L'omicidio del Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione Antonino Scopelliti, avvenuto il 9 agosto 1991 potrebbe essere stato un crocevia tra 'Ndrangheta, terrorismo e forze eversive.
Nessuno, ricordiamo, è mai stato condannato con sentenza definitiva.
Il magistrato che avrebbe dovuto sostenere l’accusa nel maxi-processo contro Cosa nostra in Cassazione si sarebbe quindi trovato davanti a quel particolare gruppo che agì seguendo una "convenzione strategica unitaria e un compromesso politico a termine" che prende il nome di Falange Armata.
Ne sono convinti l'ex magistrato Giovanni Spinosa e il consulente dell'autorità giudiziaria Giorgio Mezzetti che, nel loro articolo pubblicato su Dark Side, hanno indicato come elemento cardine del ragionamento il fucile basco - prodotto dalla Zabala Hermanos - fatto trovare nel 2018 dal chiacchierato ex collaboratore di giustizia catanese Maurizio Avola. Col pentito i magistrati hanno sempre deciso di andarci con i piedi di piombo per via delle numerose falle nei suoi racconti, come quel braccio rotto che rendeva impossibile la sua partecipazione da protagonista alla strage di via d’Amelio.
Avola ha mentito anche su Scopelliti? O, com'è spesso accaduto nella storia dei depistaggi italiani, c'è un po' di verità mescolata con molta menzogna?
"L’arma, a leggere le cronache di stampa, sarebbe stata trovata in pessime condizioni e inidonea a prove di sparo. È un’arma rarissima, tanto che per averne una simile e condurre delle prove finalizzate a valutare la sua astratta compatibilità con l’evento omicidiario, la Procura di Reggio Calabria ha dovuto commissionarne un clone alla Beretta", si legge nell'articolo. La provenienza basca dell’arma, secondo gli autori del libro "I documenti della Falange Armata" (edito da PaperFirst) è significativa: il testo suggerisce che non sia plausibile che la mafia avesse bisogno di un fucile così particolare per un delitto eseguibile con un normale fucile da caccia.
Un dettaglio che è interpretato come una “firma” che collega l’omicidio a un contesto più ampio che, per usare le stesse parole del comunicato della Falange Armata del settembre 1991, punta ad occuparsi del “settore politicogiudiziario-finanziario" attuando la "politica della forza e del terrore" attuata mediante la "militarizzazione del territorio".
Dentro a questo calderone si sarebbero unite tutte le principali forze antidemocratiche (sia di destra che di sinistra, compresa la mafia) nel nome della lotta al riformismo, a quella spinta che avrebbe potuto ridisegnare il concetto dello Stato proiettandolo verso la piena realizzazione degli articoli contenuti nella Costituzione.
Così non andò: sotto l'ombrello della Falange Armata, come scritto dagli autori, si riunirono Brigate Rosse, terroristi neri, baschi (appunto l'E.t.a, Euskadi Ta Askatasuna), tedeschi (con la R.A.F., Rote Armee Fraktion) e ovviamente le mafie. C'è ne furono altre ma per ora l'elenco può bastare. Il concetto principale è che queste collaborazioni sono documentate nei comunicati della F.A., che parlano di assistenza tecnica e logistica reciproca.
Gli attentati contro obiettivi spagnoli in Italia (es. sedi a Roma, Bologna e Milano nel 1991) sono rivendicati congiuntamente da F.A. e ETA, con un linguaggio che sottolinea la loro cooperazione. Ad esempio, l’attentato del 27-28 maggio 1991 a Roma è annunciato dalla F.A. e confermato dall’ETA.
Ma come spiegare idealmente tale alleanza? Come persone così ideologicamente distanti possono 'convivere' e collaborare?
Una possibile chiave di lettura la si trova nelle parole di Franco Freda - figura centrale dell’estrema destra italiana e leader degli ordinovisti veneti, ricordato soprattutto per i fatti della strage di Piazza Fontana - pronunciate durante una riunione del comitato di reggenza del Fronte Europeo Rivoluzionario tenutosi a Ratisbona (Baviera, Germania) 17 agosto 1969: "Entrambi [destra e sinistra, N.d.A.] vogliamo realizzare ciò che deve essere realizzato: arrivare sino alla foce. Se per noi giungere alla foce significa aver compiuto solo una parte del viaggio, mentre per costoro segna il termine del viaggio (o l’apertura di direzioni diverse), ciò non toglie che il viaggio lungo il fiume debba essere per entrambi compiuto e che le correnti debbano essere da entrambi superate. Ciò assume per gli uni e per gli altri i caratteri di una identica certezza, che a entrambi impone l’esigenza di una leale strategia di lotta comune: senza confusione di ranghi e di ruoli, ma nella considerazione della propria identità".
Una volta che la scelta di percorrere questo cammino venne presa si passò alla realizzazione degli obiettivi e delle rispettive azioni violente che prenderanno corpo a partire proprio dal 1990.
La Falange Armata non si nasconde: la mattina successiva all'omicidio del giudice Scopelliti, alle ore 12.00, arrivò una prima telefonata all’Ansa di Palermo: "Falange Armata. Abbiamo armonizzato la volontà di dovere alzare il tiro [...] determinata [...] [dalla, Nda ] impotenza e dalla codardia [di, Nda ] una classe politica corrotta, ottusa e sorda e da un sistema giudiziario e processuale fazioso, inerte e folkloristico".
La F.A. rivendicò l’omicidio di Scopelliti il 10 e 11 agosto 1991, ma si limitò ad assumersene la “paternità politica e morale”, lasciando la responsabilità materiale ad 'altri'.
Fonte: Darksideitalia.it
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