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intercettazioni-bigIl Pna Grasso: Non assecondai quelle richieste
di Monica Centofante - 19 giugno 2012
Conferma l’incontro con Nicola Mancino, “ma non il contenuto della breve conversazione” intrattenuta con lui. Il Procuratore Nazionale Antimafia Piero Grasso ha risposto così, dalle pagine de Il Fatto Quotidiano e di Repubblica  alle notizie dei giorni scorsi sulle richieste che l’ex Ministro dell’Interno gli avrebbe rivolto nel disperato tentativo di mettersi al riparo dalle indagini sulla cosiddetta trattativa tra Stato e mafia. Nell’ambito delle quali lo stesso Mancino risulta ora indagato per falsa testimonianza.
La vicenda prende le mosse da una serie di intercettazioni registrate dagli inquirenti sin dalla fine dell’anno scorso e, nel caso specifico, quelle seguite alla deposizione dell’ex Ministro dell’Interno ed ex vicepresidente del Csm ad un’udienza del processo contro il generale dei Carabinieri Mario Mori, accusato della mancata cattura del boss Bernardo Provenzano. In quell’occasione il pubblico ministero Nino Di Matteo, tra i titolari dell’inchiesta sulla cosiddetta trattativa tra Stato e mafia, aveva evidenziato l’esistenza di “evidenti contraddizioni tra diversi esponenti delle istituzioni” – Mancino, Martelli e Scotti - che “riferiscono cose completamente diverse”. Ergo: “Qualcuno mentiva” e per questo si rendeva necessario un confronto in aula. Confronto che Nicola Mancino era seriamente intenzionato ad evitare e per questo aveva chiamato con insistenza il Quirinale per parlare con Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico del Presidente Napolitano. Con l’intento di intervenire, attraverso quel canale, sul procuratore di Palermo Francesco Messineo e sul Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso.

“Io per adesso – rispondeva D’Ambrosio – posso parlare con il presidente (presumibilmente Napolitano ndr.) … lui se l’è presa a cuore la questione… non lo so… Francamente la ritengo difficile”. “Intervenire sul collegio – proseguiva - è una cosa molto delicata…”, forse, interveniva Mancino, “l’unico che può dire qualcosa è il procuratore capo di Palermo Messineo e l’altro che può dire qualcosa è il direttore nazionale antimafia Grasso”, che ha potere di coordinamento sui diversi uffici che si stanno occupando delle indagini sulle stragi e sulla trattativa. D’Ambrosio a questo punto annotava: “Ma non Messineo… in udienza Di Matteo è autonomo. Io direi che l’unica cosa è parlare con il procuratore nazionale Grasso”. Mancino è d’accordo: “Io gli voglio parlare perché sono tormentato”.
E non sarebbe stato quello il suo primo colloquio con il Pna, già il 22 dicembre scorso allo stesso D’Ambrosio aveva raccontato di una conversazione intrattenuta la sera prima con Grasso. “Mi ha detto – sono le sue parole –: ‘Quelli lì (i magistrati di Palermo, secondo le ricostruzioni ndr.) danno solo fastidio. Ma lei lo sa che noi non abbiamo poteri di avocazione’, e io ho detto: ‘Ma poteri di coordinamento possono essere sempre esercitati’.”
Oggi il Procuratore Grasso conferma l’incontro del 21 dicembre al Quirinale, per lo scambio degli auguri natalizi, ma ricostruisce i fatti: “Non ho assolutamente risposto ‘quelli lì’ (…) ‘danno solo fastidio’. Non avrei mai potuto esprimere un tale giudizio perché non lo penso e la mia azione è funzionale a favorire la loro attività investigativa alla ricerca della verità”. In quanto alla richiesta di avocazione Grasso precisa: “Mancino lamentava valutazioni diverse da parte di talune procure rispetto a relazioni e comportamenti e omissioni a lui attribuiti. Gli ho detto che il solo strumento che può ridurre a unità indagini pendenti in diversi uffici è l’istituto dell’avocazione che, però, è applicabile solo nel caso di ingiustificata e reiterata violazione delle direttive impartite dal Pna al fine del coordinamento delle indagini. Avocazione che è nei miei poteri – conclude -, ma nel caso di Mancino non vi erano i requisiti per poterla applicare”.
In quanto alle possibili richieste giunte da parte di D’Ambrosio, il Procuratore sottolinea: “Mi ha espresso l’esigenza di Mancino. Il problema, per quanto mi riguarda, non è ciò che abbia fatto o abbiano tentato di fare, ma quello che io ho fatto. E’ mai arrivata una richiesta di Grasso ai pm di Palermo? Grasso ha mai compiuto un solo atto per agevolare Mancino? La risposta è: no”.

