Il magistrato si è insediato a Prato quale capo della procura. La grande sfida, ora, è la mafia cinese presente nella provincia
Nei giorni scorsi Luca Tescaroli ha lasciato ufficialmente la procura di Firenze dove ha lavorato per oltre cinque anni quale procuratore aggiunto nella Dda e si è insediato quale capo della procura di Prato dopo la nomina approvata dal Csm. Raccontando a La Repubblica la sua esperienza nel capoluogo toscano, il procuratore ha ricordato che “sul piano professionale e umano sono stati cinque anni e 8 mesi molto intensi, nei quali la forte collaborazione con più colleghi ha consentito di raggiungere risultati significativi, in considerazione del riconoscimento che c’è stato da parte dei giudici con i quali ci siamo confrontati. Abbiamo agito nell’interesse della collettività, per assicurare una efficace risposta nel contrasto alle manifestazioni del crimine nel nostro distretto”. A Firenze, Tescaroli, insieme al collega Luca Turco, si è occupato dell’inchiesta sui mandanti esterni delle stragi del 1993 (Firenze fu colpita da Cosa nostra la notte tra il 26 e il 27 maggio ’93 con la bomba agli Uffizi). “Sono stati fatti passi avanti per colmare gli interrogativi e le aree buie che si annidano sul versante ideativo, deliberativo ed esecutivo delle stragi del biennio ‘93-‘94”, ha affermato. “Passi significativi che hanno trovato conferma da parte dei giudici, anche della Corte di Cassazione, in sede cautelare”. Di recente, invece, si è occupato del giallo della scomparsa della piccola Kataleya. “Per ricostruire la verità c’è sempre tempo, molti sforzi sono stati fatti. Naturalmente più passa il tempo più si assottigliano le speranze di ritrovare la bimba ancora in vita”, sostiene il pm. “Il muro di omertà fatica a essere penetrato. Sarebbe auspicabile che chi sa parli, che si rivolga agli inquirenti”.
Alla domanda su quali sono le insidie maggiori della Toscana in generale, Tescaroli ha risposto dicendo che "sono molteplici, a partire dalla presenza stabile e organizzata di strutture criminali anche mafiose, idonee a condizionare le attività economiche e quelle delle pubbliche amministrazioni in modo silenzioso, attraverso il ricorso alla corruzione e alla collusione. Altri fronti sono legati alla criminalità cinese e albanese, al traffico internazionale di stupefacenti che ha uno sbocco nel porto di Livorno. Molti - ha aggiunto - sono i settori e gli ambiti in cui si annidano le attività criminali, penso ad esempio al traffico di rifiuti e alla manipolazione dei contratti e degli appalti pubblici. Un indicatore importante sono le misure di prevenzione patrimoniali, dal 2019 agli inizi del 2024 sono stati confiscati beni per un valore di circa 60 milioni di euro”. Venendo al suo nuovo ufficio a Prato, Tescaroli afferma che "l’azione di contrasto alle mafie nella provinciasarà rafforzata”. “Con riferimento alla comunità cinese (che fa affari con la mafia nel settore tessile, ndr), se si è verificata una integrazione economica non si può dire lo stesso sul fronte giuridico. Le dimensioni del problema, come emerso dai processi celebrati e dalle indagini, impone un lavoro di approfondimento con tutti gli sforzi e le energie possibili. L’importante è cercare di garantire una azione repressiva penetrante e coniugarla all’attività preventiva. È auspicabile un impegno corale su più fronti da parte di tutti gli esponenti delle istituzioni”.
Le dimensioni della mafia straniera a Prato “sono enormi, commenta il magistrato, e si traducono in almeno quattro categorie di danni per la nostra economia, la cui ampiezza non è stata ancora ben compresa. In primo luogo c’è il danno legato all’importazione di merci in violazione dei dazi doganali, poi quello relativo allo svolgimento di attività economiche senza far fronte al pagamento delle imposte, che si traduce anche nell’annientamento della concorrenza degli imprenditori italiani. Un terzo aspetto, poi, è rappresentato dal drenaggio di risorse che invece di essere investite nel nostro Paese vengono portate all’estero. Ci sono infine da considerare i casi di sfruttamento del lavoro: sono tutti dati di fatto che dovrebbero far comprendere la pericolosità del fenomeno, che deve essere contrastato con scelte appropriate. C’è la necessità di sviluppare i rapporti con la Repubblica popolare cinese, che non ha mostrato in questi anni di voler collaborare”.
Foto © Paolo Bassani
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