Dagli anni ’90 ad oggi i sodalizi albanesi sono saliti alla ribalta, conquistando anche i porti del Nord Europa. La loro pericolosità è pari a quella delle altre mafie
La mafia albanese, tra le mafie straniere presenti in Italia, è senza dubbio la più emergente, oltre ad essere quella che più di altre impensierisce i magistrati e le forze dell’ordine. Droga, armi, violenza, riciclaggio, traffico di migranti e affari di ogni sorta. Il palmares delle attività criminali di questa organizzazione è vasto e rientra in tutto e per tutto nell’albo delle mafie più pericolose dello Stivale e del continente europeo. Nell’ultima relazione semestrale (Gennaio-Giugno 2023) della Direzione Investigativa Antimafia la dimensione di pericolosità e la corsa alla vetta dei boss di Tirana è più che chiara, oltre che allarmante. “Si tratta di sodalizi ben strutturati e sorretti da una forte componente solidale poiché rafforzate al loro interno da legami parentali. Sono tecnicamente attrezzati e capaci di organizzare le attività delittuose in sottogruppi, dotati di una grande mobilità sul territorio nazionale, cui sono affidati compiti specifici che fanno capo a referenti in Italia e all’estero. Per tutte queste motivazioni, esse risultano molto pericolose e agguerrite”, riportano gli analisti della Dia. Tra le varie attività illecite, la mafia albanese si è fatta un nome in Europa e nel Mondo, per il narcotraffico.
“Le organizzazioni albanesi - si legge - si sono rivelate particolarmente organizzate anche a livello internazionale, oltre che capaci di interloquire direttamente con i cartelli sudamericani per l’importazione, dai Paesi tradizionalmente produttori, di ingenti quantità di cocaina, destinate all’approvvigionamento delle cellule di connazionali operanti nelle principali piazze italiane”. I magistrati hanno appurato anche diversi episodi di sinergie operative degli albanesi con boss delle organizzazioni mafiose storiche italiane, della Camorra e soprattutto della ‘Ndrangheta. La Dia ha documentato, in particolare, la dedizione delle compagini criminali albanesi nel traffico di droga attraverso città di mare del Nord Europa, assumendo gli stessi rodaggi della ‘Ndrangheta che in questi porti riescono a gestire lo smercio di cocaina proveniente, via oceano, dal Sudamerica. Un allarme, questo, che da anni lancia anche il procuratore della Repubblica di Napoli Nicola Gratteri, tra i maggiori esperti di lotta alla ‘Ndrangheta e al narcotraffico. “Noi oggi vediamo la mafia albanese presente in Amazzonia o in Colombia ed è in grado di comprare all’ingrosso anche 200 kg di cocaina e senza la join venture della Ndrangheta”. “Non parliamo della mafia che fa gli assalti alle ville, quelli sono i morti di fame”. Si tratta di “una mafia in espansione, molto forte e molto ricca”, ha commentato Gratteri aggiungendo che in Olanda, dove si trova uno dei principali porti di transito di sostanze stupefacenti (Rotterdam) la mafia albanese è seconda solo alla ‘Ndrangheta. Una valutazione che recentemente il magistrato ha allargato a tutto il continente europeo.
“Le compagini criminali albanesi - riporta la Dia - dedicate tradizionalmente al traffico di marijuana attraverso la cd. “rotta balcanica”, reinvestono ormai stabilmente i proventi anche nel traffico di cocaina che importano nel territorio nazionale via terra, attraverso le principali rotte di distribuzione europee, potendo contare su soggetti stanziali nel nord Europa in prossimità dei principali porti mercantili (Anversa, Rotterdam e Amburgo) ove, nel tempo, sono riusciti ad infiltrarsi efficacemente”. La descrizione è chiara. Questi gruppi “costituiscono una vera e propria realtà criminale, sia quali fornitori di materia prima, sia nella veste di corrieri e spacciatori, essendosi radicati in diversi Paesi dell’Europa e avendo instaurato rapporti stabili con i trafficanti di droga in ogni parte del pianeta”.
Nicola Gratteri © Imagoeconomica
La mafia albanese in Italia, l’esodo negli anni ’90 e i primi affari
Per contestualizzare l’approdo di questa nuova mafia in Italia, bisogna rispolverare la storia e risalire agli anni ’90. La diffusione della malavita albanese nel nostro Paese, infatti, segue all’apertura delle frontiere dovuta ai noti eventi politici, a partire dal 1991, quando prese il via un rilevante esodo di cittadini albanesi verso i paesi europei. Caduta l’URSS e crollato il Muro di Berlino l’ondata di crisi economica in Albania dovuta alla brusca transizione politica dal comunismo alla democrazia spinse decine di migliaia di albanesi a migrare verso ovest, nei paesi non appartenenti al blocco sovietico.
Dopo la morte di Hoxha nel 1985, successe Ramiz Alia che nel 1990 fu costretto ad ammettere il pluralismo politico e a indire le prime elezioni libere, vinte comunque dagli ex comunisti.
Nel giro di poco tempo, in seguito a una eccezionale crisi economica e a continue tensioni sociali, l’intera nazione si ritrovò in uno stato di miseria devastante. E ciò cominciò a provocare, a partire dalla metà degli anni Ottanta e poi con maggior numero nei primi anni Novanta, frequenti esodi di massa verso l’Occidente capitalista e industrializzato. L’Italia era la prima delle destinazioni, data la vicinanza geografica. Si ricorderà lo sbarco, il 7 marzo 1991, sulle coste pugliesi di 27mila migranti in fuga dalla miseria. Già in quella fase storica, il vasto traffico di persone, rappresentò un primo, appetibile, business per le organizzazioni mafiose albanesi che lucrarono sulle vite dei disperati. Da quel momento è stata una corsa in discesa e oggi la mafia albanese viene trattata da investigatori e forze dell’ordine alla pari di Cosa nostra, ‘Ndrangheta e Camorra.
