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Un lungo processo giudiziario culmina nella condanna dei carabinieri coinvolti, ma la vicenda continua a suscitare dibattiti

Il 22 ottobre 2009, a soli 31 anni, muore in circostanze drammatiche e controverse Stefano Cucchi, arrestato pochi giorni prima a Roma per possesso di droga. Cucchi aveva con sé diversi grammi di hashish e qualche grammo di cocaina. Al momento dell’arresto, la sua salute appariva normale, ma nelle ore successive al fermo iniziarono a emergere segni di maltrattamenti. Appena 14 ore dopo l'arresto, il medico che lo visitò presso l'ambulatorio del Palazzo di Giustizia di Roma riscontrò diverse lesioni ed ecchimosi intorno agli occhi. In seguito a un’altra visita presso il carcere di Regina Coeli, le sue condizioni furono ulteriormente confermate. Nel tardo pomeriggio dello stesso giorno, fu portato al pronto soccorso dell'ospedale Fatebenefratelli, dove gli vennero diagnosticate fratture alla colonna vertebrale. I medici stabilirono una prognosi di 25 giorni, segno della gravità delle sue condizioni fisiche. Nonostante ciò, Cucchi non ricevette mai cure mediche adeguate.
Le circostanze della sua morte sollevarono numerose proteste e critiche contro le forze dell’ordine coinvolte nel caso, attirando anche un'importante attenzione mediatica, alimentata dalle versioni discordanti delle perizie medico-legali svolte durante le numerose inchieste chiamate a far luce sulle cause del decesso del giovane romano. Una prima perizia della commissione parlamentare d’inchiesta, redatta il 17 marzo 2010, attribuiva la morte a una “sindrome metabolica iperosmolare di natura prerenale”, causata da una grave condizione di disidratazione. Altre valutazioni, condotte in sede giudiziaria dalla Corte d’Assise, indicavano una “sindrome da inazione”, ovvero denutrizione e trascuratezza nei trattamenti. Successivamente, la Procura, riesaminando il caso, avanzò l'ipotesi di una crisi epilettica come possibile causa del decesso. Tuttavia, nel 2015, si verificò una svolta decisiva: il carabiniere Riccardo Casamassima decise di rilasciare una testimonianza spontanea che permise la riapertura delle indagini, smentendo le precedenti ipotesi legate a fame, disidratazione o epilessia. Gli inquirenti conclusero che la causa effettiva della morte di Cucchi fosse di tutt'altra natura: le violenze fisiche subite durante la custodia. Il caso si protrasse per molti anni, coinvolgendo diversi imputati, tra cui medici, infermieri e membri delle forze dell’ordine. La verità giudiziaria arriva nel 2022, quando la Corte di Cassazione condanna in via definitiva i carabinieri coinvolti nel processo, sia per la morte di Cucchi sia per i successivi depistaggi. La sentenza riconosce, infatti, che Stefano Cucchi è morto a causa delle percosse subite, confermando quanto già emerso dalle foto del cadavere e dalle fratture rilevate nelle perizie mediche. Il caso Cucchi ha lasciato un segno profondo nella società italiana, sollevando interrogativi sulla violenza e sull'abuso di potere da parte delle forze dell'ordine, nonché sulle carenze del sistema giudiziario e carcerario. La drammatica vicenda del giovane geometra ha portato alla luce importanti problemi strutturali del sistema giudiziario, riuscendo comunque a sensibilizzare l’opinione pubblica contro gli abusi delle autorità.

Foto © Imagoeconomica

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