A lanciare la piattaforma è la presidente della Commissione di Vigilanza RAI: “Si sviluppi un dibattito che informi i cittadini sulle alternative alla guerra”
Nasce “No Peace, No Panel”, una campagna di giornalisti della Rai volta a promuovere un servizio pubblico che sia parte attiva di una rappresentazione paritaria ed equilibrata delle opinioni sulla guerra nei dibattiti tv e non solo. In un contesto come l’attuale, dominato da conflitti e crisi internazionali con una Terza guerra mondiale sullo sfondo, il dibattito pubblico è animato quotidianamente dal tema della guerra, ma meno da quello della pace. A presentare la campagna è Barbara Floridia, presidente della Commissione di Vigilanza RAI, intervenendo alla tavola rotonda 'No Peace, No Panel' al Senato.
“I rappresentanti dei movimenti nonviolenti e le associazioni pacifiste hanno il diritto di essere presenti tra gli ospiti dei talk televisivi, sviluppando un dibattito che informi i cittadini sulle alternative al bellicismo. È un modo sano anche per stimolare la politica e la diplomazia a costruire quei tavoli e quei confronti necessari per costruire un'alternativa alle armi. Si tratta di una proposta molto interessante che verrà approfondita in commissione di vigilanza e su cui la RAI sarà chiamata certamente a esprimersi, nella consapevolezza del ruolo fondamentale che riveste l'informazione su questi temi’’, ha affermato Barbara Floridia. "Mi farò promotrice di un atto di indirizzo della Commissione di Vigilanza affinché la campagna 'No Peace No Panel' venga recepita dalla RAI, nel pieno rispetto delle sensibilità di ciascun commissario”, ha aggiunto.
"Io stessa, pur rappresentando una istituzione come la Commissione di Vigilanza, faccio parte di una parte politica che sente fortemente il tema della pace e sente la mancanza di pluralismo nel servizio pubblico su questo tema". "È corretto che chi è contrario a una economia di guerra e favorevole a una sintassi di pace che riempia di parole nuove rispetto a quelle militari il pensiero - prosegue - possa avere voce al fine di trovare soluzioni ai conflitti diverse da quello militare. In questo l'informazione ha un ruolo chiave. Il giornalismo che consuma le suole delle scarpe, che entra nel vivo delle cose, che racconta i popoli e non solo i governi, è quello più prezioso. Abbiamo bisogno non di ricevere verità assolute ma di tante verità come insieme di parti: per questo - conclude - è necessario raccontare diversi punti di vista. Questo è il giornalismo che il servizio pubblico bene comune deve proteggere".
Max Brod
Tra i promotori della campagna ci sono volti noti della tv di Stato italiana. Max Brod è il giornalista della Rai che nel 2022 ha proposto il primo appello pubblico da cui è scaturito “No Peace No Panel”: “Negli anni della pandemia - dice - abbiamo conosciuto i nomi di tutti i virologi, invece in questi anni di conflitti non viene rappresentata la voce dei costruttori di pace”. “La nostra”, aggiunge, “non deve essere percepita come una proposta pacifista, ma è una proposta giornalistica, garantire un contraddittorio in Rai è uno strumento per tornare a fare un’informazione sana”.
Poi c’è Vittorio Di Trapani, presidente della Federazione nazionale della stampa italiana e giornalista di Rainews, che ha denunciato le pressioni subite dai giornalisti del servizio pubblico: “Sempre di più ci stanno chiedendo di essere parte della guerra. Non possiamo accettarlo, i giornalisti non possono stare da nessuna parte. Se devo sceglierne una, sto dalla parte delle vittime, tutte le vittime”. Di Trapani si è poi soffermato sulla tragedia palestinese e sul racconto mediatico schiacciato sulle ragioni israeliane: “Oltre 120 giornalisti sono stati uccisi a Gaza e sottolineo uccisi perché il cambiamento del linguaggio è anche questo. Non capisco perché da una parte si parli di persone uccise e dall’altra di persone che muoiono”.
Un tema, quello del racconto della questione palestinese, rilanciato anche da Lucia Goracci, storica inviata di guerra della televisione pubblica: “Quanto vale la vita di un palestinese?”. Il freddo calcolo riportato da Goracci, osservando il peso che i media italiani hanno dato alla liberazione di quattro ostaggi israeliani a fronte dell’uccisione di oltre 270 gazawi, è che “la vita di un cittadino di Israele vale 68,5 vite palestinesi”. Una sproporzione insopportabile: “Perché nel nostro racconto giornalistico quei quattro ostaggi, che ovviamente avevano tutto il diritto di essere salvati, sono gli unici esseri umani compresi nel perimetro del nostro sguardo?”. L’intervento di Goracci si è chiuso con un invito ai colleghi: “Andiamo nelle trincee ucraine ma magari anche in quelle russe; non ci troveremo Putin, ma soldati stanchi della guerra proprio come quelli di Kiev”.
La piattaforma di “No Peace No Panel” è sostenuta - tra gli altri - dall’Ordine dei giornalisti, dalla Cgil e dalla Rete italiana pace e disarmo.
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