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L’Agenzia delle Entrate confisca la “liquidazione” di chi collabora con lo Stato, in bilico una delle armi contro la mafia

Il sistema dei collaboratori di giustizia a rischio per poche decine di migliaia di euro.

L’Agenzia delle Entrate ha deciso infatti di pignorare le “liquidazioni” dei cosiddetti pentiti di mafia: queste liquidazioni non sono altro che somme di denaro che lo Stato corrisponde ai collaboratori di giustizia per permettere loro di potersi mantenere mentre collaborano con le autorità giudiziarie. Si tratta di un sostegno economico essenziale. Spesso i pentiti sono costretti a vivere sotto protezione e non possono lavorare come farebbe chiunque altro. Per questo motivo è previsto che ai collaboratori di giustizia venga somministrato un sostegno mensile durante il periodo in cui depongono nei processi come testimoni o imputati, un periodo che solitamente dura fino a cinque anni. Solo in casi rari, quando si tratta di soggetti che hanno un trascorso criminale particolarmente rilevante, la collaborazione può superare i cinque anni e durare più a lungo. Durante il periodo di collaborazione, il sostegno economico mensile è di circa mille euro. Al termine di questo periodo - come spiegato dalla rivista settimanale Panorama - hanno la possibilità di richiedere una “capitalizzazione”, ossia una somma di denaro erogata in un'unica soluzione. Questa somma è pensata per aiutarli a iniziare una nuova vita in una località sicura, lontano dai pericoli legati al loro passato criminale. Spesso, i pentiti scelgono di utilizzare questa somma per un “progetto di vita”, come l'acquisto di un negozio o di una casa. La maggior parte di loro opta per l'acquisto di un'abitazione, poiché, come ha spiegato una fonte del Servizio centrale di protezione in un'intervista con Panorama, “se hai un tetto sulla testa, hai già risolto gran parte dei tuoi problemi”.

Quando lo Stato prima dà, poi toglie

Recentemente l’Agenzia delle Entrate - che dipende dal Ministero dell'Economia e delle Finanze - ha deciso di confiscare i fondi destinati ai collaboratori di giustizia. Questa decisione sembra essere motivata dal fatto che molti di questi ex mafiosi hanno accumulato enormi debiti nei confronti dello Stato, dovuti a spese legali, ammende e costi per il loro mantenimento in carcere. Come ha spiegato un investigatore della DIA (Direzione Investigativa Antimafia), questi debiti possono raggiungere cifre considerevoli, spesso pari a milioni di euro. Per questo motivo, quando lo Stato deve versare denaro ai pentiti, come nel caso della “capitalizzazione”, questi fondi vengono immediatamente confiscati per coprire i debiti pregressi. “Si tratta di debiti che risucchiano, come un’idrovora, qualsiasi credito che il collaboratore vanti nei confronti dello Stato”, ha sottolineato l’investigatore della DIA. In questo modo, l’incentivo finanziario che rassicura chi intende collaborare con lo Stato è praticamente scomparso. Si tratta di una situazione paradossale, in cui lo Stato prima concede e poi toglie. Di conseguenza, sapendo che, anche collaborando con lo Stato, si rischia di rimanere senza risorse economiche e senza nemmeno una casa, molti potrebbero essere scoraggiati dal prendere una decisione che, nel corso degli anni, si è rivelata fondamentale nella lotta contro la mafia.

I pentiti: un’arma contro la mafia

I collaboratori di giustizia, comunemente chiamati “pentiti”, svolgono un ruolo fondamentale nella lotta contro la mafia. Decidendo di collaborare con lo Stato, forniscono informazioni preziose per combattere la criminalità organizzata. I collaboratori di giustizia hanno una conoscenza diretta, spesso dettagliata, delle strutture, delle dinamiche interne e dei membri delle organizzazioni criminali. Grazie a questa esperienza, possono offrire prove decisive nei processi contro la mafia e svelare i legami nascosti tra imprenditori, politici e funzionari pubblici con le organizzazioni mafiose, legami spesso mantenuti per interessi personali.

Inoltre, i collaboratori di giustizia possono aiutare lo Stato a smascherare le reti finanziarie e imprenditoriali della mafia, permettendo alle autorità di colpire il patrimonio economico delle organizzazioni criminali. Questo non solo limita la loro capacità di espansione e sopravvivenza, ma consente anche di riutilizzare i fondi confiscati per migliorare il sistema giudiziario. Questi fondi possono essere utilizzati per potenziare le risorse messe a disposizione di magistrati, investigatori e forze dell'ordine, risarcire le vittime innocenti della mafia e finanziare il programma di protezione per i collaboratori di giustizia e le loro famiglie. Questi ultimi, infatti, devono spesso affrontare un lungo e difficile periodo di transizione e integrazione in nuove vite, dove non mancano ostacoli e difficoltà, anche di natura finanziaria.

Anche il Procuratore capo di Prato, Luca Tescaroli, autore del libro “Pentiti. Storia, importanza e insidie del fenomeno dei collaboratori di giustizia, edito da Rubettino, ha messo in guardia sui rischi che potrebbero minare l'istituto dei collaboratori di giustizia. Ogni anno, infatti, il 25% dei membri esce dal programma di protezione a causa di riforme e modifiche che ne hanno indebolito l'efficacia. Per questo motivo, Tescaroli ha sottolineato più volte la necessità di mantenere il segreto sull'identità dei collaboratori, per evitare che il loro passato criminale possa essere conosciuto e utilizzato contro di loro, ad esempio per ostacolare il loro reinserimento sociale. Ha anche evidenziato che la sicurezza fisica dei collaboratori è una garanzia fondamentale per incoraggiare le collaborazioni, ricordando come molti familiari di collaboratori siano stati vittime di vendette mafiose. Inoltre, ha sottolineato più volte la necessità di potenziare l’assistenza fornita ai collaboratori di giustizia. Peccato che, ancora una volta, la direzione intrapresa sembri procedere nella direzione opposta.

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