sine qua non alle altre forze della coalizione e all’elettorato: un elenco di dieci riforme strategiche da approvare inderogabilmente entro i primi dodici mesi di legislatura, in assenza delle quali il Movimento 5 Stelle si impegna ad uscire dal governo con il ritorno al voto. Il primo punto di questo patto elettorale dovrebbe essere l’impegno inderogabile di abrogare entro i primi cento giorni della legislatura tutte le ignobili leggi approvate da questo centro destra in questi due anni di legislatura. Una legge abrogativa di un solo articolo che indica nei suoi commi l’elenco delle leggi abrogate. Senza questa parte destruens non è possibile passare alla parte construens”.
Giuseppe Conte
La sinistra non ha fatto la sinistra
Ma se la destra e le strutture che hanno permesso di arrivare all’attuale assetto politico hanno sempre mantenuto una certa coerenza di fondo lo stesso non si può dire per la sinistra. "Sicuramente - ha precisato l'ex premier Giuseppe Conte a margine delle conferenza - c'è la sostanza degli autori di questo libro: quella che storicamente doveva essere la sinistra e fare la sinistra non ha fatto la sinistra ma credo che questo sia un giudizio molto condiviso. Se oggi ci ritroviamo in un sistema del lavoro, dove i meno garantiti sono i lavoratori, dove c'è un capitalismo che è sfrenato, predatorio o che è andato avanti, accumulando profitti ricchi mega ricchi e super ricchi e oggi il capitalismo è soprattutto finanziario. Sono tante responsabilità anche storiche vanno guardate - ha concluso Conte - per non commettere gli stessi errori".
Elena Basile: un’alternativa è possibile
L’ambasciatrice Elena Basile nel suo intervento ha sottolineato il valore del libro, il quale ha “avuto il merito di farci pensare che un’alternativa è possibile e quindi di farci opporre a quella produzione di senso che viene fatta dai media giornalmente che tendono a farci credere che la forma di organizzazione della società, l’equilibrio dei poteri che abbiamo oggi davanti, abbiano un carattere ontologico, assolutistico”. Con questa premessa, Basile ha messo in discussione l’idea che l’attuale sistema rappresenti “il migliore dei mondi possibili”, invitando a considerare percorsi alternativi.
Elena Basile
Parlando delle cause della trasformazione della sinistra, l’ambasciatrice ha individuato radici storiche: “La prima cosa è lo sganciamento del dollaro da loro. È lì che inizia un processo di finanziarizzazione dell’economia. Il liberismo degli anni Ottanta. Che cos’è questo liberismo? La reazione di Reagan e della Thatcher. È la Thatcher che inventa lo slogan non c’è alternativa”. Ha poi descritto come il sistema di libera circolazione dei capitali, sigillato a Maastricht, abbia contribuito alla “società del debito”, in cui “le classi lavoratrici contribuiscono alla remunerazione dei ceti capitalistici”. Queste dinamiche, secondo Basile, hanno segnato la fine del patto social-democratico e keynesiano, che aveva permesso la costruzione dello Stato sociale e l’applicazione della Costituzione italiana.
Nel campo delle relazioni internazionali, l’ambasciatrice ha analizzato il declino del multilateralismo: “L’Occidente non riesce più a mantenere il proprio potere, si guarda bene ad accedere una fetta di potere con un compromesso, con una mediazione che potrebbe aiutarci ad una riforma del multilateralismo politico, le Nazioni Unite”. Ha criticato l’immobilismo del Consiglio di Sicurezza, attribuendolo alla “mancanza di una mediazione con la Russia, con la Cina”, e ha collegato la guerra in Ucraina all’espansione della NATO, che “ha distrutto quell’architettura di sicurezza europea che l’OSCE aveva creato”.
Sul conflitto a Gaza, Basile ha offerto un’analisi altrettanto dura: “A Gaza noi stiamo praticamente vedendo i risultati non solo, purtroppo questa è la mia analisi pessimista perché il problema non è solo Netanyahu, il problema è una politica occidentale che ha visto in Israele una pedina atlantica per un disegno espansionistico”.
Basile ha poi affrontato la questione palestinese, sottolineando come l’abbandono del dialogo abbia alimentato l’ascesa di Hamas: “La questione palestinese praticamente dal 2000 in poi è stata abbandonata e questo ha portato alla nascita di Hamas, un movimento terroristico ma per la liberazione di un popolo sotto occupazione”. Ha denunciato la complicità occidentale in quello che definisce un “genocidio”, richiamando il ruolo della Corte Internazionale di Giustizia: “È importante parlare di genocidio. Perché scattano automaticamente delle misure. Per esempio, l’impossibilità di una cooperazione politica, economica e militare con Israele”.
In chiusura, Basile ha lanciato un appello per un’Europa diversa, capace di mediare e promuovere la pace: “L’Europa è il nostro tragico orizzonte, l’applicazione della Costituzione italiana passa pure per una riforma europea”.
Gianni Dragoni: la crisi della stampa e il controllo politico
Con un discorso che intreccia dati economici, dinamiche politiche e violazioni della libertà di stampa, Gianni Dragoni, storica firma del Sole 24 Ore e oggi giornalista de Il Fatto Quotidiano ha denunciato la crisi strutturale del settore giornalistico e la crescente concentrazione editoriale, sottolineando come questi fenomeni minaccino la democrazia.
