di Lorenzo Baldo - 8 marzo 2012
Caltanissetta. In una sala troppo piccola del palazzo di giustizia nisseno per accogliere tanti giornalisti e cameraman si è svolta la conferenza stampa relativa all’emissione delle ordinanze di custodia cautelare scaturite a seguito delle nuove indagini sulla strage di via D’Amelio. Dal mese di giugno del 2008 il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza ha ricostruito le dinamiche dell’eccidio del 19 luglio 1992 fornendo una versione che ha fatto crollare come un castello di sabbia la precedente “collaborazione” del falso pentito Vincenzo Scarantino.
Accanto al procuratore di Caltanissetta Sergio Lari è seduto il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso. Al suo fianco, i consiglieri della Dna Maurizio de Lucia e Gianfranco Donadio, i procuratori aggiunti di Caltanissetta Nico Gozzo e Amedeo Bertone, il direttore della Dia Alfonso D'Alfonso e il capo centro della Dia di Caltanissetta Gaetano Scillia. A distanza di quasi quattro anni dalla collaborazione di Spatuzza gli arresti odierni inaugurano un percorso giudiziario che sfocerà in un nuovo processo per la strage di via D’Amelio. Un percorso frutto di un lavoro mastodontico realizzato in strettissima collaborazione con la Dia nissena. Gli inquirenti hanno studiato circa 350 faldoni relativi a ben 28 procedimenti penali inerenti la strage di via D’Amelio; 260.000 sono state le intercettazioni realizzate, 300 esami testimoniali, 30 collaboratori di giustizia sono stati interrogati, alcuni dei quali messi nuovamente a confronto, per non parlare dei numerosi sopralluoghi e accertamenti tecnico-scientifici. Grazie alle dichiarazioni del neo collaboratore Fabio Tranchina è emerso che sarebbe stato il capomandamento di Brancaccio, Giuseppe Graviano, a premere il pulsante del telecomando collegato all’autobomba da dietro un muretto in fondo a via D’Amelio. Viene così a cadere definitivamente l’ipotesi del Castello Utveggio quale possibile sede dalla quale i killer di Cosa Nostra avrebbero potuto osservare l’arrivo del giudice in via D’Amelio per poi premere il pulsante. Ed è proprio sulla funzione nevralgica della famiglia mafiosa dei Graviano nell’eccidio che costò la vita al giudice Paolo Borsellino e a cinque agenti della sua scorta (Emanuela Loi, Eddie Walter Cosina, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina) che Piero Grasso pone l’attenzione. Il procuratore nazionale antimafia sottolinea come in queste indagini sia propriamente emerso il ruolo fondamentale dei Graviano e del mandamento di Brancaccio nell’organizzazione della strage del 19 luglio 1992. Il magistrato palermitano spiega come quel ruolo criminale del ’92 sia lo stesso che Giuseppe Graviano riveste nelle stragi del ’93 in quanto rispecchia una “strategia stragista” che “partendo dall’omicidio Lima arrivava fino al gennaio ’94 alla fallita strage dell’Olimpico”. Dal canto suo Sergio Lari ricostruisce la difficoltà di essersi trovato di fronte a tante “tessere mancanti” in un mosaico in parte già composto da “tessere false”. Il processo di revisione per coloro che sono stati condannati sulla base delle mendaci dichiarazioni di Vincenzo Scarantino, seppur legato a tempistiche tutt’altro che brevi, si farà. Gli arresti odierni avviano di fatto un iter giudiziario che si concluderà con nuove sentenze. Per Lari queste indagini rappresentano “l’ultima spiaggia” per fare luce su una strage tra le più anomale che la storia del nostro Paese ricordi. Una strage figlia di quella “trattativa” che lo stesso Gip, Alessandra Bonaventura Giunta, riconosce accogliendo le richieste della Dda della Procura di Caltanissetta. “La tempistica della strage - scrive il giudice - è stata certamente influenzata dall'esistenza e dall'evoluzione della cosiddetta trattativa tra uomini delle Istituzioni e Cosa nostra”. Il nuovo processo per la strage di via D’Amelio riguarderà non soltanto le persone arrestate stanotte, ma anche gli stessi Tranchina e Spatuzza. Allo stesso modo si profila un prossimo rinvio a giudizio dei soggetti ritenuti responsabili di calunnia aggravata (Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta e Salvatore Candura). Per Lari resta determinante scoprire le ragioni per cui si sia giunti a determinate soluzioni investigative “che hanno portato alle condanne nei confronti di quelle persone che poi sono state scarcerate”. Il procuratore di Caltanissetta ipotizza due chiavi di lettura. La prima ipotesi vede la possibilità di un “clamoroso errore investigativo supportato in maniera poco limpida con la collaborazione di Francesco Andriotta” che “ha comportato una reazione a catena”, una serie di “errori di valutazione da parte di tutti i giudici”; un “mancato funzionamento del sistema nel suo complesso”, non soltanto nella fase investigativa, ma anche “nella fase dell’analisi che è stata fatta di quelle risultanze investigative davanti ai giudici”. La seconda ipotesi, quella che pesa maggiormente sulla procura di Caltanissetta, riguarda invece la possibilità che ci sia stato un vero e proprio “depistaggio”. E proprio il filone che riguarda il ruolo degli agenti del pool Falcone e Borsellino (diretto dallo scomparso Arnaldo La Barbera) in questo possibile “depistaggio” resta aperto, così come l’inchiesta sulla scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino. Il procuratore Lari accenna successivamente al grave rischio che sul fascicolo relativo alle indagini sul fallito attentato all’Addaura possa intervenire la prescrizione. La possibilità che un capitolo tanto delicato come questo possa convertirsi nell’ennesimo mistero insoluto che annovera la nostra storia preoccupa palesemente la procura nissena. Per quanto concerne infine la figura di Massimo Ciancimino la valutazione della Dda nissena è alquanto severa. Nei confronti del figlio di don Vito i magistrati parlano di “un giudizio finale sostanzialmente negativo sull'attendibilità intrinseca”. Nell’ordinanza il Gip riconosce però che Ciancimino jr “ha contribuito a risvegliare la memoria di persone che, pur non direttamente chiamate in causa da lui, forse temevano che fosse a conoscenza di vicende inerenti la trattativa di cui essi erano stati testimoni privilegiati e che in precedenza non avevano mai rivelato ad alcuno”. Un dettaglio non indifferente sul quale ci sarà ancora da scrivere. Così come per quanto riguarda quelle entità esterne a Cosa Nostra – tuttora impunite – che hanno sacrificato sull’altare di una ragione di Stato la vita di magistrati come Paolo Borsellino e di tanti altri innocenti.
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