Nel mirino il clan Li Bergolis secondo gli inquirenti era un mix di mafia affaristica e militare che interloquiva con i cartelli albanesi e la ‘Ndrangheta
La Polizia i Carabinieri e la Guardia di Finanza hanno eseguito, a Foggia e altre località del territorio nazionale, plurimi provvedimenti giudiziari per i reati di associazione mafiosa, traffico di droga e estorsioni. L'operazione scaturisce da una vastissima e articolata manovra investigativa, diretta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, con il coordinamento della Direzione Nazionale Antimafia (quindi il procuratore nazionale Giovanni Melillo). L’operazione “Mari e monti” ha visto per la prima volta il concomitante coinvolgimento della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, dei Servizi Centrali e Interprovinciali di Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza e dei loro ulteriori organismi periferici. Il procedimento penale, da cui scaturisce l'operazione ''Mari e Monti'', nome che richiama la conformazione geografica del territorio e la ramificazione del clan tra i centri montagnosi del promontorio e le aree costiere, hanno spiegato gli inquirenti, “rappresenta la più complessa, strutturata e, allo stesso tempo, innovativa indagine effettuata nel distretto barese sulla criminalità organizzata di tipo mafioso operante nella provincia di Foggia, hanno detto gli investigatori durante la rassegna stampa. Trentanove gli arresti (quasi tutti in carcere) e ingenti sequestri patrimoniali. Diversi i capi di imputazione contestati ma tra i principali ci sono l'associazione mafiosa il traffico di droga e le estorsioni. A dirigere le indagini la Dda di Bari, con il coordinamento della Direzione nazionale antimafia. "La complessità strutturale - spiega la dda del capoluogo pugliese - è direttamente ricollegata all'ambizioso obiettivo della progettualità investigativa: verificare la perdurante operatività criminale dell'associazione mafiosa garganica denominata clan Li Bergolis, avente epicentro particolare a Monte Sant'Angelo, da epoca successiva al suo definitivo riconoscimento giudiziario, risalente al 2009, fino all'attualità, colmando, in tal modo, una lacuna ricostruttiva estesa per un arco temporale di 15 anni. Sono stati acquisiti e messi a sistema gli esiti investigativi e giudiziari di una molteplicità di procedimenti penali, con l'utilizzazione di una copiosa e variegata serie di elementi, arricchitasi, negli ultimi tempi dei preziosi contributi di importanti collaboratori di giustizia. Molteplici i profili di novità - continua la Procura - sia sul piano della composizione del gruppo di lavoro preposto all'acquisizione, all'analisi e allo sviluppo delle risultanze investigative sia in relazione alla metodologia di contrasto adottata, caratterizzata dal concomitante impiego dei plurimi e diversificati strumenti dell'attività di contrasto alle organizzazioni mafiose, sia in chiave repressiva che preventiva".
Il controllo di Vieste e del foggiano
Gli inquirenti hanno scoperto la dimensione del controllo di Vieste, nel foggiano, da parte del clan Bergolisi. Un controllo conseguito al termine di una ulteriore sanguinosa estensione in quell'area del conflitto armato con il clan rivale dei Romito-Ricucci-Lombardi, che ha consentito al clan Li Bergolis di occupare uno spazio significativo nella rete del narco-traffico internazionale, ponendosi quale interlocutore affidabile "dei cartelli criminali albanesi e di importanti cosche della 'ndrangheta reggina". Gli ingenti capitali derivanti dal narcotraffico internazionale - affermano gli investigatori - hanno favorito il percorso di infiltrazione nel tessuto economico imprenditoriale, messo anche in evidenza dalle numerose interdittive antimafia disposte dal Prefetto di Foggia, con riferimento ad imprese ritenute, in qualche modo, riconducibili o comunque collegate al clan Li Bergolis. La penetrante capacità di condizionamento mafioso del clan li Bergolis ha riverberato i suoi effetti anche sull'apparato politico- amministrativo locale, generando, nell'ultimo decennio, lo scioglimento per mafia dei Comuni di Monte S. Angelo, Mattinata e Manfredonia. Lo stato di belligeranza permanente tra le due organizzazioni mafiose ''Li Bergolis da un lato e i Romito-Ricucci-Lombardi dall'altro'', a partire dal 2009 ha originato 21 omicidi e 18 tentati omicidi, tanto che è permanente il rischio di pianificazione e consumazione di ulteriori fatti di sangue. Infatti il giudice nel provvedimento cautelare definisce lo scenario associativo investigato come ''la più allarmante criminalità organizzata del territorio pugliese''. L’inchiesta ''Mari e Monti'' avrebbe dovuto ricomprendere ulteriori 7 posizioni di esponenti della consorteria tutti deceduti per morte violenta a causa di lesioni da colpi d'arma da fuoco.
