Intercettazioni, collaboratori di giustizia e confische dei beni sono ormai strumenti sviliti nella loro potenzialità e, di fatto, indeboliti da quelle stesse istituzioni che dovrebbero invece promuoverli
A trentotto anni dal maxiprocesso di Palermo e a trentadue dalle stragi di Capaci e via d’Amelio, la lotta alle mafie sta pericolosamente regredendo. È in corso un vero e proprio attacco ai tre pilastri portanti della lotta alla criminalità organizzata: intercettazioni, collaboratori di giustizia e sistema delle confische ante delictum.
È sempre più evidente come questi importantissimi strumenti di lotta siano stati, e sono tuttora, sviliti nella loro potenzialità e, di fatto, indeboliti da quelle stesse istituzioni che dovrebbero invece promuoverli. Così facendo si mette a rischio il futuro della lotta al crimine organizzato. Le intercettazioni sono attualmente lo strumento principale d’indagine nella stragrande maggioranza dei delitti di mafia e di quelli a essi connessi (cd. reati spia). Limitare l’uso delle intercettazioni, invece di rafforzarle con mezzi sempre più raffinati, significa ridurre la possibilità di arrestare i mafiosi. In questo momento, con mafie transnazionali, occorrono sistemi ipertecnologici necessari per combattere queste multinazionali del crimine.
Un altro strumento ineludibile nel contrasto alle mafie moderne sono i collaboratori di giustizia. Sono loro, dai tempi di Giovanni Falcone, che ci hanno consentito di conoscere fatti criminosi all’interno e all’esterno dell’associazione mafiosa che mai avremmo potuto sapere. Oggi i collaboratori di giustizia sono abbandonati al loro destino. Chi decide di collaborare, pensando a quello che succede dopo la sua collaborazione, e cioè che spesso è abbandonato assieme ai propri familiari, ci pensa mille volte prima di collaborare. Oggi i collaboratori sono esposti al rischio concreto di ritorsioni. Alcuni di loro sono stati uccisi, altri, sono lasciati al loro destino senza una reale possibilità di rifarsi una vita o di consentirne una ai propri familiari. Il requisito sotto attacco è quello principale della collaborazione con la giustizia: la convenienza. Oggi si tende a mettere sullo stesso piano il mafioso irriducibile e il collaboratore di giustizia. Questo è un errore madornale.
Le nuove riforme dovrebbero creare le condizioni idonee per agevolare le collaborazioni qualitativamente importanti e non quelle che invece le allontanano. Sotto attacco è anche la legislazione sul sequestro e la confisca dei beni delle organizzazioni mafiose. Colpire il patrimonio accumulato illecitamente dalle organizzazioni criminali, è ciò che di più temono i mafiosi. La maggiore pericolosità delle nuove mafie rispetto a quelle del passato si fonda proprio sull’enorme potere economico finanziario derivante dalle lucrose attività illecite.
La pessima gestione pubblica dei beni confiscati non può diventare il grimaldello per scardinare la legislazione voluta da Pio La Torre. Se qualcosa va riformato è sicuramente la lunghezza del tempo che passa dalla confisca all'assegnazione del bene e l’impedire che gli immobili perdano valore o le imprese falliscano per la gestione degli amministratori giudiziari che agiscono più come curatori fallimentari che come manager. È giusto dare garanzie agli operatori economici estranei alle attività illecite, ma questo non può voler dire scardiniamo l’intero sistema e riscriviamolo.
Preciso, in conclusione, che questi sono i tre pilastri più importanti sotto attacco, ma vi sono altri istituti altrettanto rilevanti (41 bis, ergastolo ostativo, benefici penitenziari) che non se la passano certamente meglio.
Tratto da: huffingtonpost.it
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