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Otto colpi di pistola di grosso calibro: così è stato ucciso il 10 maggio 1996 in pieno centro da Catania Luigi Ilardo, boss di una tra le più importanti famiglie di Cosa nostra, quella dei Madonia.
Era un infiltrato per conto dello Stato che, con le sue rivelazioni, portò i carabinieri del Ros a un passo dalla cattura del superlatitante Bernardo Provenzano.
Ma quell'ottobre del 1995 i militari si limiteranno ad osservare perché impossibilitati ad intervenire, così dichiarò l'ufficiale Mauro Obinu a processo (il militare venne poi assolto assieme a Mario Mori), data la presenza di pecore, pastori e mucche.
La Cassazione per l'omicidio di Luigi Ilardo ha condannato in via definitiva - con quattro ergastoli - Giuseppe Madonia, Vincenzo Santa PaolaMaurizio Zuccaro e Benedetto Orazio Cocimano.
Nella puntata "Cose Nostre" andata in onda ieri su 'Rai 1' sono stati ricostruiti i molti dubbi che orbitano attorno al caso Ilardo.
Cruciali le testimonianze dei tre ospiti della trasmissione: Luana Ilardo, figlia dell'infiltrato, Mario Ravidà, già ispettore e Commissario della Polizia di Stato (poi in forza alla Criminalpol e in seguito alla Direzione investigativa antimafia) e Pasquale Pacifico, procuratore aggiunto di Caltanissetta che si occupò dell'assassinio. "Ho sempre avuto la percezione che, in merito a questa vicenda, non tutto sia venuto fuori" ha detto il magistrato ribadendo che "il collaboratore di giustizia Giuffré ci ha raccontato che c'era stata una fuga di notizie proveniente da ambienti giudiziari di Caltanissetta": Ilardo disse ai magistrati di voler saltare definitivamente il fosso e diventare collaboratore di giustizia. Una decisione coperta dal massimo riservo ma che qualcuno fece uscire dagli uffici del tribunale.
"Quelle coperture - ha continuato Pacifico - quei rapporti para istituzionali che probabilmente hanno consentito, hanno creato l'humus per la commissione di questo omicidio. E soprattutto non si è potuto individuare il soggetto che avrebbe posto in essere quella famosa fuga di notizie che ha determinato l'accelerazione nell'omicidio".
"L'inizio della fine", come ha raccontato Luana, iniziò quando il padre "tornò a casa di scatto, aprì la cassaforte e si accorse che era totalmente svuotata. Era totalmente fuori di sé, era un diavolo impazzito". Secondo Ravidà si trattò di un "avvertimento".
Un fatto molto inusuale dal momento che la famiglia Ilardo aveva contatti molto in alto: basti pensare al rapporto con Gianni Chisena, criminale legato ai servizi, al centro di molti misteri, tra cui il caso Moro.
"Nacque un'amicizia molto importante tra mio padre e lui, che erano anche coetanei. Mio padre fu affascinato da questo personaggio totalmente borderline" ha detto Luana.
"Non disdegnavano di compiere dei reati veri e propri come sequestri di persona, traffico di armi, di esplosivi - ha rimarcato Ravidà - e in questo contesto avevano anche una vicinanza con ambienti di destra. In quel contesto conobbero Pietro Rampulla che è stato l'artificiere per la strage di Capaci".

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