La lettera del Quirinale
Ma non era solo la paura di quel “faccia a faccia” a disturbare i sonni di Mancino. Ad inquietare l’ex Ministro c’erano evidentemente anche le parole dei pm di Caltanissetta, che chiudendo la loro inchiesta sulla strage di Via D’Amelio avevano espresso un duro giudizio sul comportamento di alcuni politici. Per questo Mancino si sarebbe complimentato con l’allora procuratore generale della Cassazione Vitaliano Esposito, che a quei magistrati aveva chiesto le carte dell’inchiesta facendo sospettare l’arrivo di una sanzione disciplinare per i giudici nisseni e ottenendo garanzie. “Comunque – sono le parole di Esposito – io sono chiaramente a sua disposizione. Adesso vedo questo provvedimento e poi magari ne parliamo. Se vuole può venire quando vuole”. Offerta alla quale Mancino aveva controbattuto: “Guagliò, così come vengo vado sui giornali…”.
Il 4 aprile successivo dal Quirinale era partita una lettera indirizzata al Procuratore generale della Cassazione nella quale Donato Marra, segretario generale della Presidenza della Repubblica, a nome di Napolitano, annotava le lamentele di Mancino che “si duole del fatto che non siano state fin qui adottate forme di coordinamento delle attività svolte da più uffici giudiziari sulla cosiddetta trattativa”. Preoccupazioni condivise dal Presidente della Repubblica che “auspica possano essere prontamente adottate iniziative che assicurino la conformità di indirizzo delle procedure ai sensi degli strumenti che il nostro ordinamento prevede, e quindi anche ai sensi delle attribuzioni del procuratore generale della Cassazione”.
Si era al passaggio delle consegne tra Vitaliano Esposito e Gianfranco Ciani, il nuovo Pg della Cassazione e il giorno dopo D’Ambrosio spiegava a Mancino: “Ho parlato sia con Ciccolo (sostituto Pg) che con Ciani, hanno voluto una lettera così fatta per sentirsi più forti…”. E in seguito all’invio della lettera chiedevano all’ufficio diretto da Grasso una relazione del lavoro svolto, che sarebbe arrivata qualche settimana dopo. Il desiderio di Mancino era stato esaudito.
Grasso oggi ricorda quelle richieste: “Sono stato convocato dal Pg della Suprema Corte (Ciani ndr.) il 19 aprile. Mi è stata richiesta una relazione sul coordinamento tra le procure. Ho espresso la volontà che mi venisse messo per iscritto. Mi è stato fatto presente che era nei suoi poteri chiederlo verbalmente. Il 22 maggio ho risposto per iscritto specificando che nessun potere di coordinamento può consentire al Pna di dare indirizzi investigativi e ancor meno di influire sulle valutazioni degli elementi di accuse acquisiti dai singoli uffici giudiziari”.

Il 41 bis
Tra le telefonate agli atti dell’indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dai sostituti Antonino Di Matteo, Francesco Del Bene e Lia Sava, ce ne è un’altra, particolarmente significativa, che risale al 25 novembre dello scorso anno. Intercorsa tra gli stessi Nicola Mancino e D’Ambrosio che parlano dell’indagine sulla trattativa. I due interlocutori commentano la nomina del magistrato Francesco Di Maggio (deceduto) a numero due del Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. “Perché è arrivato lì  Di Maggio? Chi ce lo ha mandato? Questo è il problema” è la voce di D’Ambrosio, che prosegue: “C’erano due problemi: l’alleggerimento del 41 bis e i colloqui investigativi e lei (Mancino ndr.) non ne ha saputo niente perché la parte 41 bis c’erano Mori, Polizia-Parisi, Scalfaro e compagnia. Per la parte dei colloqui investigativi… Di Maggio-Mori”.
Ricordando il particolare del decreto ad hoc per la nomina di Di Maggio, D'Ambrosio ha rammentato in oltre che il testo venne preparato alla sua presenza nella stanza di Liliana Ferraro, all'epoca direttore degli Affari penali di via Arenula.

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