I dossier sull’eversione che ha consumato l’Italia nel nuovo libro di Giovanni Spinosa e Giorgio Mazzetti
La Falange Armata: una torbida alleanza di forze che hanno come obbiettivo la destabilizzazione dello Stato e distruggere la democrazia nata dalla Costituzione. Un corpo armato che ha fatto attentati, ma che aveva anche un suo partito politico, il Fronte Nazionale.
Storia vecchia? Niente di più falso.
Tra le sue fila troviamo elementi ibridi legati alle istituzioni che vanno a braccetto con gli uomini d’onore di Cosa nostra e della ‘Ndrangheta.
Un’eco del passato che parte dall’omicidio dell’educatore carcerario Umberto Mormile, 11 aprile 1990, e che riecheggia per molti anni dopo con una serie di comunicati che, seppur scritti con stili diversi, fanno parte di un corpo unico. Comunicati che sono stati nascosti negli Archivi di Stato e che solo recentemente hanno potuto vedere la luce grazie agli sforzi della giornalista d’inchiesta e scrittrice Antonella Beccaria e Massimo Gianantoni.
La loro ricerca ha permesso di recuperare questa importante documentazione che è poi confluita nel libro “I documenti della Falange Armata” (edito da PaperFirst) scritto dall’ex magistrato Giovanni Spinosa e dal consulente dell’Autorità Giudiziaria Giorgio Mazzetti.
Un vero e proprio fiume di documenti si tuffano nel mare magnum della storia stragista del nostro paese: da quelle della Uno Bianca, passando dalle stragi del ’92-’94. I comunicati non si limitano a rivendicare l’azione eseguita, o in certi casi a preannunciarla; ma addirittura a volte ne danno una chiave di lettura politica.
Si tratta di un preciso progetto eversivo calcolato con chirurgica precisione. Ma chi è l’autore di questi comunicati? E chi è stato il progettista e il conduttore della Falange Armata?
Non vi sono dubbi che dentro a questa Alleanza vi era anche Cosa nostra: era il 27 giugno 2014 quando al processo trattativa Stato - Mafia il pentito Filippo Malvagna disse che Salvatore Riina aveva ordinato di “rivendicare qualsiasi cosa dicendo che chi metteva in atto queste cose faceva parte della ‘Falange Armata’”.
Mentre il 23 febbraio 2014 una lettera firmata sempre dalla Falange Armata, inviata a Riina, al tempo detenuto al carcere di Opera (Milano), scritta con toni minacciosi, recitava: "Chiudi quella maledetta bocca. Ricorda che i tuoi familiari sono liberi". Il finale della lettera lancia un altro messaggio inquietante: "Per il resto stai tranquillo, ci pensiamo noi".
Dal tono della lettera si capisce che chi si rivolge a Riina lo fa da una posizione di forza, tanto da arrivare a minacciare lui e i suoi famigliari.
Chi fu l’autore? E perché questi comunicati sono stati nascosti per tutto questo tempo? Che legame c’era (o c’è) tra questo consorzio di certosini dispensatori di tritolo e piombo e Cosa nostra?
Nella diretta del ‘Fatto Quotidiano’, moderata dal giornalista Marco Lillo, a cui hanno preso parte gli autori, si è cercato di dare risposte a queste domande fornendo anche dettagli inediti.
In testa è certamente la scoperta di un documento notarile che attesta come Franco Freda (responsabile assieme a Giovanni Ventura della strage di Piazza Fontana del 12 dicembre del 1969 come attesta una sentenza della cassazione del 2005) abbia costituito un partito politico, il Fronte Nazionale, a Ferrara.
“Questo atto” ha detto l’ex magistrato Spinosa, “è datato 12 gennaio 1991”.
Questa formazione politica non avrà vita lunga: il 12 luglio 1993 i capi verranno arrestati e con una sentenza della Corte di Cassazione verrà definitivamente sciolta il 9 novembre del 2000.
