Traffico di rifiuti tossici, armi e connivenze internazionali: l’inchiesta che costò la vita alla giornalista Rai
Sono trascorsi 31 anni dall’omicidio della giornalista Ilaria Alpi e del cameraman Miran Hrovatin, brutalmente assassinati a Mogadiscio, in Somalia, il 20 marzo 1994. Un’esecuzione in piena regola che, a oltre tre decenni di distanza, continua a gridare giustizia. Il caso, ancora avvolto da misteri e reticenze, si è trasformato negli anni in un groviglio di depistaggi, interessi economici e connivenze di portata internazionale. Tutto ebbe inizio con un’indagine delicata, volta a far luce su possibili traffici illeciti di rifiuti e armi. Un’inchiesta che avrebbe portato la giornalista Alpi e il cameraman Hrovatin a documentare il contingente militare italiano nell’ambito della missione ONU Restore Hope. Una missione ufficialmente creata per stabilizzare un Paese devastato dalla guerra civile e dalla carestia, ma che, dietro la facciata umanitaria, nascondeva probabilmente realtà ben più oscure. Determinata e nota per il suo rigore investigativo, Ilaria Alpi iniziò a scavare, raccogliendo testimonianze da chi conosceva da vicino la crisi somala. Fino a imbattersi in quello che poteva essere un traffico illecito di rifiuti tossici trasportati via mare. Il cuore della sua inchiesta si trovava, infatti, nel porto somalo di Bosaso, crocevia strategico per il contrabbando internazionale. Qui, secondo un rapporto delle Nazioni Unite, la società italo-somala Shifco era coinvolta nel trasporto di armi provenienti dalla Lettonia. Il 15 marzo 1994, pochi giorni prima di essere uccisa, Ilaria riuscì a intervistare il governatore locale, Abdullahi Mussa Bogor, ponendogli domande sulla Faarax Omar, una nave sequestrata dalle milizie locali. Quell’incontro si rivelò cruciale: la giornalista potrebbe aver scoperto qualcosa di troppo. Qualcosa che non doveva diventare di dominio pubblico.
Dal duplice omicidio ai primi depistaggi
Dopo quell’intervista, arrivarono le prime minacce. Poi, il 20 marzo 1994, l’agguato: mentre viaggiavano a bordo di un fuoristrada per le strade di Mogadiscio, Alpi e Hrovatin vennero intercettati da una Land Rover carica di uomini armati. Il commando aprì il fuoco senza esitazione: Miran morì sul colpo, Ilaria venne colpita alla testa a bruciapelo. Non si trattò di una rapina o di un sequestro finito male, come si cercò di far credere in seguito. Fu un’esecuzione pianificata, con una precisione che lasciava pochi dubbi. Nel caos che seguì l’attacco, le prove cominciarono a scomparire: i taccuini di Ilaria, contenenti appunti preziosi sull’inchiesta, furono rubati; le videocassette girate da Miran svanirono nel nulla. Persino il certificato di morte della giornalista venne inspiegabilmente smarrito. Un’operazione sistematica e ben orchestrata per insabbiare la verità. Nel frattempo, mentre i depistaggi si susseguivano a ritmo serrato, le indagini in Italia avanzavano con estrema lentezza: ben otto procure e quattro commissioni parlamentari si occuparono del caso, senza mai arrivare a una verità definitiva. Nel 1998, quattro anni dopo il duplice omicidio, venne individuato un presunto responsabile: Hashi Omar Hassan, un giovane somalo che si trovava in Italia come testimone per un altro caso. Un altro somalo, Ali Ahmed Ragi, anche detto “Jelle”, lo accusò di aver fatto parte del commando che uccise i due giornalisti. Inizialmente assolto, Hashi venne condannato all’ergastolo in appello, pena poi ridotta a 26 anni nel 2002. Ma il giovane si dichiarò sempre innocente e le prove a suo carico apparvero sin dall’inizio fragili. Solo nel 2016 la verità venne finalmente a galla: la testimonianza di “Jelle” era falsa, costruita ad arte per trovare un capro espiatorio e chiudere il caso. Hashi venne assolto definitivamente e rilasciato dopo aver trascorso ingiustamente ben 17 anni in carcere.
In ricordo di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin
Dopo 31 anni, l’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin resta una ferita ancora aperta. Nessun mandante è mai stato individuato, nessun movente ufficialmente confermato. Tuttavia, le ipotesi più accreditate puntano nella stessa direzione: i due giornalisti furono eliminati perché stavano per rivelare qualcosa di compromettente sui traffici illeciti tra Italia e Somalia. Una verità troppo scomoda per venire alla luce. Il loro caso, divenuto simbolo del vero giornalismo d’inchiesta - quello fatto di fatica, coraggio e dedizione - verrà ricordato anche quest’anno. Oggi, a Settimo Torinese, si terrà una cerimonia in loro memoria. L’evento, previsto per le 15:40 nel giardino dedicato a Ilaria Alpi, in via Montessori, prevede la posa di una rosa in ricordo dei due giornalisti assassinati. Un altro momento di commemorazione si svolgerà a Gorizia, nel comune di Ronchi dei Legionari, in via Roma, davanti alla targa a loro dedicata. L’iniziativa rientra nella Passeggiata della Libertà di Stampa e di Espressione, inaugurata nel 2021 per omaggiare tutti quei professionisti dell’informazione che hanno perso la vita nel tentativo di garantire il diritto dei cittadini a essere informati.
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