Il gip del tribunale ha ritenuto di rigettare la misura nei confronti di ulteriori 7 indagati, dei quali 2 per mancanza di gravità indiziaria e 5 per mancanza di attualità di esigenze cautelari (sebbene ne riconosca la gravità indiziaria). Importanti si sono rivelati ai fini dei risultati delle indagini i 33 interrogatori resi da 18 differenti collaboratori di giustizia, per un totale di 3580 pagine. Tra gli altri numeri dell'indagine le 75 intercettazioni di differenti utenze telefoniche; i 53 ambienti oggetto di intercettazione tra presenti; i 16 apparati telefonici oggetto di intercettazione telematica con captatore informatico; i 22 siti sottoposti a videosorveglianza; le 16 intercettazioni di colloqui carcerari (con 43 colloqui utilizzati); le 160 pronunce giudiziarie acquisite e versate in atti; i 26 procedimenti penali collegati, analizzati; i 3 provvedimenti di scioglimento comunale (Monte S. Angelo, Mattinata e Manfredonia), le 14 interdittive antimafia esaminate; i sequestri, nel tempo, di 11 fucili, 9 pistole, 3 ordigni esplosivi, 10 chilogrammi di materiale esplosivo, 636 munizioni. i sequestri, nel tempo, di 1674 chilogrammi di marijuana; 1,3 chilogrammo di cocaina; 1 di eroina; 3 di hashish.
Il clan un mix tra mafia militare e mafia affaristica
Dalle indagini è emersa una coesistenza e un mix di elementi legati alla tradizione e di profili significativi di modernità del clan Li Bergolis. Secondo quanto accertato l'organizzazione criminale era in grado di associare gli schemi della cosiddetta 'mafia militare' alle peculiarità della cosiddetta 'mafia degli affari'. In perfetta continuità con la sua genesi, il clan mafioso Li Bergolis, operativo da molti anni nel Gargano, si caratterizza per la sua forte connotazione familistica e per un radicamento territoriale pervasivo. Elementi che, nel tempo, hanno assicurato il mantenimento dell'omertà, la saldezza del vincolo associativo e la capacità generalizzata di condizionamento ambientale. Aspetto quest'ultimo, particolarmente evidente, in forma talvolta eclatante, nel favoreggiamento delle latitanze e nell'esercizio della pratica delle estorsioni, "imposta come riconoscimento di una tassa di sovranità e quasi sempre caratterizzata da una minaccia tacita, realizzata mediante un comportamento concludente, con assenza di denuncia da parte degli imprenditori taglieggiati", sottolinea la Dda di Bari. Ulteriore significativo elemento di novità dell'inchiesta è dato dal fatto che l'azione di contrasto si sia caratterizzata per la concomitante esecuzione di misure cautelari personali e reali disposte dal gip del Tribunale di Bari, di sequestri di prevenzione patrimoniale, adottati in via di urgenza dalla sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Bari (su proposta formulata congiuntamente dal Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo e dal Procuratore della Repubblica di Bari) e di provvedimenti ministeriali applicativi del regime detentivo speciale di cui all'articolo 41 bis per alcuni indagati.
Gli ordini impartiti da dietro le sbarre con i pizzini
Altro aspetto evidenziato è la capacità con cui i Li Bergolis sono cresciuti e si sono sviluppati nonostante la detenzione in carcere di molti dei suoi membri più autorevoli. Il regime carcerario di 'alta sicurezza', a cui gli esponenti apicali dell'organizzazione sono stati fino ad ora sottoposti, si è rivelato non idoneo - stando alla procura - ad impedire il mantenimento dei collegamenti con il clan mafioso di appartenenza e con i più vasti circuiti delle organizzazioni mafiose operanti nella provincia di Foggia. L'indagine sfociata nel blitz “Mari e Monti” ha messo in evidenza "la capacità di sviluppare, mediante pizzini veicolati dai familiari, l'uso della corrispondenza epistolare e l'abusivo utilizzo di apparati cellulari, uno stabile canale di collegamento endo-associativo anche in ambito carcerario, finalizzato alla gestione della cassa comune, all'assistenza economica degli associati detenuti, all'attuazione degli scopi associativi e alla promozione e sviluppo del traffico di droga". Il clan Li Bergolis, ritenuto particolarmente violento, sarebbe ancora vitale e operativo e ciò è stato drammaticamente messo in evidenza dall'inarrestabile percorso espansivo compiuto negli ultimi anni, chiaramente orientato a proiettare la propria egemonia, originariamente radicata nell'entroterra, sulle coste garganiche compiendo, in tal modo, un decisivo salto di qualità nel processo di modernizzazione. Sul piano degli assetti organizzativi, si sarebbe caratterizzato per la coesistenza di una pluralità di cellule, dislocate in varie località del promontorio, dotate di autonomia operativa ma gerarchicamente riconducibili, sul piano associativo, ad un'unica linea di comando di tipo verticale. Elemento centrale che caratterizza i profili metodologici e le strategie operative del sodalizio mafioso garganico è rappresentato dalla feroce contrapposizione armata con il clan Romito-Lombardi-Ricucci, che ha generato, nel corso di oltre un decennio, una inarrestabile scia di sangue, culminata nel quadruplice omicidio di Apricena del 9 agosto 2017 (nota come ''strage di S. Marco in Lamis''), nell'ambito del quale furono barbaramente uccisi anche due agricoltori, i fratelli Luigi e Aurelio Luciani, assolutamente estranei alle dinamiche mafiose ma testimoni scomodi dell'omicidio del boss di Manfredonia Mario Luciano Romito.