La nascita di questo partito politico si accompagna ad un altro fatto: il 4 gennaio dello stesso anno (1991) nella strage del Pilastro vengono barbaramente uccisi tre giovani carabinieri, Otello Stefanini, Andrea Moneta, Mauro Mitilini.
L'eccidio fu una strage compiuta dalla cosiddetta Banda della Uno bianca, un gruppo criminale che ha eseguito azioni, apparentemente, senza un chiaro movente e caratterizzate da una ferocia omicida del tutto irragionevole rispetto ai presunti obbiettivi, terrorizzando, indisturbata, una parte del nostro paese per 7 lunghi anni.
Il 12 gennaio, giorno in cui i ‘camerati’ e Freda pongono le firme sull’atto notarile, un comunicato della Falange Armata, letto da un portavoce con accento tedesco, ribadisce che l’esecuzione degli uomini dell’Arma “è stata casuale ma dettata contingenza e sicurezza di tutta l’organizzazione, così doveva essere”.
La Falange Armata quindi si assume la paternità di questa strage che ha come obbiettivo i Carabinieri, un corpo che sarà protagonista diretto degli eventi del ’92 in quanto alcuni dei suoi alti ufficiali (il Col. Mario Mori e il Cap. Giuseppe De Donno) avvieranno la trattativa (così la definirono loro al processo di Firenze) con Cosa nostra mentre esplodeva il tritolo che si portò via i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Ma Cosa nostra, secondo Spinosa, era stata “arruolata” all’interno della Falange Armata: “Io ci tengo a questo termine, bisogna che noi ci abituiamo ad usarlo. Non è un discorso: la Falange Armata utilizza questo. Cosa Nostra viene arruolata all'interno” e “segue le indicazioni e si muove sulla base della strategia della Falange Armata”.
Non a caso uno dei comunicati dice che all’interno dell’organizzazione ci sono “varie fasce di intervento” e che “ognuno avrà le sue mansioni”.
Tutto questo per raggiungere “alcuni obiettivi di destabilizzazione”.
Alcuni dei comunicati della Falange Armata parlano anche della “strage di Capaci” rivendicandola e “assumendone la responsabilità”.
E lo fa con un linguaggio raffinato, da burocrati, non da strada: “Non fanno troppo mistero di essere persone all'interno dei servizi”.
Si tratta, in estrema sintesi, di una storia complessa che in pochi hanno avuto la volontà di analizzare. Un tratto comune a molte vicende italiane legate ai terribili anni del piombo e delle bombe.
Una cosa è certa: la Falange Armata esiste ed è esistita; “È sempre stata definita fantomatica, ma perché questi comunicati ci sono voluti trent'anni per tirarli fuori? Questa è la domanda che noi dobbiamo innanzitutto porci” ha detto Spinosa.
“Io non mi aspetto che un mafioso mi racconti queste cose. Perché dubito che i mafiosi le sappiano. I mafiosi sanno quello che gli dice qualche capo mandamento e qualche capo mandamento sa quello che gli dice qualche altro capo, e quello che sa questo qualche altro capo è una verità parziale che gli viene raccontata da qualche uomo della Falange. Va bene? Quindi, se noi ci aspettiamo che qualche capodecina ci racconti la storia della Falange, allora facciamo a tempo a chiudere. È chiaro che dobbiamo sperare in contributi diversi. Io voglio dire una cosa: io capisco anche che la Falange Armata sia stata tenuta nascosta” ma è giunto il momento che chi sa parli; “è giunto il momento che la politica questi problemi se li ponga, che se li legga anche la politica questi comunicati. È vero che possono essere coincidenze, quanto? Una, dieci, cinquanta, cento, mille? Sì, mille, più di mille, perché ogni comunicato ne contiene più di una, più di mille coincidenze. Ed è possibile, ci crediamo a mille coincidenze?”.
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