Questo articolo, che riproponiamo ai nostri lettori, è stato scritto in data 14-11-2024.
Fermi, immobili, ai piedi di un palco di un teatro, lo sguardo che discretamente sorvola le aree circostanti per individuare potenziali pericoli.
Discrete ombre che, come punti che delimitano il perimetro della sua libertà, circondano il personaggio da tutelare mentre passeggia lungo i marciapiedi della città, da lui distanti quanto basta per dargli la sensazione di essere, uomo o donna, come tanti altri, libero di muoversi e, al tempo stesso, pronti a intervenire laddove ce ne fosse bisogno.
Scudi umani che sfrecciano dentro macchine super blindate per consentire spostamenti sicuri.
Silenziosi osservatori, riservati spettatori di decine e decine di momenti colmi di emozioni per i quali non possono esprimere il loro entusiasmo, nascondendo semmai una lacrima dietro occhiali da sole scuri o, celando un sorriso dietro labbra perennemente serrate per passare il più possibile inosservati.
E, al tempo stesso, testimoni di eventi, cui forse qualche volta avrebbero voluto non assistere.
Fatti per i quali non possono manifestare la loro approvazione o indignazione e che, probabilmente, in alcune occasioni, li fa interrogare sul perché continuano a essere lì, e per cosa, a rischiare la loro vita, dovendo rinunciare ad una vita normale con le loro famiglie, per tutelare quella persona che è stata loro affidata, non sempre l’uomo irreprensibile di specchiata onestà e dal casellario giudiziario immacolato, che loro devono tutelare mentre l’opinione pubblica fa difficoltà a giustificare.
Sono gli uomini della scorta, uomini e donne, i titoli di coda nelle commemorazioni giornalistiche quando diventano vittime insieme a coloro che, con grande orgoglio, hanno accettato di tutelare fino a quell’estremo sacrificio che sapevano far parte della loro missione.
Difficile sentir parlare degli uomini delle scorte, raro che vengano dedicati spazi a chi, per buona parte della giornata, come lavoro principale pratica essenzialmente l’attesa.
Un'attesa quotidiana, paziente, ove la tensione non deve mai abbassarsi, sempre vigili, non è dato annoiarsi, mentre si attende lunghissime ore per consentire al magistrato, giornalista, politico o altri, di svolgere il loro lavoro con tranquillità.
Sono gli uomini delle scorte di cui a casa spesso non si sa nemmeno che lavoro facciano, celato semmai per non creare apprensioni, e di cui i famigliari ne vengono a conoscenza solo nel caso in cui dovesse succedere qualcosa di grave.
Sono gli uomini della scorta, appartenenti a quello Stato pulito, migliore, di cui sono orgogliosi di esserne cittadini e servitori, i famosi titoli di coda che quasi nessuno legge mai, uomini e donne che, come vorrebbero farci credere della Mafia, non esistono, ma ci sono.
Ci sono, nel loro quotidiano impegno che diventa “conditio sine qua non” per la crescita della nostra democrazia, per la ricerca della verità da parte dei magistrati, per la diffusione di conoscenza e informazione e senza il cui contributo molte attività non potrebbero essere poste in essere.
Ci sono, così come c’è la Mafia, anche se, nell’ambito di una politica revisionista, chiaramente in atto nel nostro Paese, che vede vie e aeroporti cambiare nome e, a breve, probabilmente anche alcune statue e monumenti prendere la strada delle cantine, anche i vocabolari prima o poi non verranno risparmiati.
E, già da ora, e non solo, molti, soprattutto fra i politici, hanno cancellato il termine “Mafia” dal loro vocabolario, concedendogli, di iniziativa, un diritto all’oblio che non gli spetterebbe, utile per depotenziare, svilendolo, il lavoro di chi quotidianamente, è impegnato a combattere la Mafia, e non i fantasmi.
Se non scegliamo di girarci dall’altra parte, tutto ciò è di fronte ai nostri occhi.
“La commissione Antimafia vuole riscrivere la Storia dicendo che la strage di Via d’Amelio nacque da una banale diatriba di Palazzo”, ha precisato l’Avvocato Luigi Li Gotti in occasione della presentazione dell’ultimo libro di Saverio Lodato "Cinquant'anni di mafia" al Teatro Quirino a Roma, e, il problema vero, è che esistono forze contrarie che vogliono affrancarsi dalla parola Mafia, pur essendo ormai tutto chiaro sulle stragi in merito alle quali ormai non vi sono più misteri.
Solo per una deliberata scelta ispirata da malafede, certamente di comodo, possiamo continuare a sostenere l’esistenza di insolubili misteri mentre, diversamente da quanto si vuol far credere, la Mafia esiste e non solo nei paesi di un immaginario anacronistico Sud, presidiato da coppole con lupara, ma, sempre più frequentemente anche in stanze dei palazzi delle istituzioni frequentate da, apparentemente più dignitose e affidabili, cravatte con computer.
Alla fine, se realmente questo è lo stato delle cose, non solo gli uomini delle scorte ma gli stessi uomini da loro tutelati, quelli che rappresentano l’espressione del nostro Stato migliore e onesto, e insieme a loro tutti i cittadini onesti che in uno Stato migliore hanno ancora voglia di sperare e credere, rappresentano quei titoli di coda del più squallido film, “L’Italia che non avremmo mai voluto” potrebbe essere il titolo, che la regia della peggior politica, quotidianamente, puntata dopo puntata, vuol produrre cercando di farci subire.
E allora, facciamo nostro l’invito di Lorenzo Baldo, Vicedirettore di ANTIMAFIADuemila il quale, nel suo intenso intervento in occasione della presentazione del libro Cinquant'anni di mafia di Saverio Lodato, ha sottolineato come sia importante andare oltre noi stessi.
“E’ importante andare oltre le nostre paure e i nostri limiti, facendo semplicemente il nostro dovere in quanto testimoni di questo tempo” ha detto Baldo.
“Un tempo in cui il silenzio degli onesti pesa ancora di più e diventa ancora più dannoso. Un tempo in cui la disobbedienza civile contro ogni provvedimento liberticida e classista che minaccia la nostra costituzione diventa fondamentale, oltre noi stessi, oltre le nostre “confort zone” seguendo l’esempio di donne e uomini che lo hanno fatto prima di noi".
Questa “confort zone” ormai da tempo, andando oltre loro stessi, l’hanno superata gli uomini e le donne delle scorte, con il loro impegno, la loro dedizione, il loro sacrificio, che, in nuovo film che ci piacerebbe vedere, “l’Italia che vogliamo”, potrebbero, a pieno titolo essere riportati tra i veri coprotagonisti e non quegli “... e gli uomini della scorta” dei titoli di coda.
Foto originale © Paolo Bassani
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... e gli uomini della scorta
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- Giuseppe Galasso