Luisa Impastato: contrasto alle organizzazioni criminali passa dal livello istituzionale, politico e culturale
La quarta edizione del premio "Cittadino Semplice", organizzato dall’associazione “Città invisibili”, svoltosi sabato presso il Palazzo D’Amico di Milazzo ha radunato cittadini, rappresentanti istituzionali e forze dell'ordine per una serata all'insegna del ricordo e della riflessione. L'evento ha voluto celebrare l’inizio dell’anno culturale rendendo omaggio a tutte le vittime di mafie e a chi giorno dopo giorno si impegna costantemente per combatterla.
Durante la cerimonia, il presidente dell’associazione Santo Laganà ha rivolto i suoi saluti e ringraziamenti all'amministrazione comunale, rappresentata dall’assessore alla cultura Lydia Russo, e alle forze dell'ordine: il Comandante della Compagnia di Milazzo, il Capitano Alberto Dalpasso e il Tenente Nicla Martellotta, il Comandante della Compagnia della Guardia di Finanza di Milazzo, Roberto Catalano e il Vicebrigadiere Battista Cicco, il Comandante della Guardia Costiera di Milazzo, Capitano di Fregata Alessandro Sarro.
Intervenuto anche il vicepresidente dell'associazione Alessio Pracanica che ha ringraziato i presenti, con un’attenzione speciale per coloro che incarnano i valori di cittadinanza e impegno sociale. Il premio, ha aggiunto, quest'anno è stato assegnato simbolicamente alla nipote di Peppino Impastato, Luisa, presente in sala assieme a Pasquale Campagna, fratello di Graziella Campagna, la ragazza uccisa a Villafranca Tirrena il 12 dicembre 1985. E poi Donatella Aloisi, anche lei presente, figlia di Ignazio Aloisi, la guardia giurata uccisa il 27 gennaio 1991 a Messina. Pasquale Castorina, membro del clan Costa, fu condannato a otto anni di carcere. Durante il processo d’appello, emersero false accuse che dipingevano Aloisi come complice della rapina. La famiglia di Aloisi ha lottato per decenni per il riconoscimento di vittima di mafia, ma il processo è stato ostacolato da continui rinvii e rimpalli di competenza tra le autorità. Dopo 34 anni, la causa è ancora pendente presso il Tribunale Civile di Messina. "Speriamo che questa riserva si sciolga al più presto, dato che il 27 gennaio del prossimo anno saranno trascorsi ben 34 anni. Questa è la storia di mio padre che ho avuto il piacere di conoscere" ha detto Donatella. Poi è stata la volta di Luisa Impastato, presidente di 'Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato': "Questo premio impone un'enorme responsabilità, e per questo vi ringrazio; veramente mi sento onorata". "Responsabilità nei confronti della storia di Peppino, della storia di mia nonna e di questi 46 anni, quasi 47, successivi al suo assassinio, che ci hanno portato dove siamo. Effettivamente, la storia di Peppino è una storia che da sempre, secondo me, ha guardato al futuro, e ne è testimonianza il fatto che sono passati appunto quasi quarantasette anni".
"Noi - ha detto - siamo convinti che combattere la mafia oggi significhi provare a contrastarla su più livelli: il livello istituzionale, il livello politico, ma anche un livello culturale. Noi lo facciamo attraverso la storia di Peppino, che diventa il nostro strumento di lotta, quello che, in qualche modo, portiamo avanti e cerchiamo di trasmettere alle nuove generazioni". Anche le vicende oltre lo stretto hanno trovato il loro spazio durante la serata.
Enzo Infantino, ospite per la terza volta e noto per il suo impegno nei diritti umani, vive a Palmi, in provincia di Reggio Calabria, e da oltre 20 anni svolge missioni umanitarie nei Balcani, Libano, Siria, Gaza e Giordania, concentrandosi sul sostegno ai rifugiati siriani in Grecia. È stato bersaglio della 'Ndrangheta, che gli ha incendiato l'auto a causa del suo attivismo. Durante il suo intervento ha ricordato il legame tra i diritti umani e la necessità di liberarsi dall'illegalità e dai condizionamenti mafiosi, sottolineando come sia essenziale fare una scelta consapevole e impegnarsi per la memoria e la giustizia sociale.
"Nella Piana di Gioia Tauro la ‘Ndrangheta controlla in larga parte anche la filiera agroalimentare - ha detto - Devo dire che, per fortuna, grazie alla memoria e alle battaglie culturali, qualcosa sta cambiando in quella realtà. Sta cambiando perché c’è lo sfruttamento delle persone, dei braccianti che arrivano nel nostro Paese per cercare una nuova speranza di vita e poi sono costretti a vivere in baraccopoli, come quella di San Ferdinando, o nelle campagne della Piana di Gioia Tauro. In questo periodo, circa 1.100 persone si stanno riversando nella Piana di Gioia Tauro per la raccolta agrumicola, ma per fortuna da qualche anno a questa parte ci sono attività sindacali importanti, persone che si stanno impegnando per dare dignità abitativa a queste persone che vivono ancora nelle baraccopoli". "Questo è l’impegno che proviamo quotidianamente a portare avanti".
