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Quarantadue anni fa cadeva sotto i colpi di Cosa Nostra il giovane ‘Lillo’, vero servitore dello Stato

Giovane e determinato, questo è il ricordo che Calogero Zucchetto, per gli amici “Lillo”, ha lasciato di sé dopo che cinque colpi di pistola gli tolsero per sempre una vita destinata a brillare tra le fila dei servitori dello Stato. Lillo, infatti, era un giovane poliziotto già impegnato nella lotta alla mafia come membro della Sezione Catturandi, specializzata nella ricerca e cattura dei latitanti. La sua attività investigativa, svolta fino alla fine con grande passione e dedizione, gettò le basi per il grande processo a Cosa Nostra.

Era la sera del 14 novembre 1982 quando Zucchetto, 27 anni, di ritorno da una partita di calcio, uscì dal Bar Callicola, in via Notarbartolo a Palermo. Tra le mani aveva un panino. Mentre si dirigeva verso la sua auto, cinque colpi di pistola lo colpirono alla testa. A sparare furono Pino Greco, noto come “Scarpuzzedda”, e Mario Prestifilippo, che si trovavano insieme a Giuseppe Lucchese: tutti sicari della mafia. Criminali senza scrupoli, ma non senza paura. Quella sera, infatti, i tre killer di Cosa Nostra decisero di colpire il giovane poliziotto alle spalle, temendo il suo coraggio e la sua capacità di reagire. Dopo l’attentato, Cosa Nostra, nel tentativo di depistare le indagini, diffuse la voce che l'omicidio fosse, in realtà, legato a una questione di donne. Una strategia di diffamazione spesso usata dalla mafia per allontanare da sé sospetti scomodi e pericolosi. Tuttavia, molti dei suoi amici e colleghi non credettero a questa versione, collegando immediatamente la morte di Lillo alla sua caccia ai latitanti, un’attività che il giovane poliziotto della Squadra Mobile di Palermo, sotto la guida di Ninni Cassarà - assassinato il 6 agosto 1985 - portava avanti con coraggio e determinazione anche nelle aree più a rischio, come Ciaculli, il regno di Michele Greco, soprannominato “il Papa” della mafia.

Il coraggio di Zucchetto non passò mai inosservato durante il suo lavoro. Durante le sue indagini, infatti, “Lillo” incontrò per caso in strada i tre mafiosi che poco tempo dopo gli avrebbero tolto per sempre la vita: Greco, Prestifilippo e Lucchese. Si rese immediatamente conto di essere stato riconosciuto. Ciò nonostante, non rinunciò al suo lavoro investigativo. Continuò i suoi appostamenti nel territorio di Ciaculli e, durante una di queste occasioni, riconobbe il latitante Salvatore Montalto ma, privo dei mezzi adeguati, fu costretto a rinunciare all’arresto. Riguardo alla menzogna diffusa dalla mafia per allontanare da sé ogni sospetto sulla morte di Zucchetto, un testimone confermò i sospetti di molti amici e colleghi, raccontando che, in realtà, la sua morte era stata decisa da Cosa Nostra per punire il giovane poliziotto, che aveva osato violare il territorio dei mafiosi, mettendo in pericolo l’intera organizzazione.

Oggi, 42 anni dopo, il sacrificio di “Lillo” viene ricordato come un simbolo di coraggio e vero patriottismo, onorato anche con una medaglia alla memoria per il suo servizio e per il suo contributo nella lotta contro la mafia, in un periodo in cui la città di Palermo era scossa da numerosi omicidi di figure impegnate nella giustizia, come Pio La Torre e il generale Carlo Alberto dalla Chiesa.

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