“La favorevole posizione geografica delle coste albanesi rispetto a quelle pugliesi nonché la stessa conformazione geografica del Gargano forniscono, per altro, una direttrice di collegamento diretto con l’Italia”, aggiunge sul tema la Dia. “Per questa ragione la criminalità organizzata italiana condivide plurimi affari illeciti con quella albanese, dal momento che la rotta adriatica si caratterizza quale punto di snodo per il passaggio di stupefacenti dall’Albania non solo verso l’Italia, ma verso tutto il resto d’Europa, anche perché favorita dai collegamenti aerei con i Paesi balcanici che si affacciano sull’Adriatico”.
Secondo la Direzione Investigativa Antimafia, “i sodalizi albanesi sono quelli che, più di altri, hanno saputo radicarsi nel territorio, ramificarsi in diverse regioni e interagire, più di ogni altra organizzazione, con quelle autoctone nel traffico di stupefacenti”. Una pericolosità, quella della mafia albanese, che ha posto in rilievo la necessità di implementare la già esistente collaborazione tra Italia e Albania.
Il ruolo “predominante” della criminalità organizzata albanese nel settore del narcotraffico è emerso nel tempo da numerose operazioni di polizia, talune condotte anche dalla Dia.
“Il modus operandi adoperato - riporta ancora la relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia - vede tali organizzazioni criminali transnazionali trasportare dai litorali albanesi sul territorio italiano per mezzo di potenti gommoni e imbarcazioni a vela, attraverso il Canale d’Otranto, numerosi migranti di varia etnia (prevalentemente iraniani, pakistani, iracheni, egiziani, siriani e afghani). Il luogo di approdo più frequentemente utilizzato dagli scafisti è la costa del basso Salento, con saltuari sbarchi sulle coste joniche.
Altro settore di interesse, appannaggio dei gruppi criminali albanesi, è quello dell’immigrazione clandestina e della tratta di esseri umani”.
Elvis Demce
Attentati ai pm
Tornando alle assonanze tra mafia italiana e mafia albanese, quest’ultima ha adottato dalla prima anche la predisposizione ad eliminare, con la violenza, tutti coloro che si frappongono ai propri affari. Emblematico è il caso del boss Elvis Demce, mafioso albanese famosissimo nello scenario criminale romano che puntava ad assassinare un pm che indagava su di lui. Demce era rampollo di Fabrizio Piscitelli, alias “Diabolik”, il leader degli Irriducibili della Lazio ucciso il 7 agosto 2019 al Parco degli Acquedotti. Il pm da eliminare sarebbe stato Francesco Cascini, della procura di Roma, che ha indagato sul tentato omicidio del rivale di Demce, Alessio Marzani, 45enne pregiudicato e ferito a colpi di arma da fuoco il 22 ottobre 2020 ad Acilia. Un tentato omicidio per il quale Demce è stato recentemente condannato a 18 anni e 6 mesi. Cascini, nel 2022, anno in cui fu intercettata dagli investigatori la minaccia, aveva smantellato il gruppo criminale di Demce nell’indagine “Aquila Azzurra”. E l’albanese voleva vendicarsi. “Sabato è la festa mia.. che mi fai per regalo?”, chiedeva un affiliato a Demce alludendo al progetto di eliminare “Il pm che me vo vede morto”. Le chat intercettate dai carabinieri, tutte intercorse sul sistema di messaggistica “Sky Ecc”, mostravano anche foto della pistola e il fucile mitragliatore che dovevano servire allo scopo: “Ce fa c... co’ a macchina blindata, je la trito”. A lanciare per primo l’idea sarebbe stato Alessandro Corvesi, ex calciatore della Primavera della Lazio, anche lui condannato con Demce nel processo sul tentato omicidio di Marzani: “Hanno mai ucciso un pm? Sono scortati? Lo voglio uccide. Lo sparo fuori a piazzale Clodio”. E Demce, dopo aver convenuto che “stanno cercando de distrugge la cerchia nostra”, ma appurata la difficoltà di un attentato, proponeva di ingaggiare piuttosto una prostituta per girare un video compromettente con il quale ricattarlo: “A questi per faje male più che sparaje, faje qualche video o ave qualcosa per tenerli x le palle”. Nel progetto di attentato sarebbe finito anche Giuseppe Cascini, fratello del magistrato ed ex membro togato del Csm.
Più di recente, il nome di Demce è emerso nello scandalo che ha investito Paolo Signorelli, l’ormai ex portavoce del ministro Francesco Lollobrigida, finito su tutti i giornali perché lodava i terroristi neri della strage di Bologna e insultava gli ebrei. Lodi e insulti erano emersi nell’inchiesta sull’omicidio di “Diabolik”. I due si conoscevano bene e nel dicembre 2018 il portavoce del ministro e l’ultrà commentavano la sentenza di assoluzione in appello di Demce per l’omicidio di “Federichetto” De Meo, freddato con cinque colpi di pistola piazzati tra testa e torace il 24 settembre 2013. “Ma hanno assolto Elvis? Fantastico dajee”, chiedeva Signorelli. Dall’altro lato “Diabolik” rispondeva festeggiando con un lungo “Siii”.
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