Il legale chiede l'intervento del Capo dello Stato. "Vogliono distruggere l'istituto dei collaboratori sul piano politico"
Sono passati quarant'anni da quando Tommaso Buscetta iniziò a collaborare con la giustizia spiegando a Giovanni Falcone, e ai giudici di Palermo, la struttura del fenomeno criminale mafioso.
“[...] Prima di lui, - diceva proprio Falcone parlando delle dichiarazioni rese da don Masino nel cosiddetto maxiprocesso - non avevamo che un’idea superficiale del fenomeno mafioso. Con lui abbiamo cominciato a guardarvi dentro. Ma soprattutto ci ha dato una visione globale, ampia, a largo raggio del fenomeno mafioso. Ci ha dato una chiave di lettura essenziale, un linguaggio, un codice [...]”.
Da allora tante cose sono cambiate e questo importantissimo strumento di contrasto alle mafie è stato nel tempo svilito nella sua essenza.
Un passo indietro denunciato con forza dalla penultima Commissione parlamentare antimafia con la relazione condotta dal X Comitato, che vedeva relatrice Piera Aiello, anch'essa testimone di giustizia, e da tanti addetti ai lavori.
Su tutti vale la pena ricordare il neo Procuratore di Prato, Luca Tescaroli, che nel libro “Pentiti - Storia, importanza e insidie del fenomeno dei collaboratori di giustizia” (ed. Rubettino) ha messo in evidenza una serie di criticità gravissime che potrebbero seriamente comprometterne la tenuta e disincentivare i boss ad intraprendere questo percorso di rottura con l'organizzazione criminale.
Altro esperto in materia è certamente Rosario Scognamiglio, avvocato difensore di tanti collaboratori e testimoni di giustizia, che abbiamo raggiunto per fare il punto e capire ciò che si sta muovendo a livello legislativo.
Avvocato lei difende diversi collaboratori di giustizia qual è la situazione oggi?
“E' grave, inutile nascondersi. Così come aveva già evidenziato la scorsa Commissione antimafia in questi anni c'è stata un'escalation di fatti criminosi a danno di collaboratori e testimoni di giustizia. Fatti da cui si evincono delle carenze normative, oltre a criticità e pericoli, relative ai soggetti che intraprendono questo percorso, spesso purtroppo 'determinati dall’inadeguatezza del Servizio centrale di protezione'. Il punto è che non solo si fa finta di non vedere, ma proprio non si vuole ascoltare neanche.
A cosa si riferisce?
Oggi un collaboratore di giustizia o un familiare sul piano istituzionale non ha alcun tipo di sostegno. A chi possono denunciare eventuali criticità? La Commissione parlamentare antimafia in questa legislatura non ha istituito un Comitato di riferimento e così facendo il collaboratore di giustizia o il testimone si trova spalle al muro, specie se deve denunciare quel che non funziona nel servizio centrale di protezione. E di cose che non funzionano ce ne sono parecchie. Basti pensare che negli ultimi anni ci sono stati vari attentati nei confronti dei collaboratori di giustizia. Sono stati anche uccisi dei loro parenti. Ma ovviamente a livello politico-istituzionale non ci si pone questo problema. Non si vuole capire chi e perché avrebbe voluto eliminare certi collaboratori. Anzi, ci si muove in altra direzione.
Cioè?
A livello legislativo, nel piano delle riforme, c'è chi vorrebbe intervenire per dare una nuova spallata e disincentivare ulteriormente le collaborazioni con la giustizia. Non è un caso se da tempo non ci sono più nuovi 'pentiti' di rilievo e che molti non si sentono rassicurati dal programma di protezione.
E si pensi che già ora, senza ulteriori interventi legislativi, la situazione è tragica.
Quali sono le principali criticità?
Parliamo di deficit informativo circa i diritti e doveri connessi con l’assunzione dello status di collaboratore o testimone di giustizia; di sistemazioni logistiche carenti e utilizzo di immobili già destinati a famiglie di soggetti sottoposti a misure di protezione con conseguenti pericoli per la sicurezza; di inadeguatezza delle misure poste a tutela dell’incolumità sia in località protetta che in quella di origine.
Abbiamo già evidenziato la condizione di isolamento e la mancanza di punti di riferimento. Un punto determinante è l'insufficienza e più in generale l'inadeguatezza del sistema delle misure adottate per il sostegno economico e il reinserimento lavorativo. E poi ancora le lungaggini burocratiche e le difficoltà connesse all’utilizzo dei documenti di copertura e all’accesso alla misura del cambio di generalità. Messe insieme tutte queste cose portano il collaboratore di giustizia a porsi delle domande e a non avere più fiducia nello Stato. E pensare che se oggi sappiamo la verità su molti fatti è proprio perché ci sono stati i collaboratori di giustizia.
C'è chi dirà che non tutti i collaboratori sono uguali e che altri hanno contribuito a depistare anche delle indagini...
E' vero che ci sono stati episodi gravi nel corso della storia. Ma questo non deve portare a “buttare via il bambino con l'acqua sporca”. Il contributo dei collaboratori di giustizia è fondamentale e generalizzare sarebbe sbagliato. Anche Falcone diceva che lo strumento del pentitismo aveva avuto “luci ed ombre”, ma dopo tanti anni ci si è dotati di uno “specifico metodo investigativo, conoscitivo e valutativo” per la ricerca dei riscontri ed affrontare i temi “dell’attendibilità e della genuinità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia”.
Quindi cosa si dovrebbe fare?
Credo che sia urgente l'istituzione di un organo di ascolto per i collaboratori di giustizia. La Commissione parlamentare antimafia sembra essere più interessata ad altro. Per questo ho deciso di inviare una Relazione al Viminale ed al Presidente della Repubblica. Non ci si rende conto che se non si fa qualcosa tra qualche tempo non ci saranno più Collaboratori di giustizia. E se ciò avverrà avremo tradito anche il sogno di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
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