Scena muta anche per l'ingegnere" Calamucci. Uno degli indagati: "Temo per l’incolumità mia e della mia famiglia”
E’ il giorno degli interrogatori della banda di hacker che ha spiato 800mila persone, inclusi politici, imprenditori, magistrati e vip. A partire dalle 9.30 al Palazzo di Giustizia di Milano il gip Fabrizio Filice ha interrogato i quattro componenti del gruppo finiti ai domiciliari e i due appartenenti alle forze di polizia sospesi dal servizio. Presente anche il pm titolare dell'inchiesta Francesco De Tommasi. Tutti si sono rifiutati di parlare avvalendosi della facoltà di non rispondere in quanto indagati. Il primo ad arrivare è stato Nunzio Samuele Calamucci, per tutti "Samu" o "l'ingegnere", 45 anni, ritenuto uno degli architravi dell'organizzazione. Sebbene ai giornalisti abbia detto di essere “pronto a chiarire” la sua posizione, al gip non ha proferito parola e l’interrogatorio è durato 10 minuti. Stessa cosa per il 61enne Carmine Gallo, ex poliziotto anch’egli ritenuto una delle menti della banda di spie. Nessuna risposta alle domande dei giudici, solo alcune dichiarazioni spontanee. Entrambi si sono rifatti al loro legale, che è la stessa, l’avvocata Antonella Augimeri. Entrambi dicono però che chiariranno tutto e ai giornalisti che hanno provato a carpire qualche dichiarazione Gallo ha risposto così: “Sono un servitore dello stato, dimostrerò la mia innocenza”. L'avvocata Augimeri che lo difende ha chiarito che Gallo parlerà coi pm "solo quando avremo piena conoscenza di tutti gli dell'indagine". Il legale ha confermato che Gallo nelle dichiarazioni ha spiegato di essere un "servitore dello Stato" per oltre 40 anni e che da lui non c'è mai stata "alcuna infedeltà". "Dimostrerà la sua estraneità ai fatti con un interrogatorio con i pm e collaborerà con i magistrati", ha aggiunto la legale. Interrogati anche l'investigatore privato Massimiliano Camponovo 52 anni. Poi è stato il turno di Giulio Cornelli, 38 anni, detto "John Bologna", professione perito, pedina importante della rete di hacker. Ancora, centrali nell'inchiesta, secondo i pm, sono Giuliano Schiano, 50 anni, finanziere che faceva gli accessi abusivi alle banche dati, nominato nelle carte come "Londra", "Boss", "Ombra", "l'amico". E il poliziotto Marco Malerba. Come detto, praticamente tutti si sono avvalsi della facoltà di non rispondere rilasciando però dichiarazioni spontanee. Da segnalare le dichiarazioni spontanee di Camponovo che ha affermato di temere “per l’incolumità mia e della mia famiglia, mi passavano i dati e io facevo i report, eseguivo”. “Sono preoccupato - ha aggiunto - avevo percepito che dietro a questo sistema c’era qualcosa di oscuro”.
Il pm: "A rischio interessi vitali di istituzioni e collettività"
Intanto, si legge dalle carte degli inquirenti, che “le azioni commesse dal gruppo di via Pattari 6 mettono in pericolo interessi vitali delle istituzioni e della collettività”. Per giustificare la necessità di fermare la presunta centrale di spionaggio con sede dietro al Duomo, aggiunge il pm De Tommasi: “Significative sono le operazioni poste in essere per schermare le attività delittuose e allargare gli ambiti in cui condurre i traffici illegali di dati riservati, con il rischio che gli stessi possano finire senza autorizzazione "nelle mani" di agenzie straniere - agli atti l'incontro con due presunti 007 israeliani, ndr. - e che all'estero possa essere creata e detenuta una banca dati destinata a conservare le informazioni di volta in volta esfiltrate abusivamente”. Tant'è che è stata creata una società "clone", la “Equalize Ltd a Londra” proprio dove, per la procura, attraverso un gruppo di “ragazzi” coordinati da “Monica”, “il sodalizio avrebbe gestito gli accessi diretti al Ced Interforze e quindi alla banca dati Sdi”. Non solo. Stando all'informativa dei carabinieri si apprende che la banda avrebbe avuto anche una talpa che girava “informazioni” drenate dal Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture della polizia postale. “Ti faccio un esempio - diceva Calamucci - qua c'è il server del Ced… I miei ragazzi sono quelli che hanno fatto l'infrastruttura e fanno la manutenzione! È quello il trucco! La piattaforma attinge facendo il giro... perché il server ce l'abbiamo a Londra?... Perché se lo fai Italia su Italia, ci mettono le manette…”. Grazie a tecnologie di altissimo livello, nella Equalize di Enrico Pazzali attualmente indagato, sarebbero riusciti a installare trojan sui cellulari delle vittime, a intercettare conversazioni, a schedare manager, imprenditori e politici. E tra gli strumenti a disposizione spunta anche “l’Usb Killer” pronta all'uso in caso di indagini e perquisizioni, capace di generare “sovraccarichi ad alta tensione danneggiandone irrimediabilmente i componenti e rendendo impossibile il recupero dei dati”.
Sempre grazie all'informativa, è possibile chiarire che non c'è stata alcuna "clonazione”, come si affermava, della mail del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, come si legge nella richiesta di misura. I nuovi atti permettono di spiegare che in realtà si sarebbe semplicemente trattato di un'operazione del gruppo per far dimettere l'ad di una società, la Linea Verde. Operazione che sarebbe passata anche dall'invio a “vari indirizzi”, da un “account di posta interno all'azienda", di una serie di mail, che apparivano inviate da un “dipendente anonimo” che voleva denunciare delle “irregolarità” all'organismo di vigilanza. Mail inviate, tra gli altri, anche all'indirizzo del Quirinale.
Foto © Imagoeconomica
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