Mentre il governo continua ad attaccare i magistrati, emerge la possibilità che in Europa il generale godesse di qualche “lascia passare” dei servizi
Continuano ad emergere aspetti incredibili dallo scandalo - ormai di livello internazionale - della liberazione del torturatore libico Osama Almasri, ricercato dalla Corte Penale Internazionale. Le nuove indiscrezioni, questa volta, non riguardano le modalità con cui il governo Meloni ha deciso di riportare il ricercato a Tripoli, disattendendo le richieste dell’Aja, ma proprio la figura del boia tripolino. Indiscrezioni stampa, infatti, riportano che il capo della Rada (potente milizia para-mafiosa in Tripolitania) e amministratore della prigione di Mitiga vanti di un visto per gli Stati Uniti rilasciato a novembre scorso e dalla validità di dieci anni. Oltre a un passaporto della Dominica, isola paradisiaca delle Antille. Il visto con timbro statunitense di quella durata non è qualcosa di accessibile a tutti. E’ plausibile ritenere che si tratti di una concessione fatta ad Almasri perché uomo indispensabile nello scacchiere geopolitico libico, crocevia di interessi internazionali, milizie, traffici di esseri umani, petrolio e armi. Un trattamento di favore in cambio della sua gestione sanguinaria di potere nella lotta al terrorismo. Almasri, infatti, è l’uomo forte che fa al caso delle potenze internazionali in Libia, Italia inclusa. Lo ha sottolineato, a modo suo, anche un cinico Bruno Vespa: “In ogni Stato si fanno delle cose sporchissime, anche trattando con i torturatori, per la sicurezza nazionale”.
Roosvelt, negli anni ’40, disse qualcosa di simile: “E’ un bastardo, ma è il nostro bastardo”. Il riferimento era a Rafael Trujillo, sanguinario dittatore dominicano, non al “nostro” generale libico. Ma il concetto - intollerabile - rimane. E’ Realpolitik. E’ il cinismo della ‘ragion di Stato’ che permette al potere di calpestare la morale e le leggi nazionali e internazionali. Nulla di più, nulla di meno. Almasri è importante sia per sedare i disordini interni a Tripoli, sia per favorire gli affari occidentali in Tripolitania. Così si spiegherebbero, come riporta La Stampa da fonti diplomatiche e di intelligence, i suoi contatti con la CIA americana e con l’Mi6 britannica. Il libico, inoltre, scrive sempre La Stampa, è una figura conosciuta dai servizi segreti italiani. L’Aise in particolare. Il quotidiano torinese rivela poi un aspetto finora inedito della vicenda, precisando però che si tratta di una versione coperta da confidenze non ufficiali: “Al momento dell’arresto i servizi segreti comunicano il possibile ricatto esercitato dal gruppo militare di Almasri, affiliato al governo di unità nazionale di Tripoli. Gli agenti presenti in Libia comunicano il rischio di ritorsioni su cittadini italiani e su giacimenti dell’Eni”. Se ricatto c’è stato, l’epilogo della vicenda Almasri fa pensare che Roma vi abbia ceduto. Ma se così è, però, il governo ha gestito il tutto nel peggiore dei modi. A partire dalla comunicazione: l’esecutivo avrebbe potuto trincerarsi dietro il segreto di Stato, come ha ricordato l’avvocato Luigi Li Gotti che ha denunciato Giorgia Meloni, Alfredo Mantovano e i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi per favoreggiamento e peculato. “Davanti a situazioni del genere, il governo può anche apporre il segreto di Stato”, ha ricordato Li Gotti ai nostri microfoni. “Ma perché mentire? Apponete il segreto di Stato dicendo: ‘Di questo affare non ne possiamo parlare a nessun livello’. Ma non mentire”. Del resto, ha sottolineato il legale, “noi siamo cittadini sovrani. Accettiamo anche la logica del segreto di Stato. È previsto". Invece il governo ha pastrocchiato qua e là - probabilmente perché era troppo tardi per nascondere la polvere sotto il tappeto - inalberandosi, giustificandosi nel peggiore dei modi e alludendo a una galassia di complotti. Tutti contro i giudici, ovviamente. Elenchiamone alcuni: il complotto dei giudici dell’Aja che odiano la Meloni e quindi per dispetto hanno spiccato il mandato d’arresto solo quando Almasri ha varcato i nostri confini; Il complotto della corte d’appello di Roma che ha deciso di scarcerare il boia; Il complotto “Bis” della corte d’appello di Roma che non ha inviato i documenti a Nordio; Il complotto “Ter” della stessa corte che invece, secondo altri membri della maggioranza, le carte le ha inviate ma in ritardo. Tutte panzane, è chiaro. Poi c’è il “complotto Li Gotti” e il “complotto Lo Voi” (il procuratore che ha notificato la comunicazione di iscrizione nel registro delle notizie di reato). Il primo congiura perché “di sinistra” (era nel governo Prodi) e ha l’aggravante di difendere i “mafiosi” (in realtà Li Gotti viene dalla stessa destra da cui viene Giorgia Meloni e difende i pentiti, non i boss) il secondo congiura perché magistrato (quindi congiura a prescindere, anche se appartiene a Magistratura Indipendente, corrente di destra del CSM).
Infine l’ultima delle teorie del complotto: perché Almasri ha potuto circolare senza ostacoli in Inghilterra, Belgio, Germania, Francia e Monaco? Probabilmente questo potrebbe essere l’unico dei complotti sollevati dalla maggioranza ad avere qualche ragion d’esistere. Al di là del “Red Notice” dell’Interpol scattato il 18 gennaio, annotazione che prevede l’arresto immediato di un sospettato (fino a quel momento su Almasri c’era un “Blue Notice”, annotazione di solo “monitoraggio”, notificato alla Germania) questi cinque paesi sapevano chi fosse il boia tripolino e cosa gli si recriminava. Possibile che non si sia potuto intervenire in qualche modo preventivamente? E’ plausibile ritenere che se è riuscito a scorrazzare, in macchina, per mezza Europa (in Germania era stato anche fermato ma subito rilasciato a un controllo di polizia) probabilmente è proprio in virtù dei suoi legami con i servizi anglosassoni? La trasformazione del “Blue notice” in “Red notice” avvenuta solo il 18 gennaio, quindi dopo sette giorni di permanenza in territorio europeo, si spiega soltanto con la complessità degli elementi a carico del generale su cui la CPI ha dovuto studiare prima di chiederne l’arresto? Sono domande a cui urge dare risposta.
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