Il 28 maggio 1974 alle 10 e 2 minuti scoppiò una bomba in piazza della Loggia, a Brescia, durante una manifestazione promossa dal Comitato permanente antifascista in contemporanea con lo sciopero generale indetto dai sindacati. L'ordigno, nascosto in un cestino dei rifiuti e contenente almeno un chilogrammo di esplosivo, deflagrò due minuti dopo l'inizio del discorso, dal palco, del sindacalista della Cisl Franco Castrezzati. Otto le vittime: Luigi Pinto, Giulietta Banzi Bazoli, Livia Bottardi, Alberto Trebeschi, Clementina Calzari Trebeschi, Euplo Natali, Bartolomeo Talenti, Vittorio Zambarda. Altre centodue persone rimasero ferite. Da quel momento si succedettero 17 processi, più due appena iniziati dalla Procura di Brescia a carico di Marco Toffaloni — oggi ribattezzato Franco Maria Müller con tanto di passaporto svizzero — e Roberto Zorzi, allora giovanissimi militanti della destra eversiva, accusati di avere piazzato la bomba per vendicare Silvio Ferrari, il neofascista saltato in aria sulla sua Vespa pochi giorni prima, tra il 18 e il 19 maggio.
I magistrati di Brescia, Silvio Bonfigli, protagonista dell'inchiesta durata quasi un decennio assieme alla collega Caty Bressanelli, hanno indagato fino a toccare i fili dell'Alleanza. Dalle 280 mila pagine depositate dalla Procura emerge che la pista investigativa porta a Palazzo Carli di Verona: nel secondo dopoguerra divenne prima sede del Comando delle forze militari della NATO, e poi sede del Comando delle forze operative terrestri COMFOTER dell'Esercito Italiano. In questa struttura, secondo gli investigatori, vi sarebbero state delle riunioni preparatorie di un progetto stragista che avrebbe mirato a sovvertire la democrazia italiana. Il tutto con la copertura di generali dei paracadutisti italiani e statunitensi.
Ad aver orientato gli inquirenti verso Palazzo Carli sarebbe stato un supertestimone, un uomo che ha segnato la via di questa inchiesta facendo nomi e cognomi. La sua identità non è nota, mentre lo è quella di Giampaolo Stimamiglio. Quest'ultimo aveva deciso nel 2009 di vuotare il sacco al colonnello del Ros Massimo Giraudo raccontando che Marco Toffaloni gli avrebbe detto, in una conversazione del 6 aprile 2011, che "anche a Brescia gh'ero mi!"; Piazza della Loggia? "Son sta mi!". Agli atti dell'inchiesta c'è anche un altro elemento: una fotografia che ritrae Toffaloni in piazza, quel giorno. Ora, diventato cittadino svizzero, si è 'trasformato' in Franco Muller, prendendo il cognome dell'ex moglie Silvia. Secondo altre testimonianze, avrebbe avuto una cantina piena di esplosivo, forse anche quello usato per la strage. Il supertestimone avrebbe parlato anche di Roberto Zorzi raccontando che avrebbe partecipato a una riunione preparatoria dell'attentato.
Mario Mori e Francesco Delfino
Gli inquirenti dovranno anche vagliare le memorie della superteste Ombretta Giacomazzi, all’epoca 17enne figlia dei titolari della pizzeria Ariston. Va detto che Giacomazzi è entrata e uscita come accusatrice del gruppo Buzzi e dell’allora capitano dei carabinieri Francesco Delfino — che fu assolto, prima di morire, dall’accusa di aver cospirato — ma anche come imputata di falsa testimonianza e calunnia. A raccogliere e cercare di verificare le sue parole è stato il colonnello del Ros dei carabinieri Giraudo, ufficiale di riferimento della Procura bresciana. Inoltre, nelle dichiarazioni di Giacomazzi e nelle informative di Giraudo è ipotizzato che la strage sia stata ispirata e organizzata da uomini dello Stato e della Nato in una cornice che unirebbe, sempre in ipotesi, Delfino, l’allora capitano del Sid Mario Mori, graduati dei carabinieri e vertici del comando Ftase di Verona, che nel 1974 era la più importante base Nato in Italia con sede a Palazzo Carli.
Le condanne definitive e nuove accuse: nella strage vi erano le mani dello Stato
Sono due i condannati in via definitiva all'ergastolo per concorso in strage il 20 giugno 2017: Maurizio Tramonte, la 'fonte Tritone', considerato dai giudici un ex infiltrato dei servizi segreti e membro di 'Ordine Nuovo' e Carlo Maria Maggi, morto il 26 dicembre 2018, ritenuto il 'regista' dell'attentato e capo di Ordine Nuovo nel Triveneto. Fu Tramonte, secondo il verdetto definitivo, a ispirare una relazione del Sid, il servizio segreto militare, in cui si diceva che nel 1974 c'erano state riunioni in cui Ordine Nuovo, sciolto nell'anno precedente, aveva deciso una ripresa clandestina delle attività. Uno di questi incontri avvenne ad Abano Terme tre giorni prima dell'attentato e dai documenti risulta che Maggi disse ai camerati che bisognava proseguire nella strategia stragista iniziata il 12 dicembre 1969 in piazza Fontana. In un'altra riunione spiegò che la strage di Brescia non sarebbe dovuta rimanere "isolata" ma essere seguita da "altre azioni terroristiche di grande portata da compiere a breve scadenza" per aprire "un conflitto interno risolvibile solo con lo scontro armato". Nella sentenza milanese firmata dalla giudice Anna Conforti e ribadita dalla Cassazione, considerata miliare nella ricostruzione dei fatti, si legge: "Dagli atti processuali emerge la prova certa di comportamenti ascrivibili ai vertici territoriali dell'Arma dei carabinieri e ad alti funzionari dei servizi segreti". L'inchiesta più recente, approdata da poco in aula (prossima udienza per Toffaloni il 30 maggio davanti al Tribunale dei Minori, perché all'epoca era minorenne e il 18 giugno per Zorzi davanti alla Corte d'Assise) ha messo in luce documenti e materiali sul cosiddetto 'terzo livello' delle coperture, che portano a Palazzo Carli, il Comando della Nato di Verona. I due imputati vivono all'estero, Zorzi negli USA e Toffaloni (difeso dall'avvocato Marco Gallina) in Svizzera. Entrambi sostengono di non entrarci nulla con la strage. Toccherà ai pm Bonfigli e Bressanelli e alla Procura dei Minori che si è occupata di Toffaloni, dimostrare le accuse.
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