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Un caso emblematico legato a un delitto mafioso avvenuto nel ‘76, tra vendetta e un sistema giudiziario sotto pressione

La storia di Jiri Laski, finito al centro di una vicenda che intreccia criminalità organizzata e giustizia, rappresenta un esempio emblematico di come la mafia abbia operato per decenni in Sicilia. Si tratta, infatti, di un episodio avvenuto nella Sicilia degli anni ’70, che prende spunto da un drammatico fatto di cronaca: la morte di un ragazzino, Salvatore Cacioppo. Di questo caso, ormai dimenticato, ha parlato il noto collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo, raccontando ai microfoni di Repubblica la storia di un uomo completamente estraneo agli ambienti mafiosi, Jiri Laski, accusato ingiustamente di essere coinvolto nell’omicidio e successivamente assolto. La sua assoluzione si colloca in un contesto delicato, in cui le dinamiche di potere e vendetta della mafia si mescolavano a un sistema giudiziario talvolta influenzato dalla paura o da pressioni esterne. Cacioppo, sedicenne del rione Kalsa di Palermo, venne ritrovato senza vita la sera del 12 marzo 1976. Il suo corpo era avvolto in un sacco nero e nascosto nel bagagliaio di una Fiat 127, in via Aleardo Aleardi, nel quartiere Uditore. Dopo averlo legato e strangolato, gli autori dell’omicidio gli appesero al collo un cartello con la scritta: “Io sono quello che ha tagliato la faccia della turista alla Vucciria. E questo serva da monito ai vermi che come me gettano fango sulla Sicilia”. Il riferimento era chiaro. Si trattava della ballerina ceca Lina Kottova, che in quel periodo lavorava presso il night club “Il Mirage” di via Emerico Amari. Poche settimane prima, Kottova era riuscita a difendersi durante un tentativo di rapina, evitando che le sottraessero la borsetta. In segno di sfregio, uno dei rapinatori, prima di scappare, le sfregiò il viso con un coltello. Il responsabile di questo gesto sarebbe stato proprio Cacioppo.
Tornando a Jiri Laski, Mutolo ha spiegato di averlo conosciuto durante la sua detenzione all’Ucciardone, il carcere di Palermo che spesso ha ospitato figure legate alla mafia. Secondo Mutolo, era evidente che Laski non avesse alcun legame con l’omicidio di Cacioppo, nato invece da una vendetta nei confronti di chi, agli occhi della mafia, “infangava la Sicilia”. Per questo motivo, il collaboratore di giustizia ha raccontato di aver più volte aiutato Laski durante il periodo di detenzione nel carcere palermitano. Parlando con Repubblica dei pericoli rappresentati dai boss scarcerati e tornati in libertà a Palermo, Mutolo ha ricordato la vicenda di Cacioppo e i rischi legati alla presenza di mafiosi come Franco Bonura nelle strade della città. Bonura - ha spiegato Mutolo - “non è stato solo un ricco costruttore, ma anche un capomafia dell’Uditore che ha partecipato a diversi omicidi eppure è sempre riuscito a farla franca”. Come nel caso dell’omicidio del giovane Cacioppo, “strangolato in un deposito di Bonura, tra l’Uditore e Passo di Rigano, dove si trovava una fabbrica di stracci”. E aggiunge: “Quel giorno, oltre a Bonura, erano presenti anche altri autorevoli mafiosi, come Rosario Riccobono e Giovanni Bontate, autore del cartello ritrovato accanto al cadavere nel portabagagli dell’auto”. Il caso di Laski e le accuse contro Bonura rappresentano dunque due facce della stessa medaglia: da un lato, un uomo innocente trascinato in un vortice giudiziario per un crimine che non aveva commesso; dall’altro, un collaboratore di giustizia che cerca di fare luce su un omicidio simbolico, ma legato al controllo capillare esercitato dalla mafia. Le dichiarazioni di Mutolo assumono un valore cruciale non solo per il caso specifico, ma anche per comprendere il contesto storico e le dinamiche che ancora oggi descrivono la mafia per ciò che realmente rappresenta.

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