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Legambiente: “Decisione sconvolgente: ingiustizia è fatta”. Il vulnus risiede nel fatto che anche i giudici tarantini sono da considerare 'parti offese' del disastro

E’ tutto da rifare per il processo 'Ambiente Svenduto' legato al presunto disastro ambientale causato dall' Ilva durante la gestione della famiglia Riva nel periodo 1995-2012. La sezione distaccata di Taranto della Corte d'assise d'appello di Lecce - presidente Antonio Del Coco, a latere il giudice Ugo Bassi e la giuria popolare - ha annullato la sentenza che in primo grado (31 maggio 2021) aveva portato a 26 condanne, accogliendo così la richiesta dei difensori di spostare il procedimento a Potenza. Una richiesta analoga fu respinta in una precedente fase dell'inchiesta. Il vulnus sta nel fatto che i giudici tarantini siano a loro volta da considerare 'parti offese' del disastro ambientale, vivendo negli stessi quartieri in cui risiedono numerose parti civili che in primo grado hanno ottenuto peraltro il risarcimento, e non abbiano la "giusta serenità" per decidere. La Corte ha dunque dichiarato la competenza funzionale del tribunale di Potenza, disponendo la trasmissione degli atti alla procura lucana per i successivi adempimenti. L'ex Ilva, ora Acciaierie d'Italia in amministrazione straordinaria, è ufficialmente in vendita dal 31 luglio scorso. Il termine per la consegna formale delle manifestazioni di interesse scade venerdì 20 settembre. Il processo Ambiente svenduto, originato dall'inchiesta che il 26 luglio 2012 portò al sequestro degli impianti dell'area a caldo, è a carico di 37 imputati, tra dirigenti della fabbrica, manager e politici, e tre società. A vario titolo, vengono contestati i reati di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro, avvelenamento di sostanze alimentari, corruzioni in atti giudiziari, omicidio colposo e altre imputazioni. Tra le principali condanne c’era quella rispettivamente a 22 anni e 20 anni di reclusione, per Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell'Ilva. Furono inflitti 21 anni e 6 mesi all'ex responsabile delle relazioni istituzionali Girolamo Archinà (deceduto nelle scorse settimane), 21 anni all'ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso, pene comprese tra i 18 anni e mezzo e i 17 anni e 6 mesi di carcere a cinque ex fiduciari aziendali. A tre anni e mezzo di reclusione (di 5 anni la richiesta dell'accusa) fu condannato l'ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola a cui viene contestata la concussione aggravata in concorso. Il processo ripartirà da Potenza con l'ombra della prescrizione per diversi reati. come ricordato dal sindaco di Taranto Rinaldo Melucci che esprime "preoccupazione e amarezza". La decisione della corte d’appello è “sconvolgente: ingiustizia è fatta”, ha commentato Stefano Ciafani, Daniela Salzedo e Lunetta Franco rispettivamente presidenti nazionale, regionale e tarantino di Legambiente. "Ovviamente leggeremo tra 15 giorni le motivazioni della sentenza - aggiungono - ma la sostanza è che si ricomincerà tutto da capo, che una buona parte dei reati è già prescritta, che altri reati andranno in prescrizione nel corso del nuovo processo e che chissà quando vedremo una sentenza definitiva. Ma la gravità di ciò che è avvenuto a Taranto non è messa in discussione dalla sentenza di oggi che riguarda solo aspetti procedurali. Legambiente si costituirà con i legali, Eligio Curci e Fulvio Saracino, come parte civile anche nel nuovo processo a Potenza, in nome del popolo inquinato di Taranto''.

Fonte: Ansa

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