Dopo aver scontato una condanna per associazione a delinquere di tipo mafioso, inflittagli a seguito di un'operazione antimafia nel 2009, un uomo ha tentato di riprendere il controllo del clan ad Agira, nell'Ennese. L'attività illecita non si limitava a estorsioni e danneggiamenti, ma includeva anche la mediazione in controversie e il recupero di proventi di furti su richiesta delle vittime. Questi elementi emergono dall'operazione antimafia "Cerere" della Polizia di Stato, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta, che ha portato all'esecuzione di quattro misure cautelari. Tre degli indagati sono stati condotti in carcere, mentre un quarto è stato sottoposto all'obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria. I provvedimenti, emessi dal giudice per le indagini preliminari di Caltanissetta, sono stati eseguiti dagli agenti della Squadra mobile di Enna e dal commissariato di Leonforte, con il supporto della Squadra mobile di Siena. In manette è finito il presunto referente della famiglia mafiosa di Agira, accusato di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, furto e danneggiamento seguito da incendio, tutti reati aggravati dal metodo mafioso e dalla finalità di agevolare l'attività di Cosa Nostra. Gli altri tre indagati devono rispondere di estorsione, violenza privata e lesioni personali, anch'essi aggravati dal metodo mafioso. Le indagini hanno rivelato ulteriori ipotesi di reato a carico di altri soggetti, attualmente indagati a piede libero. Gli inquirenti hanno fatto luce su numerosi reati tipici della cosiddetta "mafia rurale", documentando due episodi di estorsione ai danni di aziende impegnate in lavori pubblici di modesta entità ad Agira. A queste imprese sarebbe stata imposta la cessione di materiali e l'esecuzione di lavori privati. Nel mirino del referente mafioso era finito anche un imprenditore agricolo, al quale sarebbe stato imposto di ritirare una querela e rinunciare al risarcimento dei danni per un furto, per il quale tre persone erano già state rinviate a giudizio.

Foto © Imagoeconomica

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