di Nicola Biondo - 15 marzo 2012
Una relazione di servizio riesumata dopo vent’anni. Una testimonianza di un poliziotto dall’inferno di Via D’Amelio. E’ questa l’ultima traccia dimenticata finita nella nuova inchiesta della Procura di Caltanissetta sulla strage che uccise Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta.
Una traccia che porta dritti al cuore nero dei misteri di quell’eccidio. Riccardo [nome di fantasia] è un giovane agente che poco dopo le 17 del 19 luglio 1992 arriva a bordo della volante 32 a pochi metri dal cratere. Vede un uomo tra i 45 e i 50 anni, con un completo spezzato in giacca scura che si aggira a pochi centimetri dalle macchine in fiamme, tra pezzi di cadaveri e le urla dei feriti. Riccardo fa parte della seconda volante, la strage è stata appena commessa e quella figura che si muove con sicurezza non può non notarla. “Perché si trova qui?”- domanda. La risposta è secca: “Servizi”.
Poche ore dopo la testimonianza dell’agente finisce in una relazione di servizio, con la descrizione di quel sedicente 007. Una traccia che fino ad oggi non è mai stata vagliata. Lo ha fatto a distanza di vent’anni la Procura nissena che ha raccolto, come fosse un puzzle, migliaia di fotogrammi e decine di ore di video girati sul luogo della strage per appurare o escludere presenze sospette o anomale. E così è partita la caccia, alla ricerca in questo puzzle di quell’uomo qualificatosi sul luogo del delitto come “servizi”. Il primo passo compiuto dagli investigatori è stato quello di chiedere agli apparati di sicurezza se quel giorno sia transitato da via D’Amelio qualche 007. Ufficialmente si contano sulle dita di una mano ma quello che ha sorpreso gli investigatori è che le relazioni di servizio che attestano quelle presenza sono state redatte solo dietro richiesta dei magistrati in tempi recentissimi. Nessuna memoria di quel giorno sembra rimasta negli archivi degli apparati. La testimonianza di quel poliziotto oggi sul tavolo degli investigatori conferma così un dato: che le indagini sul luogo della strage nelle ore subito successive furono approssimative e sciatte, furono trascurate, dolosamente o colpevolmente, tracce importanti. E in questo contesto che sparì dalla borsa del giudice la sua agenda rossa, il diario di bordo di quelle ultime settimane di vita dopo la strage di Capaci.
Questo nuovo filone d’indagine top secret è finito nel procedimento 2554/09, una sorta di contenitore al cui interno trovano posto i punti oscuri che coinvolgono esponenti dello Stato, della politica e uomini delle forze dell’ordine. E’ lì che sono confluiti i rapporti border line tra uomini di Stato e mafiosi. Come quelli tra il generale dei Carabinieri in pensione Antonio Subranni e Vito Ciancimino. L’ufficiale è per ora l’unico iscritto “eccellente” nel registro degli indagati per concorso esterno. Subranni - ex-capo del Ros il reparto che condusse la trattativa-colloquio con Vito Ciancimino, portavoce di Bernardo Provenzano, nell’estate 1992 – è stato tirato in ballo da Agnese Borsellino: “Mio marito mi disse che il generale Subranni era "punciutu". Chi era la fonte del giudice?
Anche qui una traccia dimenticata. Di sicuro Borsellino era a conoscenza del rapporto amichevole che il generale aveva con l’ex-sindaco mafioso di Palermo. Fu infatti grazie ad una perquisizione ordinata con Giovanni Falcone che a casa di Ciancimino nel 1984 furono ritrovati due biglietti – che l’Unità pubblica - vergati dall’ufficiale. “Molti fervidi auguri – scriveva nel natale 1981 l’allora comandante del nucleo investigativo dei CC a Palermo all’alter ego di Provenzano. E qualche anno dopo, promosso colonnello a capo del Reparto operativo, Subranni scriveva a Don Vito: “Grazie per le felicitazioni che Ella ha voluto formularmi. Molti fervidi auguri.”
Tratto da: l'Unità
Per gentile concessione dell'autore