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Pino Arlacchi a Report: "Mi disse che parlò con una fonte molto importante"

Questo articolo, che riproponiamo ai nostri lettori, è stato scritto in data 13-05-2024.


Dopo il 1989, con la caduta del muro di Berlino, tutti gli agenti operativi che avevano eseguito stragi e delitti eccellenti al soldo degli USA in Italia, tra cui gladiatori, professionisti della destra eversiva e altrettanti boss mafiosi, compresero che lo 'scudo stellare' che sino a quel momento gli aveva garantito l'impunità stava per cedere.
Fu questa una delle grandi intuizioni del giudice Giovanni Falcone, ucciso assieme alla magistrata (nonché moglie) Francesca Morvillo il 23 maggio del 1992 a Capaci assieme agli uomini della sua scorta.
A riferirlo è stato il professore Pino Arlacchi durante la trasmissione di inchiesta Report andata in onda ieri: "C'erano tutti gli apparati dello Stato che avevano compiuto stragi e omicidi lungo tutti i decenni precedenti, confidando nella piena impunità, che erano in allarme (gli apparati, ndr), perché le connessioni tra queste componenti della grande criminalità venivano fuori e Falcone le aveva individuate quasi tutte" ha detto.
Il sociologo ha raccontato, inoltre, un incontro personale avuto con Falcone in riferimento all'omicidio del presidente della regione siciliana Piersanti Mattarella avvenuto il 6 gennaio del 1980: nel dicembre del 1991 Falcone andò a cena a casa di Arlacchi ma "non disse una parola tutta la sera, finché non furono andati via tutti. E gli ho detto: 'Giovanni sei stato zitto, molti di questi volevano parlare con te'. Lui mi disse: 'Guarda non ho parlato perché sono appena tornato da Palermo e sono ancora immerso in tanti pensieri; tentando di decifrare le informazioni che ho appena avuto su tutta la situazione di Cosa nostra e su tutta la situazione degli ambienti che circondano Cosa nostra, gli ambienti di Andreotti, sono tutti in un grandissimo allarme perché si sentono traditi. Non si sentono protetti più dalla politica, il governo non fa più niente per loro e ho parlato con una fonte molto importante, a cui io do credito, che mi ha raccontato alcuni particolari dell'omicidio Mattarella ed ha confermato quello che pensavo già da tempo: che sia stato un caso Moro-bis. C'erano la P2, Gladio, e la mafia, per eliminare Mattarella in quanto si era messo sulla strada pericolosa, aveva superato la stessa linea rossa che aveva superato Aldo Moro. Stava cercando un accordo con i comunisti in Sicilia".


arlacchi report

Pino Arlacchi


Non è un caso, infatti, che Mattarella venne assassinato un mese prima del congresso della DC che lo avrebbe nominato, con buonissime probabilità, al vertice del partito, diventando il vice segretario nazionale della DC.
Una situazione politica che si doveva evitare a tutti i costi, dato che avrebbe aperto la strada anche a cambiamenti politici a livello nazionale e non solo.
Un delitto, quello di Piersanti Mattarella, sicuramente figlio di quella strategia della tensione che ha insanguinato l'Italia fino al 1993.


La Trattativa Stato-Mafia

Durante la trasmissione si è tornati a parlare del processo Trattativa Stato - Mafia. Ricordiamo che gli ‘ermellini’ hanno mandato assolti, con la riqualificazione del reato contestato in tentata minaccia, per intervenuta prescrizione i due capimafia, Leoluca Bagarella (cognato di Totò Riina) e Antonino Cinà (il medico del Capo dei capi che aveva fatto da 'postino' al papello, cioè la lista delle richieste della mafia allo Stato per fermare le bombe); assolti anche gli alti ufficiali del Ros Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni (che a differenza degli altri due non aveva presentato ricorso) 'per non aver commesso il fatto'. Una pronuncia di non colpevolezza più ampia rispetto a quella di secondo grado dove furono assolti con la formula perché 'il fatto non costituisce reato'. Assolto definitivamente anche l'ex senatore Marcello Dell'Utri, già condannato per concorso esterno in associazione mafiosa.
Ma la Cassazione per emettere tale sentenza ha dovuto ignorare alcuni fatti venuti alla luce durante il processo di primo grado. Fatti che pesano come macigni.
La sentenza d'Appello, ha ricostruito il sostituto procuratore nazionale antimafia e già consigliere togato del Csm Nino Di Matteo, "affermava che era provato che una parte dello Stato aveva cercato e ottenuto un dialogo, è stretto un'alleanza, un patto con una parte della mafia, l'ala moderata, per contrastare le iniziative dell'altra ala, quella cosiddetta stragista. Tra l'altro quella sentenza di appello, pur assolutoria nei confronti degli alti ufficiali dei Carabinieri, riconosceva che la mancata perquisizione del covo di Riina era stato un segnale mandato alla controparte della trattativa. Quella sentenza riconosceva che per indicibili ragioni di interesse nazionale a lungo era stata protetta la latitanza di Provenzano da parte di esponenti dello Stato".


