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Uccidere facendolo sembrare un suicidio: è questa una delle pratiche "più efficaci per eliminare una persona senza destare sospetti". Si tratta di una metodologia molto utilizzata negli "ambienti dell’intelligence". La scene che si trovavano davanti le forze di polizia erano solo un teatrino poiché "si osservano i dettagli, emergono le anomalie".
Non si tratta di fantomatiche teorie da spy story: "Non c’è bisogno di essere complottisti per notare un pattern che si ripete, quasi con una precisione matematica. Un uomo che sa troppo, un testimone scomodo, un funzionario pronto a rivelare informazioni esplosive. Poi, improvvisamente, la sua morte. Spesso archiviata con superficialità, con un’indagine frettolosa e nessuna volontà di scavare più a fondo. Troppi dettagli non tornano, ma le domande restano senza risposta".
Federico Carbone, noto criminologo forense, traccia una sintesi estremamente precisa nel suo articolo pubblicato su Dark Side. Descrive quello che è accaduto per molti anni sotto gli occhi di tutti: "un sottobosco di manovre oscure", un lungo elenco di "suicidi che non convincono nessuno" che in realtà sono il frutto malato di "operazioni sporche dei servizi segreti".
"Molti di questi 'suicidi' sono avvenuti in momenti strategici - ha scritto Carbone - proprio quando la vittima avrebbe potuto rivelare informazioni cruciali. Non è un caso, ad esempio, che alcuni di questi uomini fossero pronti a collaborare con la magistratura o a testimoniare in inchieste delicate".
Leggendo il testo non può che venire in mente il caso del famoso urologo siciliano Attilio Manca, trovato morto nel suo appartamento a Viterbo il 12 febbraio 2004.
Il suo caso ha tutti gli elementi descritti da Carbone: Attilio era un testimone scomodo in quanto entrò in contatto con il latitante di Cosa nostra Bernardo Provenzano al tempo malato di tumore alla prostata; la scena del crimine presentavano moltissimi elementi discordanti che depotenziavano fino ad annullare del tutto la tesi del suicidio (ANTIMAFIADuemila ha già raccontato molte volte questo dettaglio); le indagini portate avanti con "superficialità" come scritto nella relazione delle commissione antimafia. In poche parole quello di Attilio Manca si può annoverare in quell'insieme di suicidi che non convincono e che anzi fanno sorgere molti dubbi.
Ma il vero marchio è il depistaggio: “Riscrivere la storia, deviare l’attenzione, costruire una narrazione alternativa. Ecco perché ogni operazione di eliminazione è accompagnata da una campagna di disinformazione. I giornali parlano di suicidio, di malattia, di fatalità. Le ipotesi alternative vengono screditate, bollate come teorie del complotto” e "chi cerca di scavare troppo viene delegittimato, intimidito, a volte perfino eliminato. Giornalisti, magistrati, investigatori indipendenti. Chiunque si avvicini troppo alla verità diventa un bersaglio. È successo a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, lasciati soli, esposti, messi nel mirino. È successo a giornalisti come Mauro De Mauro, scomparso nel nulla dopo essersi avvicinato a segreti indicibili". Carbone ha descritto degli esempi di casi emblematici di morti sospette: il Colonnello Enzo Rocca del Sifar, l’omicidio mascherato di Roberto Calvi, la morte di Vito Miceli, il colonnello del Sismi Umberto Bonaventura, quella del tenente colonnello del Sismi Mario Ferraro, la morte dell’incursore della Folgore Marco Mandolini e del maresciallo dei carabinieri Antonino Lombardo.
Ma anche uno degli "incidenti" più famosi della storia, quello di Enrico Mattei, fondatore dell’Eni, morto nel 1962, rientra perfettamente in questo triste elenco.
E la verità?
"Seppellita sotto quintali di carta, inghiottita da processi infiniti, annegata in narrazioni alternative. Perché se vuoi far sparire qualcuno, devi far sparire anche la sua storia.
Nel caso della strage di Capaci, le inchieste hanno sempre puntato sui mafiosi che hanno premuto il detonatore. Ma chi ha fornito i dettagli sui movimenti di Falcone? Chi ha permesso un’esecuzione militare perfetta, mai più ripetuta nella storia di Cosa nostra? Ci sono troppe voci, troppe testimonianze che parlano di servizi segreti, di figure oscure che si muovevano dietro le quinte. Le parole ‘mandanti occulti’ compaiono sempre nei fascicoli giudiziari, ma raramente arrivano a una condanna.
I nomi cambiano, le epoche si susseguono, ma il copione resta lo stesso" ha scritto il criminologo.

Fonte: Darksideitalia.it

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