Il 'consorzio' unitario mafioso a Milano esiste: non si tratta di 'supermafia' ma è sicuramente configurabile come associazione di stampo mafioso.
L’esito è stato comunicato in una nota dal presidente del tribunale di Milano Fabio Roia.
I giudici del Riesame di Milano, chiamati a decidere sul ricorso di 79 dei protagonisti dell'inchiesta milanese ribattezzata Hydra, hanno dato ragione alla procura sostenendo - diversamente dall'impostazione del gip Tommaso Perna - l'esistenza in Lombardia di un presunto "patto" tra le tre principali organizzazioni criminali del Paese - mafia, 'Ndrangheta e camorra - Esattamente un anno fa il gip aveva respinto 140 richieste di arresti per i 153 indagati e aveva disposto il carcere solo per 11 persone accusate di diversi reati, ma non accusati di associazione mafiosa.
Per i giudici milanesi si tratta di associazione di stampo mafiosa quella individuata dalla Dda di Milano con reati che coprono la detenzione illegale di armi, estorsioni, traffico di droga, reati fiscali, intestazioni fittizie e riciclaggio.
Tutto questo rientra in un quadro in cui è "ampiamente dimostrato che il sodalizio contestato abbia fatto effettivo, concreto, attuale e percepibile uso - anche con metodi violenti o minacciosi - della forza di intimidazione nella commissione di delitti come nella acquisizione del controllo e gestione di attività economiche, che sono propriamente gli ambiti di attività che, secondo il parametro normativo, tipizzano la natura mafiosa del gruppo".
Per il riesame si "può ritenere che singoli soggetti anche appartenenti alle mafie storiche" abbiano costituito una nuova "associazione di stampo mafioso" che i giudici tuttavia escludono si possa definire in diritto come una "supermafia", avendo gli appartenenti "trasferito" nella nuova organizzazione tutti i "tratti genetici" delle "associazioni di appartenenza". Nelle carte sono stati documentati 21 summit tenuti nel 2020-21 fra gruppi ristretti di appartenenti nei Comuni di Dairago e Assago, nel Milanese, e 54 diverse società-imprese in comune (ristorazione, noleggio, logistica, edilizia, parcheggi aeroportuali, importazione di materiale ferrosi, sanità e piattaforme e-commerce), queste ultime sufficienti a disporre il sequestro di 225.205.697,62 milioni di euro per false fatture. Tra i nomi più noti citati dall'Antimafia quelli di esponenti di vertice delle locali 'ndranghetiste di Lonate Pozzolo (famiglia Rispoli collegata alla locale crotonese di Cirò) e Desio (cosca Iamonte legata alla locale di Melito Porto Salvo in Calabria), il clan Fidanzati e i Mannino nel palermitano per cosa nostra, i trapanesi vicini a Matteo Messina Denaro, il gruppo Senese per la Camorra.
Secondo l’impianto della Procura, accolto in pieno dal Riesame, “l’operatività del sistema mafioso lombardo veniva decisa congiuntamente dalle tre componenti mafiose nel corso di diversi summit”. Non solo. Il Consorzio mafioso “avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e omertà che ne deriva nel territorio delle città di Milano, Varese e zone limitrofe, aveva lo scopo di commettere diversi gravi delitti”. Inoltre il consorzio “imponeva il versamento di somme di denaro nella cassa comune, destinate al sostentamento dei detenuti di ciascuna componente e pretese quale corrispettivo per l’assegnazione e/o agevolazione nella assegnazione di affari leciti o illeciti, in virtù della forza di intimidazione dell’intera associazione”.
In 1121 pagine del ricorso al Riesame il pm Alessandra Cerreti aveva tenuto a precisare, rispetto a quanto scritto dal giudice nell'ordinanza, di non aver "mai sostenuto trattarsi di una super associazione mafiosa (...) composta dalle 3 mafie italiane". Il capo di imputazione sul punto appare, aveva scritto la Dda, "estremamente chiaro: trattasi di mere 'componenti' delle tre tradizionali associazioni mafiose, operative sul territorio milanese" e non altrove "che si alleano strutturalmente tra loro per aumentare le possibilità di profitto" ed "evitare i conflitti". Per la Dda il "sodalizio" ha tenuto insieme più clan delle tre mafie: si va dalla cosca Iamonte alla famiglia Romeo di San Luca, al "gruppo Senese" con addentellati a Napoli e nella Capitale, fino agli emissari di Gaetano Fidanzati, dei Rinzivillo e dei "trapanesi" collegati al mandamento di Castelvetrano, un tempo guidato da Matteo Messina Denaro. Tra questi ultimi figura anche Paolo Aurelio Errante Parrino, che, secondo gli inquirenti, sarebbe stato il "punto di raccordo" tra il presunto "sistema mafioso" in Lombardia e il capo dei capi Messina Denaro, morto più di un anno fa.
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- Luca Grossi