Dragoni ha aperto il suo intervento con un tono ironico, riferendosi al compito assegnatogli: “Volevo dare titolo, io sono occupato dei dati dell’informazione, Andrea Del Monaco quando mi ha chiesto di impegnarmi in questo lavoro mi ha detto di fare l’Anti Gasparri e ho accettato di buon grado”. Il riferimento al senatore Maurizio Gasparri, che ha recentemente presentato un disegno di legge per riformare la RAI, è stato il punto di partenza per una riflessione più ampia sulla libertà di stampa. Dragoni ha subito chiarito l’importanza di un’informazione indipendente: “Sappiamo tutti, quasi tutti, che senza un’informazione libera, autonoma, in grado di camminare con le proprie gambe, non ci può essere autentica democrazia”.
L’analisi si è concentrata sullo stato critico dell’informazione globale, portando esempi concreti. Parlando degli Stati Uniti, ha evidenziato le pressioni di Donald Trump sui media: “Il presidente degli Stati Uniti, Trump, irrida i giornalisti poco compiacenti. ‘Non voglio le domande della CNN, il 97% delle notizie che dà sono false’, queste sono parole di Trump”. Ha poi ricordato un episodio emblematico: “La Casa Bianca ha tentato di escludere dallo studio ovale e dai viaggi sull’aereo presidenziale i giornalisti di una delle agenzie di stampa più famose del mondo, perché hanno osato chiamare il Golfo del Messico con il nome che è usato da oltre 400 anni e non con il nome Golfo d’America che Trump ha voluto imporre”. Tuttavia, ha sottolineato che un giudice americano, il 9 aprile, ha ordinato la riammissione dell’Associated Press, dimostrando che negli Stati Uniti esistono ancora tutele costituzionali per la libertà di stampa.
La situazione si aggrava in contesti di guerra, come a Gaza, dove l’accesso all’informazione è gravemente limitato: “A Gaza i giornalisti stranieri non possono entrare nella striscia. Ci sono solo quelli palestinesi che però vengono letteralmente spenti, bruciati vivi. È accaduto la notte tra il 6 e il 7 aprile a un giornalista di Palestine Today bruciato vivo perché la sua tenda ufficio è stata incendiata dai proiettili sparati dall’esercito israeliano”. Dragoni ha riportato dati drammatici: “Dal tristemente famoso 7 ottobre 2023 fino almeno ai primi di aprile, i giornalisti uccisi a Gaza erano 208, più che in ogni altra guerra”. Questi numeri, spesso ignorati dai grandi telegiornali, evidenziano il prezzo pagato dall’informazione in contesti di conflitto.
Gianni Dragoni
In Italia, il quadro non è meno allarmante. Dragoni ha descritto una crisi strutturale del settore giornalistico, segnata da una forte concentrazione editoriale e da risorse in calo: “I ricavi dei servizi media, cioè giornali, quotidiani, periodici, radio, testate digitali, nel 2023 erano 11,4 miliardi, meno 2% rispetto all’anno precedente, ma in cinque anni i ricavi totali sono diminuiti di 746 milioni”. In particolare, la stampa ha subito un crollo: “I ricavi totali della stampa sono diminuiti dall’8% a 1,2 miliardi nel 2023, meno 114 milioni, e sono inferiori, hanno perso 428 milioni rispetto al valore pre-Covid 2019”. Al contempo, le televisioni dominano il panorama mediatico, con ricavi di 8,2 miliardi nel 2023, ma sono “le più asservite al potere politico”. Dragoni ha evidenziato che “la gente si disinforma guardando soprattutto il TG1 e il TG5”, sottolineando come la prevalenza delle televisioni, controllate da RAI, Sky e Mediaset, accentui la dipendenza dell’informazione dal potere politico. Sul fronte della stampa, la concentrazione editoriale è altrettanto preoccupante: “Il mercato dei quotidiani vede al primo posto il gruppo Gedi, cioè Repubblica, Stampa, Secolo XIX, con quasi il 16% del mercato delle copie stampate. Segue da vicino il gruppo Cairo Rizzoli Corriere della Sera, con quasi il 15%, poi Caltagirone, 7,9%, gruppi Monti-Riffeser 7,6%, Angelucci che è deputato della Lega e già di Forza Italia 6,7%”. Questo significa che “quasi il 40% delle copie fa capo ai primi 5 gruppi, per cui per influenzare la stampa bastano 3-4 telefonate”. A differenza degli Stati Uniti, in Italia “la stampa non reagisce” a queste pressioni.
Per affrontare questa crisi, Dragoni ha proposto riforme strutturali: “Il sistema dell’informazione andrebbe profondamente riformato abbassando le soglie antitrust della stampa quotidiana che sono troppo alte, oggi è consentito da una legge che è tollerata dalla sinistra alla stampa quotidiana, un gruppo può detenere il 20% dell’intera tiratura nazionale”. Ha poi annunciato di voler approfondire nel dettaglio le proposte di riforma, tornando anche sul tema della legge Gasparri.
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Foto © Imagoeconomica
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