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Nino Di Matteo


"Sono delle conclusioni", ha continuato il magistrato antimafia, "che sono assolutamente in contraddizione con quello che altre sentenze rese definitive dalla Cassazione hanno invece acclarato. Mi riferisco alle sentenze fiorentine sulla strage di Via dei Georgofili, in cui leggiamo che certamente quella improvvida iniziativa del Ros dei Carabinieri di andare a parlare con Ciancimino perché parlasse con Riina con gli altri vertici di Cosa nostra, quell'improvvida iniziativa, aveva rafforzato l'idea che la strategia delle stragi fosse pagante e aveva quindi provocato, contribuito a provocare le stragi del 1993. Forse ce lo dovevamo aspettare che finisse così, perché quelle conclusioni alle quali erano arrivati i giudici di primo grado e di secondo grado e che avevano abbondantemente spiegato, erano forse inaccettabili per il sistema Stato".


La bufala del dossier 'mafia-appalti'

Il filo nero che lega la morte dello statista democristiano ai delitti eccellenti è sicuramente uno dei punti che Falcone avrebbe approfondito se fosse diventato procuratore nazionale antimafia. Il 23 maggio, tuttavia, ci fu la strage di Capaci e il testimone passò al collega Paolo Borsellino, ucciso nella strage di via d'Amelio del 19 luglio 1992.
Sono trascorsi 32 anni da quei fatti. Le sentenze definitive hanno condannato gli esecutori ma sono rimasti nell'ombra i mandanti esterni alla mafia. Il 18 maggio del 2022 il GIP del Tribunale di Caltanissetta, Graziella Luparello, ha respinto la richiesta di archiviazione sui mandanti esterni alla strage di Via d'Amelio e ha chiesto di approfondire ben 32 punti, tra cui l'interazione tra mafia, destra eversiva, servizi segreti e massoneria per verificare l'esistenza di un patto occulto finalizzato a sostenere le forze politiche filo-atlantiche.


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Roberto Scarpinato


Tuttavia la commissione parlamentare antimafia ha cominciato invece ad indagare e approfondire solamente un filone della strage di via d'Amelio, quello del dossier 'mafia-appalti'. Sulla vicenda ci siamo già più volte espressi.
"L'ipotesi che Falcone e Borsellino sarebbero stati uccisi per evitare che potessero far emergere i segreti della 'Tangentolopoli' siciliana" è "una tesi che non sta in piedi ed è in contrasto assolutamente non solo con le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ma col principio di realtà, per il semplice motivo che i politici della prima repubblica erano nel mirino di Cosa nostra e dovevano essere uccisi perché, secondo la mafia, non avevano mantenuto le promesse che avevano fatto", ha detto l'ex procuratore generale di Palermo e oggi senatore Roberto Scarpinato al giornalista Paolo Mondani.
"Quindi gli interessi che ci sono dietro le stragi - ha ribadito - non sono gli interessi della prima repubblica, i soggetti archiviati dalla storia, ma sono invece interessi che ci portano alla seconda repubblica ed è proprio per questo che secondo me questa pista piace tanto, perché spezza i fili col presente, con le forze politiche che sono passate dal collo della prima repubblica e che hanno ottenuto i voti delle mafie; questo lo dicono le sentenze, perché tutti i collaboratori affermano che alla fine del 1993 venne l'ordine di votare per Forza Italia, perché era il partito che avrebbe garantito gli interessi delle mafie".


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Gioacchino Natoli


L'attuale maggioranza nella commissione parlamentare antimafia sostiene che il rapporto mafia-appalti fu sostanzialmente trascurato dalla procura di Palermo. "E' una colossale falsità - ha sottolineato con forza Scarpinato - Le indagini su mafia-appalti non si fermerono mai, proseguirono interrottamente dal '92 agli anni 2000. Furono arrestati centinaia di persone: mafiosi, imprenditori di livello nazionale, politici. Furono richieste decine e decine di autorizzazioni a procedere nei confronti di ministri eccetera; abbiamo fatto richieste di autorizzazione per l'ex ministro Mannino, per Citaristi e per l'onorevole Russo e abbiamo arrestato l'onorevole Sciangula".
Quindi il rapporto mafia-appalti era diventato l'ossessione di Paolo Borsellino o no?
L'ex ministro dell'interno Vincenzo Scotti lo esclude categoricamente, anche perché poco prima della strage lo aveva incontrato: "Una cosa io ho chiara, che gli impegni di cui mi parlava erano molto più vasti e complessi rispetto all'indagine sugli appalti a Palermo. Perché era troppo coinvolto e preoccupato e che si toccasse veramente qualcosa che riguardava appunto i rapporti tra le istituzioni, la politica e la mafia".
La tesi secondo cui il rapporto 'mafia-appalti' fu il vero movente della strage di via d'Amelio è sostenuta con forza dagli ex ufficiali dell'Arma Mario Mori e Giuseppe De Donno. Tuttavia questa teoria viene appalesata dai due ex militari soltanto nell'ottobre del 1997.
Perché questo ritardo?
"Questo bisognerebbe evidentemente chiederlo ai due ufficiali" ha risposto l'ex magistrato Gioacchino Natoli.

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