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La7 ripropone il caso Calvi, tra Loggia P2 e Vaticano: un delitto ancora senza colpevoli

Era il 1982 quando esplose il caso del Banco Ambrosiano, una vicenda che affonda le sue radici nel potere ecclesiastico, nella finanza, ma anche nella massoneria deviata e nella mafia. Protagonista di questa intricata storia fu Roberto Calvi, banchiere milanese e amministratore delegato del Banco Ambrosiano: un istituto di credito di origine cattolica che avrebbe dovuto ispirarsi ai “valori cristiani”. Peccato che le cose non andarono esattamente così. La trama occulta di questa storia fatta di giochi di potere, finanza nera, mafia e massoneria deviata è stata riproposta di recente su La7 nella puntata intitolata “L’assassinio del banchiere di Dio”. Si tratta, infatti, di una vicenda che incarna alla perfezione l’intreccio tra finanza, potere ecclesiastico, criminalità organizzata e logge occulte. Come ha affermato il magistrato Luca Tescaroli: “Il Banco Ambrosiano è stato impiegato per svolgere un’imponente attività di riciclaggio di denaro proveniente dalla mafia”. Tutto ebbe inizio a Londra, il 18 giugno 1982, quando Calvi venne ritrovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri. Al di là delle indagini della polizia londinese - di certo non brillanti nella gestione del luogo del ritrovamento e del corpo - il caso apparve fin da subito particolarmente enigmatico. Calvi fu trovato senza vita, vestito con un abito elegante, con mattoni nelle tasche e un considerevole numero di banconote. In un primo momento, la sua morte fu trattata come un suicidio. Tuttavia, grazie alle evidenze scientifiche emerse dall’inchiesta condotta nei primi anni 2000 dal procuratore Luca Tescaroli - all’epoca pubblico ministero a Roma -, fu dimostrato che, in realtà, Calvi fu vittima di un omicidio in piena regola.

Il Banco Ambrosiano, le società off-shore e lo IOR

Facciamo un passo indietro, agli anni ’70, quando Calvi salì alla guida del Banco Ambrosiano, trasformandolo profondamente da banca cattolica a potente snodo della finanza internazionale, ma anche strumento opaco per il trasferimento e la gestione di fondi illeciti e riservati. Per farlo, si avvalse di una fitta rete di società off-shore con sedi in Lussemburgo, Panama, Bahamas, sfuggendo al controllo delle autorità italiane e movimentando ingenti somme di denaro in modo non tracciabile. Un modus operandi che rese la banca guidata da Calvi un punto di intersezione perfetto per diverse realtà criminali. Due attori in particolare giocarono un ruolo ben preciso: la mafia e lo IOR, l’Istituto per le Opere di Religione, ovvero la banca vaticana. All’epoca dei fatti, lo IOR era diretto da monsignor Paul Marcinkus, un alto prelato statunitense, figura potente nei corridoi del Vaticano, cresciuto nell’Illinois negli anni in cui Al Capone dominava la periferia di Chicago. Lo IOR rappresentò per Calvi la chiave per condurre numerose operazioni finanziarie opache, movimentando capitali attraverso conti intestati a congregazioni religiose, ordini missionari e società fittizie legate alla Santa Sede. Alcuni capitali furono reinvestiti per finanziare partiti italiani o riciclare denaro proveniente dal traffico di droga. Insomma, un’intricata rete di affari illeciti e figure poco raccomandabili, in cui Calvi - passato alla storia come “il banchiere di Dio” - rivestì un ruolo centrale.


calvi doc la7
 

Licio Gelli e il ruolo della P2

Tra le figure più losche coinvolte, non poteva mancare Licio Gelli e la P2: la loggia massonica Propaganda Due, nota per il suo ruolo occulto in numerose vicende italiane, dai servizi segreti alla strategia della tensione, fino a tragici eventi come la strage di Bologna. La P2 fu una struttura segreta che raccolse esponenti del potere economico, politico e militare con l’obiettivo di “rifondare lo Stato” bypassando le regole democratiche. Per quanto riguarda il Banco Ambrosiano e Calvi, la P2 avrebbe utilizzato l’istituto come veicolo per riciclare denaro e finanziare gruppi politici italiani ed esteri, anche in America Latina, arrivando a influenzare interi apparati statali. Quando, nel giugno 1982, il Banco Ambrosiano crollò sotto il peso di 1,3 miliardi di dollari di debito, la paura che emergessero verità scomode fu grande: per la mafia, che aveva riciclato somme enormi; per il Vaticano, perché l’Ambrosiano agiva di fatto come braccio finanziario occulto dello IOR; e per gli ambienti legati alla P2, che temevano che Calvi, sotto pressione, iniziasse a parlare. E infatti, poco dopo il fallimento dell’Ambrosiano, Calvi fu trovato cadavere sotto il ponte londinese.

La svolta con il pm Tescaroli

Luca Tescaroli, oggi procuratore capo della Repubblica di Prato, si occupò del caso molti anni dopo, quando ormai sembrava un mistero irrisolto. Noto per inchieste su mafia, terrorismo e connivenze tra potere e criminalità, Tescaroli diede un impulso decisivo alle indagini sulla morte di Calvi, andando oltre le versioni ufficiali. Nei primi anni 2000, quando l’inchiesta fu riaperta, Tescaroli - all’epoca pubblico ministero a Roma - si avvalse di nuove perizie tecnico-scientifiche e metodi investigativi moderni. Una scelta che si è rivelata molto utile. Infatti, le analisi forensi dimostrarono molto chiaramente che Calvi non poteva essersi impiccato da solo in quel punto, né essersi legato nel modo in cui fu ritrovato. Inoltre, l’assenza di segni tipici dell’impiccagione rafforzò l’ipotesi dell’omicidio simulato. “È stato escluso che le unghie e l'apparato subungueale siano mai entrati in contatto con i mattoni ritrovati nei suoi vestiti. Dunque, non lui ma altri hanno sistemato quelle pietre”, precisa Tescaroli parlando apertamente di una messa in scena. Ecco, dunque, un quadro complesso, attraverso il quale Tescaroli riesce a individuare diversi potenziali mandanti che volevano la morte di Calvi. Tra i sospettati individuati da Tescaroli, diversi nomi di rilievo della criminalità organizzata e della massoneria deviata: Flavio Carboni, faccendiere vicino alla P2; Giuseppe Calò, “il cassiere della mafia”, boss di Cosa Nostra; Ernesto Diotallevi, ex boss della Banda della Magliana; e Manuela Kleinszig, compagna di Carboni. Nonostante un impianto accusatorio articolato e numerosi indizi, il processo si concluse con un nulla di fatto: nel 2007 il Tribunale di Roma assolse tutti gli imputati per insufficienza di prove, sentenza confermata in appello nel 2010. Tuttavia, il lavoro di Tescaroli rappresentò una svolta: da allora non fu più possibile parlare della morte di Calvi come di un suicidio.

Foto © Paolo Bassani

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