Le armi dell'antimafia
Durante la serata è intervenuta anche la docente di diritto penale presso l'università di Messina Maria Teresa Collica, già sindaco di Barcellona Pozzo di Gotto e presidente della Fondazione Lucifero.
La docente ha parlato dell'articolo 416 bis del codice penale, introdotto nel 1982 dopo l'omicidio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa e dell'onorevole Pio La Torre.
Questa legge, nota come legge Rognoni-La Torre, non solo ha introdotto sanzioni penali per il reato di associazione mafiosa, ma ha anche incluso misure di prevenzione patrimoniale, rivelatesi essenziali nel contrasto alle organizzazioni mafiose, oggi orientate principalmente ad accumulare ricchezza e a manipolare il mercato. Inizialmente rivolta alle mafie tradizionali, la norma si è evoluta nel tempo per includere diverse forme di criminalità organizzata, come la Camorra, la ‘Ndrangheta e la Sacra Corona Unita, applicandosi a tutte le mafie, italiane e straniere, indipendentemente dalla loro denominazione locale. Negli ultimi anni, l’articolo è stato esteso anche per colpire le mafie delocalizzate, che si espandono oltre i confini nazionali, creando nuove cellule e mantenendo legami con le organizzazioni originarie.
Con questo strumento si possono sequestrare i capitali illeciti che vengono poi rinvestisti nell'economia legale o usati per attività di corruzione.
"Oggi, la mafia raramente fa ricorso alla violenza diretta, preferendo il metodo corruttivo e gli accordi per infiltrarsi nella società. Solo in caso di fallimento di questi metodi si ritorna alla violenza, concepita come una 'riserva' utilizzata soltanto quando necessario" ha detto Collica ricordando che oggi la mafia vive una sorta di "dimensione variabile" perché a "volte c'è il mafioso che ha bisogno di imprenditori, avvocati, commercialisti, politici, ma altre volte è esattamente il contrario, perché non è così? Al mafioso servono gli altri. E agli altri servono i mafiosi per fare i loro affari, ed è questo che ormai guida le azioni di tanti, ed è pericoloso perché questo è un modo per influenzare facilmente la collettività, per influenzare il pensiero, per influenzare il voto, soprattutto durante le campagne elettorali amministrative".
Una cosa è certa: "Non basta e non serve solo il diritto penale. Sarebbe impensabile pensare di sconfiggere un fenomeno come questo solo con la misura repressiva". Ma "negli ultimi anni abbiamo corso questo serio pericolo. Penso al 41 bis, penso ai sistemi per aprire ai mezzi premio: è chiaro che ci sono garanzie da rispettare, ma bisogna anche garantire l'efficacia di questi strumenti, altrimenti non hanno proprio senso di esistere. Allora bisogna fare tanto, bisogna sempre operare in via transnazionale, cercando di uniformare la reazione che tutti i vari Paesi devono avere verso questo fenomeno, non solo i Paesi europei ma anche oltre l'Europa. Dobbiamo spingere molto di più sulla cooperazione internazionale, su metodi investigativi comuni ed efficaci, sul riconoscimento dello status transnazionale dei collaboratori di giustizia, dei testimoni di giustizia, degli informatori che sono essenziali per combattere la mafia. È fondamentale agire contro il riciclaggio, focalizzandosi sulle azioni di riciclaggio, sulle indagini e i processi di riciclaggio. Ben vengano le indagini su questo fronte, perché è veramente l'arma più pericolosa, quella che nasconde l'origine delle attività illecite".
Su questa scia è intervenuto anche il fratello di Peppino Impastato, Giovanni: nella lotta alla mafia "noi non dobbiamo lavorare sull'onda dell'emergenza, noi dobbiamo lavorare sull'onda della prevenzione con delle riforme vere, autentiche, chiare, per mettere in condizione gli operatori giudiziari di lavorare nel vero senso del termine, per mettere in condizione anche le forze dell'ordine di poter lavorare". "Si è parlato dei pentiti, collaboratori di giustizia. Anche il processo su Peppino è stato realizzato grazie ad alcuni collaboratori di giustizia che ci hanno dato la possibilità, anche se su Peppino molte cose erano chiare, su questo non ci sono dubbi. Però abbiamo avuto questa grande conferma e abbiamo ottenuto i processi con le condanne. Cioè, noi siamo stati più fortunati, noi in quell'elenco siamo quelli che abbiamo avuto giustizia, che nessuno ci ha regalato; l'abbiamo ottenuta perché ci abbiamo creduto. E quando mia madre rifiuta la logica della vendetta personale, quando i mafiosi, subito dopo l'uccisione di Peppino, prima l'uccisione di mio padre e poi subito dopo l'uccisione di Peppino, si presentano perché dovevano organizzare una vendetta. Pensate un po', a loro non gliene fregava nulla di Peppino, però siccome la famiglia Impastato era inserita all'interno di questa organizzazione criminale denominata Cosa Nostra, avevano perso molta credibilità e dovevano recuperare con una vendetta. Però, in base al codice mafioso, perché loro il codice lo rispettano, l'ultima parola aspettava a mia madre. Mia madre ha avuto il coraggio di dire di no". Nessuna vendetta ma solo giustizia.
Foto © ACFB
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