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Il criminologo forense Federico Carbone ricostruisce il caso dell’ufficiale della Marina che indagava sulle navi a perdere e i traffici di rifiuti via mare

Natale De Grazia, capitano di Fregata encomiato con la Medeglia d’Oro al Merito della Marina, fu uno di quei servitori di Stato che per estro investigativo e per spirito di servizio arrivò a individuare pezzi di un sistema di potere segreto e criminale che avvelenava, letteralmente, il nostro Paese. E da questo stesso potere venne poi ucciso. Anche se tuttora, quasi trent’anni dopo, la sua è ancora descritta come morte naturale. O almeno ufficialmente. Il criminologo forense Federico Carbone in un articolo su “Dark Side storia segreta d’Italia” riavvolge il bandolo della matassa, elencando quei punti ancora non chiariti della vicenda che potrebbero riscrivere la storia della sua morte. Natale De Grazia, capitano di fregata della Capitaneria di Porto di Reggio Calabria (sua città natale), morì per un malore il 13 dicembre 1995. Quella notte si trovava in auto con alcuni colleghi quando venne colto da un sonno improvviso senza risvegliarsi. Inutili i tentativi di questi ultimi di rianimarlo. De Grazia morì a soli 39 anni, ufficialmente per infarto. Ma gli indizi, a partire dal racconto dei colleghi che lo accompagnavano, suggeriscono ben altro. Russava in modo strano con brontolii, testimoniarono. E una volta al pronto soccorso di Nocera Inferiore il personale medico notò anche escoriazioni sospette. Avvelenamento? E’ possibile. Prima, però, di scendere ai misteri post-mortem del capitano, è necessario approfondire quelli che lo riguardarono quando era in vita. In particolare quelli dell’ultimo periodo della sua vita. 
De Grazia lavorava gomito a gomito con il sostituto procuratore di Reggio Calabria Francesco Neri con cui aveva cominciato a investigare sulle famose “navi dei veleni”, dette anche “navi a perdere”, imbarcazioni trasportanti carichi di rifiuti tossici o radioattivi che venivano fatte illegalmente affondare al largo delle coste meridionali italiane. Tutto cominciò, scrive Carbone, con una denuncia di Legambiente su rifiuti tossici interrati nell’Aspromonte, in Calabria. Ma presto l’indagine prese una piega molto più fitta e rischiosa con le navi affondate al largo delle coste calabresi e campane. Come la Rigel, la Yvonne A, la Jolly Rosso. Oltre che un’ecatombe ecologica, le “navi a perdere” rappresentavano un business enorme per mafiosi, faccendieri, funzionari infedeli di Stato, aziende e governi. E’ risaputo, infatti, che le rotte delle “navi dei veleni” attraversavano miglia e miglia nautiche, dal Mediterraneo all’Africa Sub Sahariana. Per esempio in Somalia, dove imperversava una terribile guerra civile e dove le forze armate italiane erano impegnate con la missione internazionale “UNOSOM II”. Accadde che, nel corso delle indagini svolte da De Grazia, durante una perquisizione nella casa di Giorgio Comerio, imprenditore navale al centro di numerose indagini sui traffici di rifiuti tossici, il capitano trovò una fotocopia del certificato di morte di Ilaria Alpi - la giornalista brutalmente assassinata a Mogadiscio da un commando (tuttora non identificato) assieme all’operatore Rai Miran Hrovatin - con un numero di fax stampato sopra. “Un dettaglio che poteva collegare i traffici italiani alla Somalia al lavoro di Alpi, al suo omicidio”, sostiene Carbone. Il criminologo ha anche ricordato che Comerio avrebbe ospitato in un appartamento a Montecarlo l’evaso Licio Gelli, Gran Maestro della P2. Trame internazionali che si intrecciavano, come un groviglio di rovi spinosi, che De Grazia tentò di disfare e dove invece finì inghiottito. “Quella di Natale De Grazia è una morte senza colpevoli. Una morte giunta in tempo utile quando l’investigatore si stava avvicinando a una verità troppo scomoda per essere svelata”, commenta Federico Carbone.


I misteri sul decesso

Tornando a quella notte tragica. Secondo quanto emerge dalla relazione di servizio, dell’improvvisa scomparsa fu prontamente informato anche il procuratore capo della Procura Circondariale di Reggio Calabria, il dottor Studeri. Il 19 dicembre 1995, la pm Apicella era pubblico ministero presso la stessa procura e conferì l’incarico di consulenza tecnica alla dottoressa Simona Del Vecchio e in pochissimo tempo decreterà la morte per infarto. Nessun approfondimento, o indagine tossicologica, o analisi alimentare. E poi una seconda perizia, sempre della Del Vecchio con sempre gli stessi esiti. Nel 2012, la Commissione d’inchiesta sui rifiuti tossici chiese una nuova perizia al professor Giovanni Arcudi, direttore dell’Istituto di Medicina Legale di Tor Vergata. Arcudi smentì le perizie eseguite sul cadavere del capitano escludendo la presenza di prove di infarto e affermando, invece, che la morte è compatibile con un’insufficienza respiratoria da depressione del sistema nervoso centrale. Un avvelenamento forse attraverso la crostata, ma non si può dire con certezza anche perché, come detto, le analisi tossicologiche non furono eseguite.
Arcudi parlò addirittura di “insipienza”, di “superficialità scientifica”, accusando Del Vecchio di aver compromesso per sempre la possibilità di sapere cosa avvenne e come morì De grazia.
“Del Vecchio non era nuova a situazioni delicate”, segnala Carbone nel suo articolo. In passato si occupò del caso del colonnello Mario Ferraro, ufficiale del SISMI, trovato il 16 luglio 1995 nel suo appartamento romano con una cintura da accappatoio stretta al collo, legata al porta-asciugamani. Un suicidio singolare. Come De Grazia, pure Ferraro aveva tra le mani fascicoli scottanti, stava lavorando su apparati deviati e dossier riservati. Anche in quel caso, Del Vecchio firmò la perizia: suicidio. Dieci anni fa, ricorda il criminologo sul blog, Simona Del Vecchio finì sotto inchiesta insieme ad altri colleghi con accuse pesantissime: peculato, truffa aggravata, falso ideologico. Secondo la Guardia di Finanza, tra marzo e giugno del 2015 sarebbero stati firmati 49 certificati necroscopici falsi su 57. Senza aver mai visto le salme. 
Sentita dai parlamentari della Commissione d’inchiesta sul traffico dei rifiuti disse: “Tutti noi possiamo andare incontro a questo e io stessa ho una cardiopatia ipertensiva perché il problema è quello dell’impegno lavorativo, che non fa dormire la notte e impone responsabilità, laddove quelle del capitano erano certamente maggiori delle mie e forse anche delle vostre […].” In pratica De Grazia sarebbe morto di stress. 
Se così fosse allora come si spiegano le sparizioni di alcune carte sensibili raccolte dal capitano durante il suo lavoro col pm Francesco Neri? Carbone ne ricorda alcune: “Nel 2002, la Commissione parlamentare apre i 47 scatoloni con i documenti raccolti da De Grazia. Uno è danneggiato, undici cartelle su venti risultano vuote. Il certificato di Ilaria Alpi non c’è più, sparito. Qualcuno dirà si trattasse solo di flash d’agenzia, ma in realtà manca anche quello, come tanti altri documenti chiave. Qualcuno era entrato e aveva fatto pulizia”. La Commissione nella sua relazione finale scriverà che la morte di De Grazia “si iscrive nel contesto dei misteri irrisolti della Repubblica”. E nessuno è mai stato punito.

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