Bufera a Roma dopo la Maxi operazione condotta il 9 di luglio dalla DIA, con il coordinamento della DDA della Procura di Roma, dopo l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Roma nei confronti di 18 persone (16 in carcere e 2 agli arresti domiciliari). gravemente indiziate, a vario titolo, di associazione a delinquere con l’aggravante mafiosa, finalizzata a commettere una serie indeterminata di delitti di estorsione, usura, armi, fittizia intestazione di beni, riciclaggio, autoriciclaggio e reimpiego in attività economiche di proventi illeciti, aggravati dalla finalità di aver agevolazione dei clan di camorra MAZZARELLA – D’AMICO: delle cosche della ‘ndrangheta MANCUSO e MAZZAFERRO e del clan SENESE.
Più di 500 operatori impiegati su tutto il territorio nazionale che hanno condotto alla confisca di circa 130 milioni di euro nei confronti di 57 indagati.
Più in particolare, nel corso della attività di indagine, avviata nel 2018 dalla Direzione Investigativa Antimafia – Centro Operativo di Roma, con il coordinamento della DDA della Procura di Roma, sono stati raccolti elementi indiziari in ordine alla esistenza di due associazioni per delinquere che attraverso una strategia di sommersione riciclavano ingenti profitti, infiltrando progressivamente attività imprenditoriali in apparenza legali operanti in molteplici campi quali la cinematografia, l’edilizia, la logistica, il commercio di autovetture e di idrocarburi. In tale contesto sono state costituite numerose società “fittizie” per emettere false fatturazioni grazie al supporto fornito, tra gli altri, da imprenditori e da liberi professionisti.
Ciò che emergerebbe dalle indagini  - Antonio Nicoletti - ''godendo del potere criminale già ampiamente affermato dalle attività illecite e dalle cointeressenze mafiose del padre Enrico NICOLETTI, rappresenta il punto di riferimento di dinamiche criminali qualificate sulla capitale''. È quanto scrive il gip di Roma. "Insieme a Lombardi Pasquale ed esponenti della criminalità organizzata campana come D’amico Salvatore, il figlio Umberto e Luongo Umberto sembrano essere i promotori e i vertici della prima associazione. Dalle risultanze conseguono altri gravi indizi della costituzione: ovvero che si sono avvalsi grazie alla partecipazione di numerosi soggetti appartenenti agli ambienti della criminalità autoctona romana e di matrice camorristica di una complessa rete di società “cartiere” intestate a prestanome, attraverso le quali riciclare ingentissime somme di denaro proveniente dai clan campani. In tale contesto dall’ombra appare la figura del produttore cinematografico Muscariello Daniele nella veste di fiduciario degli stessi clan e del manager musicale Calculli Angelo”.
La prosecuzione delle indagini documenta inoltre una convergenza di interessi di mafie storiche e nuove mafie, segnatamente del clan D’AMICO-MAZZARELLA, delle cosche calabresi dei MANCUSO e MAZZAFERRO e della famiglia SENESE nel settore del commercio illecito degli idrocarburi. Inoltre viene fuori l’esistenza di un’altra autonoma associazione criminale, collegata alla prima, operante nella capitale e ramificata in altre regioni del Paese. Nomi dei capi come Senese Vincenzo, figlio di Michele, Macori Roberto (legato alla destra eversiva romana, all'ombra di Massimo Carminati, che è divenuto prima l'alter ego di Gennaro Mokbel, per poi legarsi a Michele Senese) e D’amico Salvatore vengono sottolineati in grassetto nei fascicoli DIA. Infatti sono i burattinai di una fitta e complessa struttura organizzata che attraverso numerose società cartiere, finanziate dai citati clan campani e calabresi, avrebbero acquisito il controllo di depositi fiscali di idrocarburi, funzionali alla realizzazione delle attività di riciclaggio. ''Perché la politica è la MAFIA... là se vai a ROMA politici onorevoli tutti corrotti... perché è proprio la politica di ROMA che è così...'', diceva uno degli indagati. Un'intercettazione che secondo il gip sintetizza''in maniera esaustiva l'essenza del sistema capitolino''. Un ''sistema amalgamatosi nel tempo'' degli interessi delle ''associazioni di tipo mafioso che si muovono nell'area metropolitana capitolina. Roma storicamente rappresenta il punto di contatto tra imprenditori, la  politica e mafie''. Lunga la lista degli indagati e tra loro anche l'ex calciatore Giorgio Bresciani e la figlia di Anna Bettz nota come Lady Petrolio.
