Un appartamento in cambio del silenzio sull’omicidio del padre: la figlia accusata di corruzione
Sono undici le persone arrestate a seguito dell’inchiesta condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, che ha assestato un duro colpo al clan D’Alessandro di Castellammare di Stabia. Tra gli arrestati figurano anche alcune figure centrali del clan, con accuse che vanno dall’associazione mafiosa all’estorsione, fino all’ipotesi di corruzione di testimoni. Il caso ha riacceso i riflettori su un episodio di sangue avvenuto nel 2006, quando Pietro Scelzo venne freddato con undici colpi di pistola nell’androne di casa sua. Secondo alcune ricostruzioni giudiziarie, il delitto Scelzo sarebbe stato il frutto di una vendetta trasversale commissionata dal clan per punire una presunta infedeltà dell’uomo, ritenuto colpevole, secondo il clan di Castellammare di Stabia, di essersi avvicinato a un gruppo rivale.
Ciò che probabilmente colpisce di più è la testimonianza resa dalla figlia della vittima, Katia Scelzo, nel processo contro uno degli imputati ritenuto coinvolto nell’omicidio: Vincenzo Ingenito, cognato di Luigi D’Alessandro. Secondo gli inquirenti, la donna avrebbe fornito dichiarazioni favorevoli all’imputato, minimizzando il ruolo del clan e negando l’affiliazione camorristica dello stesso Ingenito, in cambio di una casa. Non solo falsa testimonianza nel processo per l’omicidio del padre, ma anche un presunto scambio ai fini della corruzione attraverso un immobile intestato a lei gratuitamente, con un atto notarile - ha fatto sapere Il Fatto Quotidiano - redatto pochi mesi dopo la deposizione resa in aula e a seguito di un iter che sarebbe stato facilitato da un geometra vicino al clan. Va precisato che il gip non ha accolto la richiesta di arresto nei confronti di Katia Scelzo, in quanto non ha ritenuto sussistenti i requisiti per le misure cautelari, ma la procura ha comunque deciso di iscrivere la donna nel registro degli indagati.
In ogni caso, questa vicenda è solo una parte del mosaico criminale che la procura di Napoli, guidata dal procuratore Nicola Gratteri, sta ricostruendo con pazienza e determinazione. L’inchiesta ha svelato, infatti, anche altri affari del clan D’Alessandro, in particolare quelli legati al mercato ittico. Infatti, i magistrati hanno ricostruito nel dettaglio un sistema di riciclaggio attraverso due aziende operative a Mugnano, in provincia di Napoli, che sarebbero controllate, appunto, dal clan di Castellammare di Stabia, e utilizzate per investire i proventi illeciti. Si tratta di un business fiorente, che si è consolidato negli anni anche, e soprattutto, grazie ai contatti del clan con l’estero, in particolare con la Grecia, da dove il pesce viene importato in quantità tali da poter rifornire una parte considerevole delle pescherie che sono presenti a Castellammare. Inoltre, le indagini hanno portato alla luce diversi episodi di estorsione, minacce e violenze, tra cui due pestaggi ordinati da Vincenzo D’Alessandro, attuale boss della cosca, nei confronti di due commercianti che avevano scelto di rifornirsi da un altro ramo della famiglia: quello facente capo a Michelino D’Alessandro, cugino del boss e anch’egli attivo nel mercato ittico. Insomma, quello che emerge dall’inchiesta è, senza dubbio, la capacità della Camorra, in questo caso quella di Castellammare di Stabia, di riuscire a unire violenza, corruzione e imprenditorialità per sopravvivere nel tempo e continuare a evolversi.
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