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Il procuratore capo di Palermo spiega agli studenti dell’Università di Palermo la vera natura di Cosa nostra

In merito ai 181 arresti, nessuna vittoria è la vittoria. Dal giorno stesso in cui abbiamo arrestato Matteo Messina Denaro, abbiamo continuato a lavorare e a costruire un insieme di investigazioni per cercare di capire dove stesse andando Cosa nostra”. Lo ha detto il procuratore capo di Palermo, Maurizio de Lucia, parlando agli studenti di Scienze della Comunicazione dell’Università di Palermo per spiegare come l’ultima operazione antimafia rappresenti, in realtà, un tassello di grande valore investigativo, parte di un lavoro che prosegue senza sosta. “La metà di questi 181 arresti ha coinvolto soggetti con meno di 40 anni - ha proseguito de Lucia -”. Questo dato indica che “la questione generazionale è importante”. La mafia, infatti, continua ad attrarre le nuove generazioni, giovani che vedono nel mito del potere e della ricchezza un modello da seguire. “Ci sono giovani che, evidentemente, continuano ad essere affascinati dal mito e dal potere della ricchezza. I giovani - ha precisato - portano con loro innovazione”, soprattutto nell’ambito tecnologico. De Lucia ha inoltre sottolineato come, oggi, proprio grazie all’impiego delle moderne tecnologie, molte decisioni non dipendano più strettamente dai vertici dell’organizzazione. Tuttavia - ha aggiunto - “con i 181 arresti non abbiamo finito, perché ogni persona adesso deve essere processata, ma abbiamo già messo i semi per le indagini che verranno dopo, per quelli che sono rimasti in libertà”. Un altro aspetto centrale del discorso fatto dal  procuratore capo di Palermo - come riportato dal Giornale di Sicilia - riguarda le carceri, che non garantiscono necessariamente la neutralizzazione della mafia. Se da un lato, infatti, il carcere rappresenta un ambiente di grande disagio per i più deboli, dall’altro può consentire ai mafiosi più strutturati di mantenere, e in alcuni casi persino consolidare, il proprio potere. Non è un mistero che, nonostante misure restrittive come quelle previste per i detenuti sottoposti al regime del 41 bis, molti riescano comunque a comunicare con l’esterno grazie a telefoni cellulari introdotti clandestinamente nelle strutture penitenziarie. Un fenomeno che rappresenta una grave falla nel sistema di sicurezza, poiché consente alla criminalità organizzata di continuare a gestire i propri affari anche dalla detenzione.

Fonte: Ansa

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