Da quali colonne delle Br provenivano i terroristi che operarono in via Fani, il 16 marzo 1978? Perché lo statista di Maglie non fu liberato? Dove finì il memoriale che scrisse durante la prigionia? Ad avventurarsi nelle risposte è The masquerade reloaded. Il libro, uscito per i tipi di Frascati & Serradifalco il 12 settembre, è stato scritto da Maurizio Fiorentini, responsabile del Collettivo Volsci di Autonomia operaia romana, e dall’autore di queste righe, scrittore d’inchiesta.
L’analisi si dipana lungo un arco temporale che dalla maturazione del terrorismo rosso sfocia nel delitto Moro, il cui senso politico è collocato nel quadro di Yalta. Gli equilibri internazionali sanciti nel 1945 si intersecano con le vicende del terrorismo italiano di estrema sinistra. Il «partito della fermezza» nato durante i cinquantacinque giorni - un unicum senza precedenti né continuatori - preservò il bipolarismo geopolitico di Yalta, come scrisse nel 2018 l’ex ministro delle Finanze socialista Rino Formica in una lettera inviata al deputato Gero Grassi, parlamentare e membro della Commissione Moro.
Bettino Craxi occupa il prologo del libro. Pochi anni prima che morisse in Tunisia, la Commissione Stragi voleva interrogarlo sul caso Moro, ma la visita fu impedita da strani blocchi procedurali. Nell’autunno 1993, prima di fuggire ad Hammamet, il leader del Psi aveva inviato due missive agli allora presidenti di Camera e Senato, Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini, in cui denunciava il filo rosso che legò il Kgb, una corrente del Pci e i terroristi.
Il motivo profondo dei suoi riferimenti, seppur non nominato, era Giangiacomo Feltrinelli, l’editore rivoluzionario da cui trassero linfa vitale Potere Operaio, Hyperion e il Soccorso rosso internazionale, la struttura di sostengo ai terroristi che - poco dopo il delitto Moro - esfiltrò Livio Baistrocchi, Lorenzo Carpi e Gaetano Scarfò, tre brigatisti genovesi da allora irreperibili. In via Fani furono probabilmente coinvolti: il primo era un killer implacabile, il secondo un ottimo autista. Il libro prova la presenza, a Roma, della colonna genovese durante “l’operazione Fritz”. Fulvia Miglietta era lì e in una riunione romana del sodalizio seppe che Moro fu tenuto prigioniero nei pressi di via Caetani, dove sarà rinvenuto il cadavere. A Genova le Br nascondevano parte del memoriale Moro, trovato dai carabinieri nel covo Br di via Fracchia, il 28 marzo 1980.
L’inedito svelato dagli autori si trova in un verbale della Questura di Roma, steso dopo la perquisizione del covo di via Gradoli, attuata il 18 aprile 1978. Il giorno prima del rientro di Napolitano dal misterioso viaggio negli Usa, gli agenti trovano un distintivo militare Nato, incredibilmente ignorato da cinque processi Moro, da due Commissioni parlamentari, dai servizi segreti, dall’Interpol e dalle Commissioni Pellegrino, P2 e Mitrokhin. Così, sotto i riflettori finiscono due americani di peso: Alexander Haig, “Supreme allied commander Europe” tra il 1974 e il 1979, e Michael Ledeen, analista neo-conservatore in contatto con Haig. Per conto della Nato, Ledeen trascorse i cinquantacinque giorni al Ministero dell’Interno retto da Francesco Cossiga: perché? E come mai gli inquilini del covo di via Gradoli nulla hanno mai riferito sul distintivo Nato in loro possesso?