A Napoli un seminario a 40 anni dall’attentato. Ilaria Moroni: “Mancano dei pezzi in questa storia”. E a Firenze si continua ancora a indagare
Sul giallo del rapido 904 esiste una verità giudiziaria ma non è sufficiente. E’ il messaggio lanciato ieri in un seminario svolto a Napoli presso la chiesa dei Santi Marcellino e Festo, dal titolo "Quarant'anni dalla strage sul treno rapido 904 - Tra mafie, terrorismo eversivo e poteri deviati" promosso dall'associazione tra i familiari delle vittime della strage del rapido 904, la Fondazione Polis, il Dipartimento di scienze sociali della Federico II e l'associazione Libera. “C’è una verità giudiziaria, ma bisogna continuare a scavare in questa vicenda per giungere anche ad una verità storica”, ha affermato Alexander Höbel, professore di Storia Contemporanea all'Università di Sassari, elencando i fatti comprovati dalle sentenze sulla strage (ribattezzata “Strage di Natale”) avvenuta il 23 dicembre del 1984 all'interno della Grande galleria dell'Appennino, tra Firenze e Bologna. Quella sera, alle 19.08, una bomba distrusse la carrozza numero 9 di seconda classe falciando le vite di sedici persone (di cui tre bambini) e ferendone 267. “Una strage anomala - ha ricordato ancora il professor Höbel al seminario moderato dal giornalista Marco Damilano - al confine tra la vecchia strategia della tensione e le nuove stragi di mafia che arrivano fino a via d’Amelio. Collegate dalla presenza dello stesso esplosivo che ha ucciso nel '92 anche a Palermo il giudice Borsellino e i ragazzi della scorta”. Tra i relatori presente anche Ilaria Moroni, direttrice dell’Archivio Flamigni, realtà che in questi anni ha fornito un contributo determinante nella ricerca della verità sui fatti della prima Repubblica. “È evidente che mancano dei pezzi in questa storia - ha detto Ilaria Moroni - Non sono stragi di Stato, perché sappiamo chi è stato”. Secondo Marcello Ravveduto, professore di Digital Public History all'università di Salerno, il fatto che il caso del rapido 904 rischia di essere dimenticato è il fatto che la strage è avvenuta in un treno e non in una città o in un monumento, per esempio, come le stragi del ’93. “Il treno è un non luogo che non determina il luogo della vittimizzazione”. Ecco quindi l’idea di Mariano Di Palma, referente di Libera Campania, di costruire in piazza Garibaldi un luogo “che diventi simbolo di quella strage”. Presenti all’incontro anche Rosaria Manzo, presidente dell'Associazione dei familiari delle vittime della strage e don Tonino Palmese, presidente della Fondazione Polis che ha messo anch’egli in guardia rispetto al pericolo di oblio. “Ci accorgiamo sempre di più che l'oblio condiviso costruisce la tribù degli indifferenti - ha affermato don Palmese - mentre la memoria condivisa costruisce la comunità degli empatici e dei compassionevoli. Purtroppo quella cultura che mette le bombe sui treni è ancora tra di noi. Oggi forse questa cultura non fa mettere più le bombe sui treni, ma fa un'altra strage, la strage della democrazia”.
I processi, a Firenze riaperto il fascicolo
Per la strage sono stati condannati il boss di Cosa nostra Pippo Calò, fedelissimo del Capo dei capi, Totò Riina, e i suoi aiutanti Guido Cercola e Franco D’Agostino e del tecnico elettronico tedesco Friedrich Schaudinn. Massimo Abbatagnelo, ex parlamentare del Movimento sociale, invece, venne condannato per la detenzione dell’esplosivo, insieme a quattro camorristi. Nei processi, infatti, erano emersi i collegamenti tra le famiglie siciliane, i camorristi della Nuova famiglia, con uomini della criminalità romana, in particolare della Banda della Magliana; con personaggi della destra eversiva e settori deviati delle istituzioni, legati e collegati proprio a Calò, che aveva un ruolo di cerniera fra tutti questi “apparati”. In tempi più recenti una rilettura di atti e indagini aveva portato la procura di Napoli a individuare lo stesso Riina, poi morto nel 2017, come presunto mandante della strage. L’inchiesta passo poi alla procura di Firenze che nel gennaio 2013 chiese il rinvio a giudizio per il boss corleonese che in primo grado, nel 2015, venne assolto con la formula che ricalcava la vecchia insufficienza di prove. Il processo d'appello era stato fissato nel dicembre 2017, dopo diversi rinvii con un giudice che fu sostituito perché prossimo alla pensione. Troppo tardi perché Riina morì un mese prima e non fu possibile andare oltre.
Nel ricorso che al tempo aveva presentato la Procura di Firenze, all'epoca rappresentata dalla pm Angela Pietroiusti, venivano richiamati una serie di fatti, tra cui la circostanza che l’esplosivo usato per la strage, il Semtex 4, risultò dalle indagini uguale a quello nella disponibilità degli uomini più fidati di Riina.
E da quest’anno si è ripartito proprio da qui per continuare ad indagare. La Procura di Firenze ha infatti riaperto il fascicolo ritenendo che quell'attentato si inserirebbe nella strategia mafiosa di attacco allo Stato, per intimidirlo e costringerlo a trattare. Le richieste dei familiari delle vittime sono due: continuare a scavare e non dimenticare.
Fonte: La Repubblica Napoli
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