In termini di gravità indiziaria, contestualmente ai reati di natura economico-finanziaria, circostanziati anche dalle attività di accertamento fiscale delegate al Nucleo PEF della Guardia di Finanza di Roma, i componenti delle due organizzazioni sono risultati anche dediti alla commissione di una serie di delitti in qualche modo strumentali ai primi (delitti di estorsione e usura) tanto per regolare partite quanto per legare a sé imprenditori indispensabili per alimentare l’illecito profitto. In tale ambito, la violenza delle due associazioni è l’ariete d’abbattimento, sia per la forza di intimidazione derivante dagli stretti legami con le organizzazioni criminali mafiose sia per l’immediata disponibilità di armi da guerra e comuni da sparo.
Gravi fatti rimarcano e attirano l’attenzione  sulla Capitale d’Italia quale Caput Draconis insieme a Palermo, Napoli e Foggia. Dobbiamo ricordare che è qui la sede del governo e le rappresentanze istituzionali e che tutti i movimenti politici forse non hanno le mani pulite(come l’inchiesta condotta da “Fanpage” che  ultimamente ha riacceso il dibattito pubblico), visto e considerando che le principali organizzazioni criminali e mafiose gestiscono tutto il territorio e ciò che vi è. Dalla politica, agli appalti pubblici, legami imprenditoriali e multi settori che apparentemente di facciata esprimono legalità e perbenismo, quando in verità potrebbero celarsi dietro fatti oscuri di finanziamenti illeciti e attività promosse con astuzia ed intelligenza strategica. “Radicate interconnessione tra criminalità Romana e ambienti di estrema destra e Mafie del sud” -  lo sottolinea nell’intervista del "Tg3" il colonnello Conio della DIA sulla maxi operazione a Roma.
Ma dalle Istituzione silenzio e negligenza come se nulla accadesse, l’omertà che tanto hanno decantato negli anni passati sembra essersi ribaltata, ma di fatto forse quando qualcuno è coinvolto tende a tacere - “Cum tacent, clamant” (Marco Tullio Cicerone), tranne per il  procuratore alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo Nino Di Matteo che zitto non è, con il libro “Il colpo di spugna”, scritto insieme al giornalista Saverio Lodato, dove insieme a suon di penna calcano l’inchiostro su documenti e fatti in cui sembra essere avvenuta una trattativa Stato-Mafia e che in fase processuale tutto si è dissolto nell’innocenza degli imputati. 
Una lotta all’interno dello stesso sistema, giusti contro affaristi, in cui il bene della Res Pubblica diventa l’arricchimento oligarchico rispetto alla maggior parte della popolazione costituente lo Stato stesso.
Una magistratura che viene man mano indebolita e spogliata dei suoi abiti da lavoro, incapace di determinare efficacemente le controversie tra Stato e cittadini.
Come il procuratore capo di Napoli Nicola Gratteri nell’ intervenuto sul palco di Piazza Castello, a Reggio Calabria, durante la presentazione del suo libro “Il Grifone” ha portato a testimonianza - “Questo perché le politiche degli ultimi anni stanno smontando pezzo dopo pezzo la legislazione antimafia che ha sempre contraddistinto l’Italia nel mondo. “Inizieranno a non invitarci più sul piano internazionale a partecipare alle squadre investigative comuni perché non portiamo nessun contributo tecnologico. Ci è rimasto solo il nostro ‘know how’, le nostre intelligenze, le nostre esperienze in materia di mafie e di narcotraffico. Ma sul piano tecnologico non abbiamo nulla da offrire”, ha concluso Gratteri.

Foto © Imagoeconomica

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